<<L’unico modo per combattere la morte, è cantare un inno alla vita. L’unico modo per ricominciare, oggi, è farlo con forza>>. A queste parole, tratte dal lavoro teatrale di Massimo Recalcati, si ispira la tredicesima edizione del festival Tra Sacro e Sacro Monte, che si terrà dal 7 al 28 luglio a Sacro Monte, in provincia di Varese. Diretto dal regista Andrea Chiodi, che abbiamo qui intervistato, vedrà la partecipazione di importanti nomi della scena italiana e straordinari interpreti del teatro contemporaneo.
Hai deciso di aprire questa edizione con Amen di Massimo Recalcati. Un inno alla vita?
Sì, uno spettacolo che ha debuttato quest'inverno al Franco Parenti con tre attori che stimo molto, alcuni anche amici, e Federica alla terza volta al Sacro Monte. Un inno alla vita è quello di cui abbiamo bisogno tutti! E avere Recalcati sarà un occasione unica e preziosa.
Da regista, non hai pensato di dirigere una delle piece rappresentate alla kermesse?
È accaduto per il decennale tre anni fa ma credo che, un direttore artistico di un festival, debba pensare più agli altri, a proporre cose da costruire; rischierei di far ruotare tutto intorno a me, mentre io amo incontrare, scoprire e imparare anche dagli altri.
In che modo hai interagito con i registi? C’è un confronto prima di andare in scena o lasci massima libertà?
Assoluta libertà nel rispetto del luogo e dei temi che abbiamo deciso di raccontare.
Quali sono le novità di quest’anno?
Il festival segue ormai una linea abbastanza consolidata: la novità sono gli artisti e le nuove collaborazioni con persone anche del territorio. Grande sorpresa, il nuovo palcoscenico che quest'anno si sposta, per permettere a un ampio pubblico di partecipare.
Il programma prevede grande varietà di generi: recitazione, musica, reading, danza. Ti aspetti il tutto esaurito?
Lo spero, più che altro perché mi sta a cuore quello che si racconterà e si porterà in scena, non tanto per i grandi numeri, ma per fare grande divulgazione
Non solo eterogeneità delle rappresentazioni, ma anche importanti nomi con una scelta generazionale ampia: Valter Malosti che, con maestria, si muove tra tragedia e commedia, in teatro, radio, tv; Federica Rossellini, giovane attrice e performer tra le più interessanti della scena italiana; Massimo Popolizio, che racconterà la figura di Pasolini nella celebrazione dei cent’anni dalla nascita, solo per citarne alcuni. Vuoi abbracciare, così facendo, un pubblico di tutte le età e gusti?
Voglio avere le voci giuste per i temi giusti, mi piace che ci siano gli artisti con quello che li rappresenta al meglio; cerco sempre di chiedere loro la cosa giusta e, certo, abbiamo artisti con un pubblico più legato alla ricerca e star del teatro.
Quasi un anno fa se ne andava Piera Degli Esposti, lasciando un vuoto incolmabile. Tu sei stato suo allievo, cosa ricordi e cosa hai imparato da lei?
Tutto! Potrei parlare ore, lascia un vuoto enorme nel panorama culturale e nel mio cuore. Voglio dire una battuta relativa a ciò che lei mi ha insegnato e che mi ha ripetuto molte volte: <<Nella carriera artistica e nella vita, bisogna decidere se essere profondamente una mela o una pera: non si può essere tutto, ma profondamente una cosa>>. Pensando al festival, è profondamente una cosa. E Piera è stata qui ben due volte.
Per due anni i teatri hanno sofferto delle chiusure. Te la senti di fare un appello affinché l’arte e gli artisti non vengano più messi da parte?
Certo, è troppo importante, troppo! C'è bisogno di pensieri grandi, profondi, intelligenti; anche di sorrisi e bellezza. Il teatro, il cinema, la musica sanno regalarli, quindi credo non si possa pensare di metterli da parte. Una civiltà senza cultura è una civiltà che non sa raccontarsi.
Elisa Sciuto 02/07/2022
L'evoluzione del giornalismo è stata plasmata da un'onda di innovazione senza precedenti, trainata dall'avvento dell'Intelligenza Artificiale (IA). Questa rivoluzione non solo ha trasformato la modalità in cui le notizie vengono prodotte e consumate, ma ha anche ridefinito il ruolo e la responsabilità dei giornalisti nel panorama mediatico contemporaneo.
L'IA si è insinuata nei meandri delle redazioni giornalistiche, sostenendo i professionisti dell'informazione in molteplici modi. Uno dei suoi contributi più significativi è stato nell'ambito della ricerca e analisi delle notizie. Grazie all'IA, i giornalisti possono accedere a una mole impressionante di dati e informazioni in tempo reale, consentendo loro di identificare trend, individuare storie emergenti e condurre investigazioni approfondite con una rapidità e una precisione impensabili solo pochi anni fa.
I sistemi di IA hanno reso possibile la personalizzazione delle notizie in base agli interessi e alle preferenze degli utenti. Attraverso algoritmi sofisticati, i lettori ricevono contenuti su misura, ottimizzando l'esperienza di fruizione delle notizie e aumentando l'engagement degli utenti con le piattaforme giornalistiche.
Tuttavia, mentre l'IA offre opportunità straordinarie, solleva anche importanti interrogativi etici e pratici. Uno dei principali dibattiti riguarda l'impatto sull'occupazione giornalistica tradizionale. Se da un lato l'automazione di alcune attività può liberare tempo prezioso per attività più creative e analitiche, dall'altro c'è il rischio di sostituire i giornalisti con algoritmi, compromettendo la qualità e l'oggettività dell'informazione.
Inoltre, la diffusione di notizie false e manipolate è diventata una preoccupazione sempre più pressante nell'era dell'IA. Sebbene gli algoritmi siano in grado di individuare e contrastare la disinformazione, i creatori di fake news possono sfruttare le stesse tecnologie per diffondere contenuti falsi in modo più sofisticato e convincente.
Per affrontare queste sfide, è essenziale promuovere una cultura dell'IA responsabile nel giornalismo, che garantisca l'uso etico e trasparente di queste tecnologie. Ciò richiede una formazione adeguata dei giornalisti sull'utilizzo dell'IA, l'implementazione di linee guida etiche e l'adozione di meccanismi di accountability per monitorare e valutare l'impatto delle tecnologie digitali sul giornalismo e sulla società nel suo complesso.
In conclusione, l'avvento dell'Intelligenza Artificiale sta ridefinendo il panorama del giornalismo digitale, offrendo nuove opportunità e sfide. Per sfruttare appieno il potenziale trasformativo dell'IA nel giornalismo, è fondamentale adottare un approccio equilibrato che valorizzi l'innovazione tecnologica senza compromettere i valori fondamentali dell'informazione libera e responsabile.
Davide Antonio Bellalba 12/06/2022
Per una giornalista alle prime armi (qual è chi scrive) è un’emozione grandissima parlare con una personalità importante come Marino Bartoletti, incredibile giornalista sportivo, scrittore e conduttore italiano, che ha segnato delle tappe importanti per la storia del giornalismo del nostro Paese. Un grande intenditore della parola, in grado di scegliere e selezionare accuratamente qualunque vocabolo, riuscendo ad esprimere nella maniera più semplice e sobria anche contenuti complessi. Quando si sta per intervistare un personaggio tanto stimato e stimabile, è normale che ci si prepari lungamente, nell’intento di non essere banali o approssimativi, ma allo stesso tempo che si inizi la chiacchierata con la consapevolezza che l’emozione avrà la meglio, che la voce magari tremerà leggermente, che le mani saranno incerte. Cose che Bartoletti ha probabilmente conosciuto bene quando si è trovato faccia a faccia con Luciano Bianciardi, il suo scrittore preferito, nel capoluogo lombardo, quanto aveva solo ventun anni.
Il 12 giugno parlerà del suo rapporto con l'importante scrittore grossetano a "I Luoghi del Tempo - Festival di suoni, storie, sapori in Maremma", manifestazione che, alla dodicesima edizione, celebra proprio il centenario della nascita di Bianciardi: “Mi è stato chiesto – racconta Bartoletti – di parlare di Luciano Bianciardi. Forse neppure loro potevano sapere quanto affetto ci fosse da parte mia nei suoi confronti, per tanti motivi personali. Ero un suo lettore, avevo vent’anni e volevo fare il giornalista. Ho messo in piedi un giornalino di pallacanestro e, seguendo l’orma di Giovanni Brera, cercai di coinvolgere tutti gli scrittori che avevo in qualche modo conosciuto. Scrissi a Bianciardi chiedendogli di farmi un articolo di pallacanestro per quel mio giornalino quasi inesistente”.
Bartoletti non si aspettava di ricevere una risposta: “Invece lui, con una gentilezza infinita, mi mandò questo manoscritto battuto a macchina, che sicuramente porterò al Festival. C’era già da parte sua un affetto straordinario e non dovuto. Poi, neanche a farlo apposta, mi sarei trasferito l’anno dopo a Milano per lavorare come giornalista sportivo, coronando il mio sogno, e avrei conosciuto una persona simpatica e adorabile”. Quello che sin da subito lo colpisce di Bianciardi è lo stile, come racconta lui stesso: “Scriveva in maniera trasparente, per usare un aggettivo. Era terribilmente comprensibile, non faceva inutili giri di parole. Era una prosa sobria, come dovrebbe sempre essere quella di un giornalista, specialmente quando parla di cose importanti. Eppure, era caratterizzata da una straordinaria originalità. Mi entusiasmava il suo modo di scrivere perché sembrava un giornalista sportivo prestato alla letteratura. Era essenziale, ma allo stesso tempo dotato di un grande talento letterario”.
“Credo che questo fosse possibile – prosegue Bartoletti – grazie alla toscanità, nel senso che aveva una stesura perfetta nelle cose che scriveva, senza che vi fossero contaminazioni. Scrittori come Gianni Brera avevano uno stile caratterizzato da forte contaminazioni - chiamiamole dialettali - ma nel suo caso era come se nascesse imparato, come si suole dire. La sua prosa era di un’impressionante contemporaneità, una prosa senza tempo, tanto che Bianciardi potrebbe essere tranquillamente nato trent’anni fa”.
Gli abbiamo chiesto qualcosa di più sul suo intervento del 12 giugno: “Non sapendo se potrò parlare liberamente e so dovrò rispondere a delle domande, mi limiterò a dire quello che so. Parlerò del mio affetto per una persona che mi ha emozionato tantissimo. Forse perché avevo solo vent’anni e lui era il primo scrittore che conoscevo in vita mia. Per era come se avessi conosciuto Manzoni o Dostoevskij”.
Bartoletti, poi, fa un importante discorso sul mestiere giornalistico: “Bianciardi era innanzitutto uno scrittore e Brera ebbe la folgorazione di affidargli alcuni articoli di sport. I giornalisti sportivi sono sempre stati considerati di serie B, finché non è arrivato Brera e ha dato alla categoria l’importanza che merita. Ora, sono arrivato al punto in cui rifiuto queste distinzioni, queste categorizzazioni”. Concludiamo la nostra conversazione chiedendogli un suo pensiero sui giornalisti del futuro: “Un giornalista deve essere un giornalista, punto. Deve essere dotato di una certa permeabilità tra gli argomenti e, soprattutto, consiglio ai futuri giornalisti di non accontentarsi, di non credere di esserlo solo perché si scrive su un qualche giornale. Deve scegliere di studiare, approfondire, essere originale. Un giornalista deve sempre inventare un titolo per il proprio articolo, perché è un tocco di originalità. Ognuno ha conoscenze che altri non hanno, un’ottica diversa nel raccontare qualcosa. Perché di banalità ce n’è troppa”. Un altro grande insegnamento che ha appreso proprio grazie a Luciano Bianciardi.
Adele Porzia 09/06/2022
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