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Dialogo con Massimo Roberto Beato sullo spettacolo "Donne di Mafia"

È circa mezzogiorno quando raggiungiamo telefonicamente Massimo Roberto Beato, autore di "Donne di Mafia: Storia di un digiuno lungo trent’anni, per non perdere il vizio della memoria", spettacolo che in scena dal 23 al 26 maggio, presso il Teatro Spazio 18b di Roma. Attualmente Beato è in Inghilterra per lavoro e si è concesso una breve pausa per poter rispondere alla nostra intervista. Alla domanda “mi dica tutto sullo spettacolo” le sue parole sgorgano come un fiume in piena, irradiando il suo grande e irrefrenabile amore per il proprio lavoro. E ci racconta che tutto è iniziato nel 2012, per un laboratorio sulla legalità, che aveva tenuto a Tor Bella Monaca: “Era un laboratorio che nasceva in occasione delle stragi di mafia e coinvolgeva i ragazzi e le ragazze del quartiere – spiega Beato, con una voce ricca di emozione – ed era molto interessante notare come fosse percepito dai giovani, che hanno una sensibilità particolare verso questo tema. Il tutto era nato da un progetto dei teatri di cintura e dal proposito di portare il teatro in periferia. È stato un prezioso inizio, perché in quell’occasione, scrissi questo testo giovanile ispirato ad una di quelle vicende che sfuggono alla narrazione storica e da cui erano trascorsi ben vent’anni”. Durante un’afosa estate del 1992, a Palermo, quattro donne della città digiunarono in segno di protesta contro le stragi della mafia. Si riunirono in piazza Castelnuovo dal 22 luglio al 23 agosto e, nell’indifferenza generale e in quel silenzio che agevolava le attività mafiose, mostrarono apertamente la loro indignazione, senza armi e senza violenza.

“È un gesto potente, rivoluzionario, una genuina forma di protesta - spiega l'autore - un potente sciopero dal forte valore politico, oltre che sociale. La parte più interessante di questa protesta è l’utilizzo che viene fatto da queste donne del proprio corpo. Il loro corpo viene concepito come strumento di iscrizione. Quella di digiunare è una scelta apparentemente innocua, che sembra rimarcare l’azione straordinaria di Gandhi, ma che in verità assume un valore e un significato più profondo. Queste quattro donne si sono rese conto che il loro corpo, la loro corporalità, fosse per natura mafioso, fosse il prodotto della Mafia. Erano nate in un contesto sociale e geografico che produce quei corpi, che li rende uguali a sé, che li snatura al punto da far assumere loro la sembianza che desiderano. Sono corpi plasmati, passati per naturali. Giunte a questa scoperta, queste donne si snaturano, si liberano da quella sostanza mafiosa che vive in loro e cercano di riprendere il controllo su loro stesse. E, svuotando il corpo, liberano la loro società”.

La loro protesta, quindi, assume una natura performativa e si adatta alla dimensione del palcoscenico: “è un flashmob ante litteram se vogliamo - commenta – cercano di creare una micro-utopia, una loro micro-comunità che faccia da contrasto agli eventi che gravitano intorno e, così facendo, si dissociano”. Questo spettacolo si colloca trent’anni dopo le stragi di mafia e prevede un nuovo allestimento un nuovo cast e la nuova regia di Jacopo Bezzi, aiutato alla regia da Federico Malvaldi.

Com'è nata la vostra collaborazione?

“Non è il primo spettacolo che realizziamo. Dopo quel primo laboratorio di oramai vent’anni fa, era nata l’idea di portare in scena questo copione con un cast professionale. Ha debuttato ufficialmente al Fontanone Teatro, durante quella grande manifestazione che ora purtroppo non c’è più e che si svolgeva durante l’estate. In quell’occasione un produttore della Rai con cui stavo lavorando ha ritenuto doveroso farne una trasposizione televisiva, all’interno di un progetto sulla legalità per la scuola. Quando è andato in onda, ha avuto particolare riscontro. I trent’anni dall’evento, oggi, sono un pretesto per poter mettere in scena nuovamente uno di quegli eventi simbolici, ma circoscritti, che non vengono ricordati nei libri di storia”.

Il cast è costituito da Monica Belardinelli, Virginia Bonacini, Sara Meoni e Veronica Rivolta, che interpretano le quattro donne protagoniste della protesta. Si partirà da questo evento privato per trattare l’attentato di Paolo Borsellino, avvenuto il 19 luglio 1992, a neanche due mesi di distanza dall’uccisione del collega Giovanni Falcone. Sarà un viaggio all’interno degli orrori del nostro passato, per esorcizzare la possibilità che possa ripetersi, con l'ausilio della memoria. Per quanto riguarda questa nuova messa in scena, Beato è rimasto davvero colpito da alcune scelte registiche di Bezzi e dal lavoro che è stato compiuto sul suo testo: “Posso anticipare di essere rimasto stupefatto dal lavoro del regista, perché ha colto anche degli aspetti contemporanei. Questa operazion ha riattualizzato il mio copione, l'ha reso contemporaneo. Questa è una caratteristica che distingue la Compagnia dei Masnadieri, che ho fondato proprio con il mio collega Jacopo, oltre ad un’attenzione particolare riservata ai corpi e alla corporalità. Sono corpi che scrivono e creano queste storie in scene. Posso dire che sono davvero orgoglioso del lavoro che è stato fatto su questo mio testo, che se non erro è stato il primo che ho pubblicato. Un testo che agita in me dei tormenti proprio perché appartiene ad un’altra fase. Quando rileggi quello che hai scritto da giovane, vorresti cancellare tutto. E invece è un testo che ha ancora tanto di dire e che è stato trasformato in modi inimmaginabili, davvero stupefacenti per me. Quando scrivo, ho in mente una messa in scena potenziale; perciò, è incredibile restare sopresi dalla grande operazione che si può fare su quel testo. Mi sono sentito orgoglioso, davvero orgoglioso”.

Sono queste le parole con cui conclude Beato, con una sonora risata e con grande umiltà. Ora non resta che metterci in ascolto e riflettere, ricordare, perché nulla si ripeta.

Adele Porzia 23/05/2022

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