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La Felicità dei miei trent’anni…di carriera! – Recensito incontra Joe Barbieri

Roma è calda, forse neanche troppo per essere giugno ma l’aria e la voglia d’estate diventa sempre più preponderante nell’animo dei suoi abitanti. Ieri mattina ho aperto Spotify per ascoltare Felicità, il nuovo singolo di Joe Barbieri nonché la cover (con una veste completamente inaspettata, coinvolgente e spassionatamente bella) del brano del 1982 che ha conquistato il secondo posto durante la trentaduesima edizione del Festival di Sanremo… e l’attenzione degli ascoltatori di tutto il mondo.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Joe Barbieri per parlare di questo suo ultimo brano e dell’anno di festa che sta celebrando ovvero i suoi trent’anni di carriera raccontati tra il presente, un briciolo di passato ed uno sguardo (positivo) verso il futuro. 

La mia prima domanda riguarda il tuo nuovo brano, Felicità, che è uscita ieri: è la cover dell’iconico duo Albano e Romina Power che, in qualche modo, ha cullato l’infanzia di tutti noi. Un brano che, per l’adattamento che gli hai dato (un po’ jazz, un po’ bossa nova) è molto brioso, allegro e – permettimi questo azzardo – ha una sonorità molto da tormentone estivo. La domanda sorge spontanea: perché questo brano? È legato ad un particolare momento della tua vita?

“In realtà è stata una scelta molto semplice perché essendo nato all’inizio degli anni 70 ho incrociato questa canzone da piccolo. Avevo circa dieci anni e mio padre ha portato a casa questo 45 giri, assieme ai Ricchi e Poveri e tante altre cose insospettabili per quelli che sono stati i miei ascolti successivi, più simili a quelli che mi hanno influenzato nella carriera. Però si: ha fatto parte della mia infanzia. In qualche modo, questa canzone è rimasta paziente nel mio animo perché quando mi è capitato di essere ospite nel programma di Stefano de Martino, Bar Stella, mi fu chiesto di suonarla. Quindi ho eseguito questo brano in maniera molto spontanea e devo dire che mi sono anche divertito! In qualche modo è un regalo che faccio a tutti i miei ascoltatori. Poi quest’anno che compio anche trent’anni di carriera ed uno degli effetti collaterali positivi, del fatto di avere un po’ di anni di strada sulle spalle, è che lascio parlare molto l’istinto e la pancia che, come alcuni affermano, è il nostro secondo cervello. Semplicemente non ho fatto tanti calcoli ed avevo voglia di ringraziare per questo anno che è molto bello, ed ecco è un regalo: un modo di mostrare la mia gratitudine nei confronti di chi mi ascolta!”

Quindi, di conseguenza, ti chiedo cos’è per te la felicità? Suppongo la celebrazione dei tuoi trent’anni di carriera con il tour 30 Anni Suonati e poi, immagino, ci sarà anche un bellissimo rapporto con tutti i tuoi sostenitori!

“Si, è proprio così! Noi abbiamo iniziato questa festa il 6 ottobre dell’anno scorso e, a mezzanotte, sarebbe caduto questo simbolico anniversario perché il 7 ottobre 1992 partecipai al festival di Castrocaro e, da quella data, faccio decorrere questo trentennio di musica. Da quella serata, sono stati almeno una decina i concerti che ho tenuto e mi è sembrato veramente di fare una perenne festa, sera dopo sera, come immaginavo! Una perenne celebrazione dell’intimità che si è consolidata con la gente, della fiducia verso il pubblico, il riconoscersi reciprocamente… Anche perché non è che solo l’ascoltatore si rivede nei tuoi brani, ma sei anche tu che ti rivedi in chi ti ascolta: chi fa musica, si merita un certo tipo di pubblico e quando scambi due chiacchiere a fine concerto, senti che c’è un’affinità, un modo analogo di parlarsi e di offrirsi. E riscoprire questo, ad ogni concerto, è bellissimo!”

Come dicevi, il 7 ottobre decade questo anniversario ed infatti in questa data, lo scorso anno, hai pubblicato il disco live Tratto da una notte vera che racchiude, oltre a tre inediti - Retrospettiva Futura, Maravilhosa avventura, Dettagli (cover del brano di Ornella Vanoni) – un po’ questi trent’anni di musica. Un disco che, in qualche modo, è la ripubblicazione del lavoro Tratto da una storia vera (2021). Ti chiedo quindi quanta vita vera c’è nei tuoi brani e da dove arriva l’ispirazione per la tua scrittura?

“Per me è un punto d’orgoglio poter dire che la mia musica è tratta da una storia vera perché tutto quello che scrivo, nella quasi totalità dei brani, sono frutto di esperienze di prima mano, vissute e quasi tutte sono cose che ho davvero sperimentato sulla mia pelle. Alcune sono desideri, altre immaginazione che comunque, di rimando, sono un qualcosa di autobiografico. E quindi quando scrivo sembra facile (e non lo è), devo in realtà soltanto essere onesto: afferrare quella che comunemente viene chiama ispirazione e cercare di non darle tregua e chiederle fino in fondo cosa vuole raccontarmi e provare a trasportarla su un foglio.”JoeBarbieri2.jpg

A tal proposito mi chiedo: quando un artista trova il coraggio di riuscire a parlare apertamente di sé stesso, sia dei momenti belli che di quelli brutti, all’inizio è una catarsi perché riversi qualsiasi momento nelle parole e nella musica; ma nel cantare quei brani, dove poi riescono a rivedersi anche gli ascoltatori, come ci si sente? All’inizio immagino possa essere difficile ma, man mano che viene eseguita nel corso del tempo, che sensazioni lascia?

“È bellissima questa domanda! Intanto devo dirti la verità: la mia esperienza è che queste canzoni riescono a raccontarmi qualcosa anche a distanza di molti, molti anni. Ci sono serate, in particolare notti, in cui non so per quale ragione particolare, improvvisamente mi sembra di tornare al momento in cui le ho scritte. Si rivela un piano di lettura, per me stesso, che non avevo sospettato e, nel cantare quelle parole, mi sembrano nuove. Mi sembra che debba loro la stessa onestà intellettuale che ho messo nello scriverle e cantarle la prima volta. Per cui è un processo che periodicamente vivo e questo, in qualche modo, mi da la rassicurazione e la sicurezza di poter essere sincero ancora, e ancora, ed ancora. Quindi finché avrò questa percezione, non farò nessuna forzatura nel riproporre queste canzoni.”

Continuando a ripercorrere i tuoi trent’anni di carriera, prima citavamo Tratto da una storia vera che contiene diverse collaborazioni. Di tutti questi anni, c’è stata una collaborazione più significativa, dalla quale hai tratto il più possibile sia da un punto di vista professionale che personale?

“Beh… ovviamente non posso che mettere su un gradino speciale il lavoro fatto con Pino Daniele, ed è grazie a lui che questi trent’anni hanno avuto inizio, grazie alla sua esperienza e la sua visionarietà… Io non mi sarei dato due lire! Però forse è stato molto lungimirante perché le mie prime canzoni erano estremamente acerbe: di queste stesse canzoni, qualcosina la ripropongo in questo tour (per la prima volta da allora) e devo dire che sentirle, reinterpretate con esperienza, mi fa capire quello che Pino, a suo tempo, aveva visto e che io, invece, non avevo visto fino a poco fa. Però, al di là di questo, l’averlo avuto vicino, l’aver potuto sbirciare il suo modo di lavorare, di guardare all’integrità di certe scelte, mi è stato d’esempio e di enorme utilità.”

Beh, sicuramente Pino Daniele è stato uno di quegli artisti che ci ha lasciato un po’ troppo presto…

“Questo sicuramente però, quando le cose ti vengono sottratte così presto inevitabilmente si attivano, da parte di chi guarda, degli occhi differenti nel guardare le cose. Si scoprono delle cose e degli aspetti che, magari, per abitudine e pigrizia, si erano appannate. Poi Pino, soprattutto per chi è di Napoli, è stato un dio in terra! Il fatto di non averlo più tra noi, ci ha chiarito ancora di più quanto fosse un artista davvero speciale.”

Di questi anni di carriera, ci sono dei momenti che ricordi con maggiore soddisfazione, altri invece che cambieresti? Ci sono ancora degli obiettivi da raggiungere?

“Da cambiare non cambierei nulla incluse tutte le sofferenze, i patimenti, le porte in faccia che sono state tante, copiose e belle forti… Però non cambierei nulla! Il momento migliore è questo di adesso ed onestamente va bene così, anche perché di sogni, di desideri e di progetti ce ne sono tanti ancora. Mi piacerebbe lavorare per il cinema, mi piacerebbe scrivere musica strumentale… Insomma, c’è tanto da fare! Scrivo continuamente canzoni: ne ho messo in pausa una proprio ora che ci stiamo sentendo e che mi piace tantissimo! Insomma, la strada, fortunatamente, è ancora lunga e viva!”

JoeBarbieri1.jpgAd aprile di quest’anno a Molfetta hai avuto l’occasione di fare un concerto con i tuoi brani eseguiti in una chiave inedita. In particolare hai collaborato con l’orchestra Magna Grecia che ha dato una veste completamente diversa ai tuoi brani. Com’è stato ascoltarli in questo modo?

“L’orchestra è sempre stato un elemento che, negli ultimi quindici anni, ho utilizzato nei miei dischi quindi diciamo che non è un elemento del tutto estraneo. Però, dal vivo, non mi è mai successo di poterla sperimentare e devo dire che è stata la riconferma che quello è il “mio” elemento. Questo mi ha dato l’idea e la forza di pensare ad un futuro di lavoro con l’orchestra che, per me, è un elemento che mi appassiona e mi incuriosisce tanto! Mi fa venire voglia di studiare quindi sicuramente lavorerò su questo piano.”

Guardando al futuro ma degli altri, ed in particolare di tutti quei ragazzi che si approcciano alla musica mettendo su gruppi e, spesso, incidendo brani: hai dei suggerimenti o dei consigli da fornirgli?

“Soltanto di credere alla cultura del lavoro. Di ragazzi ne incontro tanti e, fortunatamente, molti non sono caduti nel tranello del risultato “cotto e mangiato”, del “tutto e subito” che si propone oggi, soprattutto nella musica. Se la cultura del lavoro si associa ad un talento sincero, la strada è tracciata. Più che un suggerimento lascerei una rassicurazione, una conferma, perché sono convinto che quando c’è l’arte e la musica è nella vita di un ragazzo, anche i momenti di scoramento e delusione non saranno mai sufficienti a fare in modo che, quella strada, non venga intrapresa. La musica viene a prendere chi ce l’ha nel destino, viene a prenderla per i capelli… se si hanno i capelli o se ne hanno pochi! (ride)”

Per i tuoi piani futuri mi dicevi che continui a scrivere, vorresti comporre per l’orchestra ed anche per il cinema… Quindi cosa possono aspettarsi i tuoi ascoltatori?

“Diciamo che qualunque sarà la strada, non tradirò la loro fiducia nel fare qualunque cosa con onore e con onestà!”

Una domanda…simpatica! Dato che il tuo cognome è facilmente associabile a quello di un noto chef, soprattutto della televisione italiana, la tua relazione con la cucina ha la stessa armonia che si respira nei tuoi brani oppure Joe Barbieri non può avvicinarsi alla cucina?

“(Ride) No, no! Guarda ho scritto una canzone qualche anno fa che si chiama Zenzero e Cannella che, in realtà, parla proprio latentemente di cucina perché per me quella famosa frase “hai mangiato” è veramente la frase d’amore più bella che si possa sentire! 

A margine di questa nostra chiacchierata volevo solo ricordare che il 30 giugno ricominciamo a suonare dal vivo! C’è un concerto speciale che è a Benevento che per me è uno dei luoghi dell’anima (perché mia moglie è beneventana) in un posto magnifico che è il teatro romano dove inviterò un po’ di amici come Fabrizio Bosso, Nick The Nightfly e qualcun altro: verranno a fare musica e ripercorreremo insieme un po’ della nostra storia comune!”

Roberta Matticola 10/06/2023

American Beauty: sguardo su una nazione che si è fatta questione secolare e risposta al nostro destino

Un appuntamento da non mancare è quello della mostra AMERICAN BEAUTY in programma dal 13 settembre 2023 al 21 gennaio 2024 presso il Centro culturale di Latinate (San Gaetano, Padova).
L'esposizione a cura di Daniel Buso ed Elena Zannoni, lavoro di concerto con ARTIKA, KR8TE e la Città di Padova, vede, ancora una volta, l’arte come denuncia che coinvolge tutto: politica, vita, costume e illusione.
Una mostra di 130 opere che spaziano dalla fotografia decadente e trionfale di Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, Diane Arbus ed Elliott Erwitt, per passare alle immagini a colori di Steve McCurry, Vanessa Beecroft e Annie Leibovitz. Il percorso si esalta all’apparire dei lasciti della Pop Art (James Rosenquist, Robert Indiana e Andy Warhol) e Street Art (Keith Haring, Mr. Brainwash, Obey e Banksy). Opere che urlano costernate al vedere una nazione tradita nella sua ideologia più costitutiva.
La mostra rappresenta uno strumento prezioso in quanto colma sempre qualche lacuna nella visione dell’american dream, questo non tanto per le opere e gli artisti, già molto noti e rinomati, quanto più per gli ultimi sconvolgimenti globali che vedono gli Stati Uniti disuniti, indeboliti nel ruolo mondiale di superpotenza. Una nazione che è davvero la questione del secolo, la risposta dalla quale dipende il nostro destino. Opere, più o meno recenti, che narrano una nazione a più dimensioni - principalmente geopolitica, cardinale e metafisica - alimentando di realismo la situazione scenica, forma artistica che prescinde dal contesto e richiede allo spettatore anche una sospensione dell’incredulità. 

Come si sarà compreso, una mostra indispensabile per ogni amante dell’arte tout court, degli studiosi o artisti in cerca di ispirazione. Un pantheon formale e contenutistico che ispira attraverso iniziative, polemiche e tentativi connessi a realtà sociali e personali, se vogliamo anche nascoste nella sostanza materica di cui le opere sono fatte. Un appuntamento da non perdere.

Lorenzo Fedele  05/6/23

"L'importanza di essere sé stessi": intervista al regista Giuseppe Venetucci

Siamo già a fine maggio. A Roma la stagione teatrale si conclude, i suoi effetti rimangono.
Oggi parliamo con Giuseppe Venetucci, che con la sua regia ha chiuso la stagione 2022-2023 del Teatro Belli con l’opera del drammaturgo e regista spagnolo Federico Garcia Lorca, “La casa di Bernarda Alba”, andata in scena dal 23 al 28 maggio.
Sold-out la prima, un teatro pieno anche per tutte le altre rappresentazioni. Entrare in questo teatro, che rientra fra quelli più antichi di Roma, ospitato in quella che fu la Chiesa del Monastero di Santa Apollonia, è già di per sé un’esperienza. Passando dal convento alla taverna, dalla taverna al teatro, il luogo ha accolto cambiamenti sociali e morali importanti nel corso dei secoli. E, con “La Casa di Bernarda”, è oggi l'arte dello spettacolo a scuotere nuovamente il rapporto tra morale e libertà. Un testo cupo, serioso, nella trama come nella storia. Questa opera teatrale in tre atti è stata scritta da Garcia Lorca nel 1936, alcuni mesi prima della sua morte, ucciso tragicamente dalle forze nazionaliste. L'opera fu successivamente rappresentata per la prima volta a Buenos Aires nel 1945.

Il testo ci parla delle manie represse di donne che devono fare della castità il loro voto per otto anni. Un periodo che corrisponde al lutto per la morte del secondo marito di Bernarda, madre di cinque sorelle. Oscurità, austerità, silenzio, provocazione, desiderio, passioni, colpa, apatia, sono alcune delle emozioni che scuotono la casa in pieno lutto. A reggere il tutto insieme, ad impedire le passioni individuali, a reggere insieme la parvenza degna della famiglia, è la morale folle e maniacale di Bernarda.
Accompagnandosi da Dorotea Aslanidis (Bernarda Alba), Nunzia Greco (La Poncia), Maria Cristina Maccà (Maria Josefa), Evelina Nazzari (Angustias), Giulia Guastella (Amelia) e Francesca Buttarazzi (Adela), Valentina Marziali (Martirio) e Ludovica Alvazzi Del Frate (Magdalena), Giuseppe Venetucci ha messo in scena nuovamente questa sessualità femminile soffocata, nel contesto socioculturale reale delle campagne dell’Argentina.
Giuseppe Venetucci debutta come regista teatrale a Roma, al teatro Politecnico, con l'adattamento del romanzo Povera gente di Fëdor Dostoevskij con Liù Bosisio e Pierluigi Aprà. Chiamato da Diego Fabbri, collabora come regista nella Cooperativa Odeion dal 1977 al 1891 (con Mila Vannucci, Paolo Carlini, Nando Gazzolo, Carlo Hintermann e Olga Gherardi), poi nella Cooperativa di Ileana Ghione dal 1983, mentre collabora con le tre reti radiofoniche della Rai in vari programmi culturali e sceneggiati in varie puntate, tra cui "Alla scoperta di Cristoforo Colombo" in 235 puntate e "Il nome della Rosa" di Umberto Eco.

Il suo adattamento permette ad oggi una riflessione attuale, sul corpo e la morale, ma soprattutto sulle strutture del desiderio. Cogliendo l'occasione di intervistare il regista, abbiamo potuto soffermarci sulle sue intenzioni, la genesi del progetto, il suo rapporto con il testo originale, ma soprattutto, incrociare i sguardi di chi ha visto (e si domanda), e chi l'ha fatto (e ne può rispondere).
Lorca parla di donne, donne che sono madri, spesso provenienti dalla Spagna rurale, donne forti. Penso alla “trilogia lorchiana" di cui "La Casa di Bernarda Alba" fa parte, assieme a Bodas de Sangre e Yerma. Quello che le chiedo è: “Come è riuscito a interpretare e rileggere questo aspetto nel suo riadattamento teatrale”?


"Nel mio riadattamento teatrale la questione che viene affrontata è la possibilità che vedeva Lorca di poter cambiare certe forme di impostazione culturale che avevano queste donne e che i tempi cambiano; perciò, bisogna adeguarsi culturalmente alle nuove esigenze della gioventù. Il personaggio della governante, che rappresenta il proletariato, riesce a far capire a Bernarda che è necessario essere coerenti con sé stessi, con i propri pregi e i propri difetti".


Le interpretazioni che spiccano maggiormente sono proprio quelle de La Poncia e di Bernarda Alba. Com’è stato lavorare con loro e quanto è stato unito il gruppo?


"Abbiamo lavorato in grande armonia. Con Nunzia Greco (La Poncia) avevo già lavorato e quindi abbiamo un rapporto artistico notevole, ma anche con Dorotea Aslanidis (Bernarda Alba) mi sono trovato benissimo, marciavamo sulla stessa lunghezza d’onda. È stata un’atmosfera molto piacevole".

L’allestimento con le sedie che si muovono andando a dividere e scontornare uno spazio da abitare fa pensare a “Diatriba contro un uomo seduto” di Marquez, in cui un uomo di spalle accetta passivamente un monologo di sua moglie che inveisce sui suoi tradimenti e la sua condotta da cattivo marito. Anche qui si parla di donna ispanica, forte e prorompente. Che ruolo hanno queste sedie e da dove nasce questa soluzione scenografica allestiva per scandire tempo spazio in scena?
"La soluzione delle sedie è stata fatta unicamente perché le volevo tutte in scena proprio per creare i climi sotterranei che si sarebbero creati, e questo in teatro potevo farlo solo muovendo delle sedie. Far uscire quelle sedie dalla scena avrebbe rotto quell’atmosfera che abbiamo cercato di dare".

Guardando lo spettacolo si nota questo sfondo che aveva sempre un colore diverso. C'è un motivo?
"Sì, esatto, sono i vari stati d’animo che si attraversavano, quello che potevamo prendere, quello che non riuscivamo a raggiungere e quello che, ad un certo momento, purtroppo avrebbe terminato. Per quanto noi cerchiamo di realizzarci per ottenere delle cose, molte volte non ci riusciamo. Con gli effetti della luce, perciò, riuscivo a restituire questi stati d’animo dei personaggi".

Pur mettendo in scena un ambiente radicalmente femminile, sembra che si delinei, in contrasto, una costante riflessione, una costante presenza della figura dell'uomo (temuto quando desiderato). Lei crede che l'Uomo, grande assente di questo palcoscenico, sia comunque una presenza fondamentale della sua opera?

"L’uomo visto più come realizzazione della propria personalità, cioè la necessità delle donne era di rompere questo clima e solo grazie all’uomo potevano realizzarsi. Questo però era possibile soltanto attraverso il matrimonio, difatti molti matrimoni venivano fatti perché la gente voleva uscire dall’ambito familiare e cercare una sua realizzazione. Adesso è normale che una ragazza vada a vivere per conto suo, ai tempi sarebbe stata giudicata come una persona di dubbia moralità".

Adattando un testo e anche una trama storicamente ben definita, ci si può chiedere quanto il pubblico di oggi vi sarà sensibile. Qual è il messaggio che Lei vuole, oggi, attraverso questa storia, far passare al pubblico?

"Quello che siamo riusciti a conquistare. Una donna che può vivere da sola, che può avere rapporti sentimentali e rapporti lavorativi, ma che comunque viene stimata per quello che è lei, non per quello che è la sua vita privata".

Sul ruolo della donna nel futuro, lei è fiducioso?
"Sì, ma lo vediamo anche dai risultati. Non parliamo poi anche dell’omosessualità di Lorca, al quale qui si sottende in maniera sottile ma che adesso non sconvolge più niente, gli omosessuali possono avere una vita regolare e soprattutto hanno la stima da parte degli altri. Non sono più giudicati come persone amorali".

Garcia Lorca fa morire l’unica tra le sorelle che si è davvero liberata a un potere, quello della madre e quello della negligenza delle altre. Come giudica questa azione di condanna da parte dell'autore?

"Non penso che la faccia morire per questo. Adela muore unicamente perché non riesce assolutamente ad essere sé stessa, l’unica soluzione possibile allora è quella di eliminarsi. Capisce quindi che non è tanto l’impossibilità ad avere il rapporto con Pepe, quanto il fatto che non ce la farà mai ad essere sé stessa. D’altra parte, Bernarda non può non essere che sé stessa a sua volta, perché dev’essere coerente con quella che è stata la sua formazione, la sua cultura e l’impostazione che ha dato alle sue figlie. Questa è la cosa che abbiamo raggiunto e abbiamo superato. Se ad esempio una ragazza va a dire alla famiglia che ha una relazione, la sua famiglia non la giudica male, anzi, la accetta, e non solo non c’è nessun giudizio da parte della famiglia, ma non c’è nessun giudizio nemmeno dalla società".
Lei trova quindi il sacrificio di Adela necessario?
Lo trovo come fato, bisogna morire per ottenere delle cose. Paga con la sua vita quello che è poi la conquista di noi. La gente dovrebbe riflettere su quanto certe impostazioni culturali portano all’annullamento di sé stessi.

Isac Jacky Debach, Aurore Dupaquier, Ilaria Ferretti 01/06/2023

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