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La solitudine del reporter: l'Auditorium espone le foto di Walter Bonatti

WALTER BONATTI. FOTOGRAFIE DAI GRANDI SPAZI
A cura di Alessandra Mauro e Angelo Ponta
8 ottobre 2015 – 31 gennaio 2016
AuditoriumExpo - Auditorium Parco della Musica, Roma

Alpinista estremo prima, reporter con zaino in spalla e macchina fotografica in giro per il mondo poi. Segnata dalle letture giovanili di Salgari, Melville, Jack London, quella di Walter Bonatti si può riassumere come la biografia di un uomo che ha riversato tutte le sue energie nell'avventura.
Alla sua lunga attività fotografica è dedicata la mostra "Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi", ospitata nello spazio espositivo dell'Auditorium Parco della Musica di Roma fino al 31 gennaio 2016.
Nato a Bergamo nel 1930 e scomparso nel 2011, Bonatti si imporrà ben presto all'attenzione delle cronache per le sue imprese da scalatore dal Monte Bianco al K2, fino all'ultima straordinaria ascesa in solitaria del Cervino nel 1965.
Ma è con l'abbandono dell'alpinismo estremo che Bonatti deciderà di passare "dal verticale all'orizzontale", come ha spiegato in diverse interviste. Quelle che un tempo erano le pareti scoscese, spesso innevate, delle montagne da scalare, ruotano qui di 90° e si riversano nelle vastità dei paesaggi e della natura selvaggia cercata in tutto il mondo – dalla Patagonia all'Australia, dai deserti africani ai vulcani dell'Indonesia – e testimoniata dai suoi reportage per il settimanale "Epoca".
Proprio su queste fotografie a colori si concentra la mostra, e la scelta è assolutamente azzeccata. Sono immagini potenti, da un lato come testimonianza visiva della varietà e della complessità di un mondo lontano e distante da quell'Italia a cavallo fra anni '60 e '70, ma esemplificano anche, dall'altro lato, la curiosità infinita di un uomo grande che torna piccolo al cospetto della scala gigante della natura in cui è immerso.
Sì, perché caratteristica frequente nei suoi scatti – che spesso, grazie a un complesso e innovativo sistema di comandi, sono in realtà auto-scatti – è che è facile scorgere la sagoma più o meno immersa nello spazio dello stesso Bonatti, e la sua presenza assume un peso non trascurabile. Come scrive infatti Walter Guadagnini nel testo in catalogo, "Chi guarda quelle immagini è nella posizione di chi ha scattato la foto, è (o era) lì, assieme a lui, in quel momento e in quel luogo. Come se, nelle sue fotografie, Bonatti passasse costantemente dalla terza alla prima persona, e viceversa, da un lato mantenendo il privilegio di essere il testimone unico di determinate visioni, dall’altro trasformando il lettore in narratore delle sue imprese."
Le grandi foto a colori in mostra sono poi accompagnate da filmati d'epoca, ricostruzioni a fumetti (riprese dagli albi disegnati da Enea Riboldi e Pasquale del Vecchio) e alcuni oggetti personali, scarponi, casco e quella macchina da scrivere sui cui tasti Bonatti, assieme alle fotografie, immortalerà la sua avventura.

Marco Pacella 07/10/2015

Alla scoperta dei giovani chef emergenti: la determinazione e la “scintilla” di Nikita Sergeev

È il terzo finalista per il premio Miglior Chef Emergente, nell’ambito del Cooking for Art, ed ha già vinto il premio come Miglior Chef Emergente del centro, Nikita Sergeev ha soli ventisei anni ma è dotato di grande determinazione, passione e lucidità, che porta in tavola ogni giorno nel suo ristorante L’Arcade, a Porto San Giorgio. Ha la voce sicura quando risponde sui suoi progetti futuri e sulla sua idea di chef, dimostrando una grande padronanza di quello che dice e che fa, del resto l’esperienza non gli manca. Si è formato nella Scuola Internazionale di Cucina Italiana Alma, dopo la laurea in Scienze Politiche a Mosca, suo paese d’origine ma dopo anni trascorsi in Italia, ha eletto le Marche come sua casa. Per descriversi, ironicamente, rispondendo a una mia domanda autobiografica, ha utilizzato una metafora che richiama la figura del paguro di Dalì e ha parlato di “scintilla” come requisito necessario per lavorare nella sua brigata.

Cosa vuol dire oggi essere uno chef?
"Oggi per me essere chef vuol dire fare il cuoco senza tenere la testa fra le nuvole pensando che sei arrivato, quando ottieni la menzione di chef non vuol dire che sai tutto. Fare lo chef vuol dire innanzitutto far da mangiare buono e sano."

Nel tuo lavoro serve sempre una buona dose di creatività, tu come l’alimenti?
"Non mi fermo e penso: “Adesso devo cambiare il menù”, come ti può confermare qualsiasi chef, ma è un’esigenza che cresce con l’arrivo di una nuova stagione. Mano a mano che arriva una nuova verdura o una carne, un particolare ortaggio, cominci a pensare, è proprio una nostra malattia, ti viene voglia di tirare fuori qualcosa, ci sono piatti che pensi a lungo. Un piatto deve essere semplice, pulito, ed esprimere la gioia provata nel prepararlo."

Perché hai scelto le Marche per il tuo ristorante?
"Sono di origini moscovita, ma da sedici anni vivo in Italia, ho girato e studiato tanto, ma spesso stavo in questa provincia, qui mi sentivo a casa. Conosco bene il territorio e mi sento di appartenere qui. Ora stiamo valutando l’idea di allargarci un pochino o presentare una duplice proposta, una gourmet e una di alto livello ma comunque più popolare. È normale che a Milano avrei avuto maggiore clientela, forse non durante questo anno , con l’Expo che ha portato il disastro nei ristoranti milanesi, ma comunque in città si può contare sui turisti, però,per me,che faccio una cucina gourmet con 25 coperti a sera è sempre un piacere accogliere nell’arco della settimana sempre persone diverse. Quando durante un anno rivedi le stesse persone tre o quattro volte, vista la proposta del ristorante , del suo target, certo non è un ristorante che si può frequentare tutti i giorni, è una grande soddisfazione."

Se potessi trovare un piatto che sia il tuo autoritratto quale sceglieresti?
"Un piatto mio? Mi viene una cosa in mente ma non la posso dire…le lumache, perché mi piacciono come cibo, sono morbide, non piacciono a tutti e si nascono dentro la conchiglia." 

Già hai ottenuto un riconoscimento importante, miglior chef emergente del centro Italia, quali sono i progetti futuri?
"Vado avanti, quando ho partecipato io ci sono andato per vincere, non sapevo di vincere ma ci sono andato con quell’intenzione perché ho cercato di partecipare al meglio. Sono contento è un obiettivo bello e una bella visibilità , ho ottenuto un sostegno mediatico, un interesse in più ed è stato un modo per far vedere e far avvicinare alla mia cucina, e poi stare al fianco di Luigi Cremona è sempre un piacere. Ora ci sono molti progetti legati al Cooking for art, l’ 8 ottobre sarò a Firenze per premiazione Guida Espresso, e dopo qualche giorno ci sarà Cene a Quattro Mani a Roma. Vincere è un riconoscimento personale."

Qual è la prova del nove per uno chef?
"Oltre a saper cucinare bisogna essere in grado di gestire la comanda, capire come si gestisce la brigata, serve il carisma che nessuno può insegnarti, è un lavoro caratterialmente molto particolare, quando devo valutare un cuoco dal punto di vista tecnico per prenderlo a lavorare gli faccio fare un risotto semplicissimo o la parmigiana, perchè la preparazione ha tanti concetti dentro. Quando prendo qualcuno a lavorare non guardo come cucino, perché quello può impararlo ma deve avere la stessa scintilla che ho io per questo lavoro."

Gerarda Pinto 06/10/2015

Tra musica e parole: intervista a Davide Misiano

Davide Misiano è un cantautore calabrese, romano di adozione e passeggero d’eccezione in tutta Italia per il successo di "Concertinstazione". L’ iniziativa è nata per caso, grazie a un video amatoriale esploso prepotentemente e viralmente su facebook con oltre 60mila visualizzazioni in soli due giorni: siamo alla Stazione Tiburtina di Roma. Tra la gente che corre… un pianoforte -“Play me, I’m yours” - e la musica ha inizio. “Proprio bravo ahò…fatte fa’ la foto!” gli grida una Signora, “Devi annà a Sanremoo!” consigliano alcune ragazzine, accese dagli irresistibili virtuosismi di Davide. Poi basta un cellulare e migliaia di spettatori, dai loro schermi, si aggiungono all’improvvisato gruppo di fan della stazione.
Da sempre alla ricerca di viaggi, musica e parole, Davide concilia la sua formazione classica (Laurea in Lettere classiche e Dottorato di ricerca in Filologia Classica) con l'attrazione per il suono, contaminando così la ricerca musicale con l’attività letteraria e il lavoro in campo editoriale.
Il nuovo singolo “Mi fanno male i piedi” è un pezzo dal titolo volutamente impoetico, attraversato da marcate sonorità pop che cantano il "dolore più comune", quello della gente che corre per strada, tra avvilenti frenesie e scarpe “troppo strette”.
Proviamo a conoscere meglio Davide, cercando di cogliere le sfumature più profonde - senza giudizi e schemi preimpostati – tra le parole e la musica di un fenomeno social/pop!

Innanzitutto, complimenti! Hai una bellissima voce e dando un’occhiata al tuo canale YouTube è stato interessante ascoltarti in più versioni, stili e mood. Non solo per i tuoi pezzi, ma anche per le cover. Come definisci la tua musica e a quali generi ed artisti ti ispiri?
"Grazie Giulia, la verità è che io non so cosa sia la mia musica, e forse non so neppure cosa sia la musica.
La mia musica è un’urgenza, non risponde a delle regole precise. Ed è per questo che ciò che faccio assume una varietà incontrollata di forme, che accetto tutte senza giudicarle, quasi come non fossero mie.
Evito di pensare che su di esse si applicherà un giudizio, le pubblico in quel momento di non lucidità che precede il pensiero e che segue immediatamente all’entusiasmo della realizzazione. Così da evitare che abbiano troppi filtri e così che siano fedeli alla verità che in quel momento sentivo di dover rappresentare.
Perché la musica ci dà la possibilità di essere tante cose insieme, ed è un’occasione fighissima in un momento in cui invece sentiamo la pressione degli schemi, di dover essere una sola cosa e sempre la stessa. Così “Mi fanno male i piedi” e “Chissà dov’è l’amore” possono veramente convivere, solo se accetti il tuo essere multipolare e non te ne vergogni. Poi sin da piccolo ho ascoltato tanto, dai virtuosi della voce (soul, blues, jazz) ai cantautori devoti alla parola e tutto questo in qualche modo contamina, in qualche forma resta. Ma divoro anche tutto il pop, persino quello più commerciale, attratto soprattutto dalle sonorità, dalle scelte stilistiche e di arrangiamento, che ti fanno capire verso dove si stia dirigendo il gusto. Nel panorama italiano, ho una profonda ammirazione per Tiziano Ferro, che ha davvero creato un nuovo modo di scrittura. Sul piano della parola però i miei modelli restano essenzialmente i pilastri del cantautorato, Battiato, Fossati, De Gregori, con un orecchio sempre particolarmente attento anche nei confronti della nuova scuola cantautorale rappresentata egregiamente da Fabi, Gazzè, Silvestri."

Interessante anche l’iniziativa di “Concertinstazione”! Mi considero fan di ogni artista “di strada”, dallo zingaro al cantante pop. Di chi, grazie alla musica, riesce ad allietare le anime costrette a correre tra metro, bus e stazioni, donando calore a quei luoghi liminali, di confine, dove l’umanità non sempre “si sente”. Che sinergia si crea con un pubblico creato per caso, tra una biglietteria e un treno?
"Questa esperienza è nata per caso. Io e il mio pianista, Stefano Greco, eravamo in partenza dalla stazione Tiburtina di Roma, uno dei tanti viaggi di lavoro. Quando Stefano si è accorto del pianoforte ha insistito per fare un pezzo insieme: dopo aver vinto qualche iniziale imbarazzo, ho cantato “Chissà dov’è l’amore”. Mi accorgevo che al flusso delle parole della canzone e del loro bagaglio emotivo si aggiungeva gradualmente il peso degli sguardi della gente, gente inizialmente incredula o sbigottita che poi decideva di fermarsi per ascoltare, per provare a capire. Ecco, riuscire ad entrare in quel modo, quasi a gamba tesa, nella vita della gente che sta correndo verso chissà cosa e costringerla a fermarsi è una sensazione molto forte e ben diversa da quelle provate in tanti anni di lavoro tra concerti e serate. Perché la gente per strada sceglie se ascoltarti o meno, non è costretta a subire la tua musica come lo è invece nel pub in cui sta mangiando. Non ti conosce, eppure sceglie di fermarsi e di ascoltare quello che hai da dire. E in questo momento storico l’ascolto è prezioso: nessuno sa più ascoltare o l’ascolto è viziato da manipolazioni varie. Alla stazione ti accorgi del singolo che si ferma, il pubblico non è una massa indistinta: ciascuno ha una faccia, una fisionomia che ricordi, perché ti sembra eccezionale che, pur avendo la possibilità di passare oltre, proprio quella persona abbia deciso di fermarsi."

Cosa si prova a cantare “Chissà dov’è l’amore” a chi si sta chiedendo “Chissà dov’è il binario”!?
"Si prova il coraggio di dire alla gente che a volte la frenesia della vita ci impedisce di capire bene cosa stiamo cercando o dove ci stiamo dirigendo. E poi, sinceramente, c’è anche la paura di essere presi per folli, che è molto eccitante!"

E a proposito di corse… “Mi fanno male i piedi”: il tuo ultimo video è ricco di colori, grandi “angolazioni”, travestimenti e aspirazioni coreografiche. Hai studiato la direzione con il regista? Cosa è cambiato dalla realizzazione di “Come polvere”?
"Non il regista, che è lo stesso. Claudio Formica è un giovane regista siciliano, che mi segue in questi miei esperimenti, e che io stimo particolarmente per la sensibilità nella scelta delle immagini, per l’originalità dei disegni. E’ certamente cambiato il tema e quindi anche la chiave scelta per veicolarlo. “Mi fanno male i piedi” è una protesta contro tutti gli stereotipi sociali, contro tutte le gabbie troppe strette che minano la nostra individualità. Una protesta però leggera, divertita, mitigata da questo gioco sui proverbi che mia madre mi ripete fino alla nausea e che io mi sono divertito a deformare nel testo della canzone. Per questo il video riflette un “mondo alla rovescia” dove tutto è possibile, anche che mia madre abbia la barba. Quest’ultima idea poi, che è l’idea di partenza del video, va attribuita al mio produttore, nonché compositore insieme a me di “Mi fanno male i piedi”, Massimo Gangalanti, che ci teneva ad aprire il video con una citazione, un omaggio al celebre video di “I want to breack free” dei Queen."

Il nuovo video sembra esprimere un’ironia quasi ostentata, forse grottesca, accompagnata da un pezzo molto orecchiabile, divertente e ritmato. C’è un rapporto di contrasto tra queste caratteristiche e il testo del brano che, al contrario, mi sembra profondamente cupo e malinconico (cit. “il posto dove non si può”)? Quanto rispecchiano il suo sottotesto e quanto c’è, davvero, di questa allegria?
"Come dicevo, il brano ha due vesti: quella veste immediata e se vogliamo realistica che rende il brano accessibile a chiunque sia costretto ad usare i mezzi per recarsi al lavoro, dalla casalinga alla modella che sta sui tacchi); e una veste sottesa che è nel rifiuto di tante sovrastrutture che questa società ci impone costringendoci all’omologazione. Ma la percezione deve rimanere leggera, perché è l’unico modo perché arrivi in profondità. Siamo una società inerte a causa dell’autocompassione, a causa di questo continuo piangerci addosso. Ho capito col tempo che solo l’allegria rende più facile anche la metabolizzazione del disagio, e l’ironia è l’anticamera del cambiamento."

Ti sei laureato in Lettere e hai anche un dottorato in filologia! Ci sono colori e note invisibili tra la tua musica e le parole? Nel video leggi “Gli autori della letteratura italiana” di Pazzaglia: quali capitoli sfogliavi con tanta foga?
"La mia formazione ha inevitabilmente, credo (e spero!), influenzato la mia scrittura. Lo spero anche per i miei genitori che hanno speso così tanti soldi per poi vedermi mollare tutto. Non so dirti quanto e cosa mi sia rimasto di quello studio “matto e disperatissimo”, che poi non ero affatto un secchione standard. Ricordo ancora l’esame di Paleografia Greca, sessione di luglio, in cui mi presentai in canotta e pantaloncini, con tanto di costume sotto pronto per andare al mare: l’assistente mi riprese per “l’abbigliamento sconveniente”, così disse. Io dico sempre che quello che ho studiato (e mi riferisco a tutti quei contenuti eruditi) forse l’avrò anche dimenticato, ma in ogni parola che scrivo c’è il peso specifico di quello che ho sentito studiando. Io mi divertivo a cercare parole nuove che aprissero sfumature che ancora non conoscevo, ero interessato ad approfondire me. Ah? I miei autori preferiti? Da pessimo filologo classico, amo la letteratura contemporanea. Il premio Nobel Saramago è il mio autore preferito, il suo libro “Cecità” ha cambiato la mia “visione” del mondo. A proposito, a quell’esame presi 30 e lode, vorrei ricordarlo a quel “paludato” assistente."

Passando per le tue stazioni (domanda marzulliana): da dove vieni e dove stai andando?
"Sto andando avanti per capire da dove sono venuto. Credo che sia la matrice di ogni nostra ricerca."

Mi permetto di concludere rubando una tua riflessione dal blog e lasciando ai lettori la risposta alla domanda: chi è Davide Misiani?
"La musica è la grande occasione: la possibilità di vivere in un solo istante infinite vite. Perché la nostra vita non ci basta, non ci basta questo spazio stretto dove tutto sembra avere un unico nome. Non ci bastano questi piedi saldamente ancorati a terra, che talvolta fanno male. Non ci basta il ricordo di vite passate dove forse eravamo altro da noi. Non ci basta il pensiero quando è nemico dell'immaginazione. Cerchiamo l'assenza, il vuoto da raccontare; cerchiamo quello che non abbiamo o che non siamo anche solo per poterlo concepire. Ė questa la possibilità: la possibilità di non essere una cosa sola in un posto solo, in un tempo drammaticamente definito. La possibilità di non essere la cosa giusta."

Giulia Sanzone 05/10/2015

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