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Girare una web serie ai tempi della pandemia: il regista Marcantonio Graffeo ci racconta l'esperimento di "Chat Therapy"

Chi ha detto che il lockdown deve immobilizzare la creatività? Chat Therapy, in onda ogni domenica alle 18 sugli omonimi canali social (le puntate, una volta uscite, rimangono disponibili su YouTube), è una web serie di genere comedy scritta da Tania Dimartino e diretta da Marcantonio Graffeo, pronta a dimostrarci che girare una fiction a prova di quarantena è una scommessa che si può vincere con successo. In piena pandemia, un gruppo di pazienti abituati a riunirsi per una seduta settimanale di psicoterapia di gruppo, decide di continuare gli incontri in videochat. Il terapeuta (Roberto Nobile), santo protettore del popolo (in espansione) dei nevrotici, finisce però per non presentarsi, lasciando i suoi pazienti in balia di loro stessi, tra ipocondrie e crisi interiori. Gioia (Stefania Barca), Marzia (Marzia Fontana), Roberto (David Pietroni), Marcello (Sebastiano Colla) e Anna (Annamaria Iacopini) - che richiamano alla lontana la squadra di ossessivi-compulsivi di Toc Toc, spassosa trasposizione filmica della commedia teatrale di Laurent Baffie - sono gli specchi perfetti per raccontare, con ironia e intelligenza, le difficoltà e le ricadute psicologiche dell’era del distanziamento sociale, in cui lo spettatore non fatica a identificarsi, anche perché in Chat Therapy la “regola” della quarta parete viene beffardamente infranta. Ne abbiamo parlato con il regista, Marcantonio Graffeo, che ci ha raccontato le strategie messe in campo per questo esperimento di “regia a distanza”.

Qual è stata la prima cosa che ha pensato quando ha deciso di cimentarsi nel progetto? Era scettico sui limiti dovuti alla “virtualità”, o l’idea la incuriosiva?
«Ero scettico, non lo avevo mai fatto. Pensavo che la mia presenza sarebbe stata inutile, che mi sarei dovuto limitare a dare qualche parere, come quando si guarda una cosa già fatta sullo schermo, e si dice “mi piace” o “questa cosa mi piace meno”, e non è questo il tipo di lavoro che credo un regista debba fare con gli attori. Infatti, quando mi hanno chiamato a partecipare su Facebook (gli attori provavano già da un po’ con l’autrice, Tania Dimartino), ho risposto così: “Partecipo volentieri, se non altro per dimostrare l’inutilità del regista!”»

Dirigere gli attori significa dirigere corpi e voci che si muovono nello spazio. Cosa ha comportato l’assenza del corpo in termini di direzione attoriale?
«Io tendo a immedesimarmi nello stato emotivo di ciascun personaggio, diventando anche io per un momento il personaggio, per poi passare all’altro, interpretandoli tutti. Il corpo, l’atteggiamento, la postura, si trasformano: così comunico all’attore quello che sento nel personaggio. Credevo che attraverso la chat questo si perdesse, che restasse solo la voce; invece, dal momento che stiamo tutti seduti e mostriamo di noi quasi sempre il solo mezzo busto, la comunicazione del linguaggio del corpo si limita e concentra interamente su quella parte, e funziona. Insomma, il corpo c’è, anche se limitato. Non c’è il contatto fisico, né tra gli attori né con me, ma quello è il limite della situazione scenica. Come se due persone si parlassero dalle finestre del cortile.»

Nel corso della puntata il flusso e i tempi dei dialoghi risultano molto spontanei, e lo spettatore ha quasi la sensazione di poter intervenire in prima persona. È l’effetto di un forte realismo mimetico. Come avete raggiunto questo risultato di immediatezza durante le “riprese” e in fase di montaggio?
«Sì, questa sensazione l’ho avuta anche io fin dalla prima prova e l’ho voluta cavalcare subito. È una diretta, è quasi una diretta. Ho detto agli attori che dovevamo farla senza interruzioni, non volevo intervenire al montaggio. Così abbiamo stretto i tempi di reazione tra di loro, tollerato gli accavallamenti, lasciato gli errori tecnici. Abbiamo guadagnato in verità e immediatezza, valorizzando il mezzo tecnico per quello che è, con limiti e pregi. Questo lo spettatore lo apprezza.»

Si ragiona molto su come il cinema racconterà la quarantena, mentre voi lo state facendo in itinere, con i mezzi che tutti noi usiamo quotidianamente per lavorare e coltivare i nostri affetti. Perché secondo lei era importante raccontare la quarantena durante il suo svolgersi, e cosa le ha lasciato questo esperimento di regia “via chat”? Crede che questa modalità produttiva “emergenziale” potrà avere senso e valore anche quando si tornerà a girare normalmente?
«Questa è una tragedia colossale, e non soltanto per le migliaia di persone che hanno perso la vita: le vittime sono anche sociali, la pandemia ci ha portato miseria e disoccupazione. Ma anche problemi psicologici, isolamento. La spinta vitale in noi ha però prevalso. Metterci a fare il nostro lavoro ci ha aiutato; isolati e senza futuro rischiavamo di deprimerci. L’autrice per prima ha capito che i problemi psicologici sarebbero aumentati, e chi era già fragile ne ha risentito ancora di più. La Chat Therapy è uno strumento necessario e continuerà ad esistere per le persone anche dopo l’isolamento forzato. Questo ha fatto bene anche a noi. È un tipo di format che sopravviverà anche dopo l’isolamento, e in forme sempre più elaborate. Tutto ciò va oltre il cinema. E, anzi, sarà il cinema a “rubare” da questa esperienza, perché questa esperienza è realtà.»

 

Maria Giulia Petrini  13/05/2020

Dé relitti e delle quarantene: intervista a Mario Menicagli sull’opera lirica ispirata dal lockdown

Il covid-19 e la cattività forzata hanno permesso agli artisti di avere tanto tempo per creare. Uno di loro, però, ha preso questa tematica e ne ha fatto un’opera lirica. E’ il caso di Mario Menicagli, che si fa ispirare dalla quarantena e immagina la vita di una comune coppia. Argìa e Gervasio sono i protagonisti di “Dé relitti e delle quarantene”, un componimento che vuole raccontare in chiave tragicomica la vita di coniugale ai tempi del coronavirus tra incomprensioni, litigi e riappacificazioni.

Con pochissimi elementi, Menicagli ha dato vita ad un atto di 28 minuti, che oltre ai due interpreti principali (rispettivamente Costanza Gallo, soprano, e il baritono Carlo Morini) si avvale di cinque musicisti. Tutti hanno collaborato con grande entusiasmo a questo prodotto “casalingo”, che rispecchia pienamente ciò che è stata la quotidianità nel periodo di lockdown. Le registrazioni, effettuate con apparecchi non professionali come PC e smartphone, verranno poi assemblate in fase di montaggio. Un’idea innovativa, un modo per non “perdere tempo” in questi mesi di stop e per non farsi trovare impreparati quando si tornerà sul palco.

Mario Menicagli ha alle spalle già quattro opere, come “Il gatto con gli stivali” e “Cenerentola”, quest’ultima attualmente in programmazione a Bucarest in lingua rumena. Lo abbiamo intervistato e ha risposto ha molte curiosità sul suo nuovo lavoro “Dé relitti e delle quarantene”.

Come nasce l’esigenza di produrre questa opera?

"Sono una persona costantemente attiva, quindi ho fatto di necessità virtù. Dal secondo giorno di lockdown, mi è venuto in mente di comporre questa operetta, pensata in stile settecentesco".

Quali sono stati i presupposti per la composizione di “Dé relitti e delle quarantene”?

"Volevo parlare di questa situazione in maniera tragicomica, quindi mi sono ispirato all’opera del secondo settecento. Volevo un prodotto da ultimare in tempi brevi e che fosse in linea con lo stile di vita casereccio della quarantena. Ognuno ha fatto la propria registrazione a casa sua, con mezzi di fortuna. Anzi, ho chiesto ad ognuno di utilizzare quello che aveva, quasi tutti il cellulare. La partecipazione è stata totalmente volontaria e il costo di produzione sarà unicamente quello dello studio di registrazione".

Dove e quando potremo trovarla online?

"Contiamo di finire tutto nei prossimi giorni e poterla mandare online. Si potrà trovare, senza dubbio, sulla piattaforma Open Opera, che offre anche un interessante format: un talent show della lirica, con cantanti che provengono da tutto il mondo".

In quanto tempo è stata concepita?

"Sono riuscito ad ultimarla in circa 34 giorni. Il libretto l’ho scritto in collaborazione con Lido Pacciardi, un personaggio meraviglioso: un poeta di Collesalvetti, noto per aver trascritto in versi e rime oltre 800 favole esopiche, contenute nell’opera “Esopo in toscana”. A dire il vero, ho anche castigato un po’ la forma e linguaggio. Lido lo aveva pensato fortemente livornese, io ho lavorato sulla metrica e al contempo ho messo dentro un po’ più di italiano".

Come mai la scelta è ricaduta proprio su questo titolo?

"Il titolo “Dé relitti e delle quarantene” fa riferimento appunto a quello che rimane, dei “relitti” post-quarantena; poi c’è, ovviamente, l’ analogia con “Dei delitti e delle pene”. Inoltre quel dè, con accento acuto, è un’esclamazione tipica livornese, che usiamo davvero per tutto, in ogni contesto e occasione".

Pensa che potrebbe adattarsi bene ad andare in scena subito dopo la riapertura?

"Questa è un’opera che si presta ad essere portata in scena anche con le varie misure restrittive: i cantanti sono solamente in due, che tra l’altro litigano nella trama. Sono marito e moglie che durante la quarantena esplodono, quindi in scena non starebbero neanche vicini. Sarebbe la situazione ideale per poter approfittare di una ipotetica riapertura".

Avete già ipotizzato come potrebbe essere un’eventuale prima live. Cosa può dirci in merito?

"Noi speriamo che già a luglio si possa fare qualcosa. L’opera debutterà a Collesalvetti nella splendida tenuta Bellavista Insuese . Abbiamo pensato anche ad eventuali misure di sicurezza. Sicuramente il distanziamento del pubblico, la location tra l’altro è immensa, potrebbe ospitare fino a 2.000 persone. Ovviamente limiteremo gli ingressi in relazione alle disposizioni. I due cantanti saranno posizionati in modo tale da essere distanti tra loro e anche per l’orchestra non ci sarà alcun problema perché si tratta di un quintetto di archi e ad libitum l’aggiunta di fiati e timpani. Metteremo senz’altro un dispenser con un gel igienizzante per le mani. Ovviamente aspettiamo direttive più precise, che ancora non ci sono. Il nostro intento è quello di non farci trovare impreparati nel momento in cui si potrà ripartire".

In una futura registrazione in studio potrebbe esserci qualche variazione?

"Faremo sicuramente un CD, ma non so se potrebbe cambiare qualcosa. Si potrebbe includere qualche brano orchestrale, ma, normalmente, sono abituato a pensare che quando le cose nascono in un modo, devono rimanere tali o si rischia di rovinarle".

In conclusione: cosa si augura per il futuro e per il debutto di questa sua opera?

"E’ stato un progetto genuino che ha coinvolto anche gli interpreti in un modo molto sincero e spontaneo. Faccio parte di una categoria, anche come organizzatore, che è stata tanto colpita. Ma, rispetto alle immagini che arrivavano i primi giorni, pensavo alla gravità dell’emergenza sanitaria e non alle mie cose. Mi ritengo fortunato perché questa pandemia non mi ha toccato personalmente. Il disastro economico che ne poteva derivare non è stata una cosa a cui ho pensato subito; ci sono molte persone che si trovano in grande difficoltà e spero ci siano aiuti concreti. La ripresa sarà graduale un po’ per tutti, specialmente per il nostro comparto. Inizialmente, il pubblico sarà un po’ restio a tornare a teatro e chi sarà indeciso se venire o meno, opterà per non venire. Con il tempo, però, ricomincerà ad esserci l’entusiasmo di prima".

In attesa del debutto live, tenete d’occhio il sito https://openopera.it/ per ascoltare “Dé relitti e delle quarantene”.

Micaela Aouizerate

Teatro e Coronavirus: platee digitali e nuove strategie social

C’è una piccola luce sulla scena. Nel sorprendente inganno della finzione è ancora possibile uno sguardo coscienzioso e un rimasuglio di normalità apre il sipario alle nuove proposte. Il teatro e le parole riempiono il mondo digitale, rarefatta astrazione regolata dall’assenza di contatto: ogni sguardo si perde nel silenzio dell’emergenza e mette in stand-by il tacito accordo fra attori e spettatori. Non era prevedibile, ma nell’immobilismo forzato la creatività può ancora compiere uno slancio decisivo e il recupero della condivisione diviene azione necessaria. Letture ad alta voce, chiacchierate informali e brevi interpretazioni diventano contenuti indispensabili delle pagine social e le piattaforme generano sezioni dedicate allo streaming e alla fruizione a distanza. Non c’è distanza senza connessione ed è curioso che in uno stesso termine convivano il significato e il suo opposto: quella linea retta immaginaria che unisce luoghi, oggetti o persone crea legami autorevoli che hanno bisogno di colmare un’assenza.

Lo sviluppo delle strategie di comunicazione non sostituisce di certo le poltrone rosse o il brusio che si acquieta trepidante, ma sperimenta un’interazione con un pubblico da divano che non rinuncia al piacere della bellezza. Ogni sera, a teatro, succede qualcosa di diverso e riprodurne l’aspetto fondante sarebbe inattuabile, ma essere spettatori virtuali non significa essere soggetti passivi e la partecipazione emotiva può ancora essere pensabile. «Il teatro veicola contenuti di altissima valenza affettiva, culturale ed emozionale - spiega Guido Di Fraia, prorettore IULM all'innovazione e alla comunicazione e ricercatore - Attraverso i social abbiamo imparato a generare delle relazioni di valore con i nostri interlocutori e a seguito dell’emergenza ci si è spostati da una logica puramente push, quella tradizionale dell’advertising, a quella dell’Inbound marketing dove sponsorizzare lo spettacolo non basta, occorre stabilire e mantenere una relazione con l’utente. In questo momento intercettare i bisogni diventa ancora più funzionale dato che c’è un uso maggiore dei social network». Se la variazione delle logiche di promozione si accosta alla funzione sociale appare innegabile un’evidente scompenso fra ciò che è sempre avvenuto e ciò che sarà. L’incremento delle attività social del teatri di tutta Italia mostra una buona interazione col pubblico che risponde bene alle iniziative: rubriche per i più piccoli, podcast, lezioni in pillole tenute da esperti del settore e creazione di hashtag riconoscibili.

L’ aumento dell’interazione si accosta a un probabile ampliamento del target e le piattaforme video registrano una crescita notevole delle visualizzazioni, dimostrando che un probabile archivio digitale avrebbe un buon seguito. «I consumi culturali sono sempre molto complessi e la dimensione comunicazionale è certamente decisiva. Intercettare nuovo pubblico è possibile, ma la comunicazione dev’essere progettata equilibrando il canale, il contenuto e le strategie per attrarre un target più giovane e dinamico escluso dalla comunicazione tradizionale. Dal 2010 abbiamo un osservatorio che analizza la gestione dei contenuti social di 720 aziende italiane e ci siamo resi conto che nonostante sia aumentato costantemente l’uso delle piattaforme, la capacità con cui le aziende italiane continuano a gestire i social è spesso molto bassa. Da ciò si evince che i teatri non sono le uniche realtà ad avere carenze di questo tipo». Un’attenzione maggiore dev’essere dunque dedicata agli strumenti della rete. Le possibili evoluzioni non possono essere determinate, ma la creazione di nuovi linguaggi investe le logiche della comunicazione teatrale che ricorre a meccanismi di sussistenza diversificati - temporanei o duraturi - dai risvolti potenziali. La creatività accresce le competenze e il valore della consapevolezza attiva il countdown della riapertura. Tre, due, uno…Sipario.

Laura Rondinella  08/05/2020 

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