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A Firenze il "Birraio dell'anno"

Da venerdì 20 a domenica 22 gennaio 2017 al teatro ObiHall di Firenze andrà in scena uno tra gli eventi più attesi dell’effervescente panorama brassicolo italiano: Birraio dell’Anno. Giunto all’ottava edizione il premio, ideato e organizzato dal network Fermento Birra, che ogni anno riconosce il miglior artigiano della birra italiana, darà vita ad un appuntamento imperdibile per ogni appassionato, ricco di emozioni birrarie garantite da un’offerta ultra-selezionata composta da 100 birre artigianali alla spina prodotte dai 25 birrifici italiani individuati dal voto degli oltre 100 esperti interpellati. Al noto degustatore Lorenzo “Kuaska” Dabove il compito di pronunciare domenica 22 alle ore 17.30 l’atteso nome del vincitore dell’ambito premio Birraio dell’Anno, oltre a quello del miglior Birraio Emergente, riconosciuto al produttore con meno di due anni di esperienza.

Protagonista anche lo street food di qualità grazie alla collaborazione con Cucine di Strada che porterà una selezione di truck e banchi ricchi di sfiziosità: le arancine e le specialità siciliane di Arà; il panino con il lampredotto, la ribollita e il peposo di Luca Cai dell’Osteria Tripperia il Magazzino di Firenze, la pizza gourmet della rinomata pizzeria bolognese Ranzani13; il pulled pork realizzato con spalla di maiale cotta a bassa temperatura da Slow Cooked; l’hamburger di Chianina di Panino Tondo; e ancora lo street food di mare del Polpaio dell’Isola d’Elba.

L’evento sarà impreziosito da degustazioni e incontri gratuiti realizzati nell’area Beer Show sul palco del teatro. Nell’area Beer Match al primo piano in uno spazio riservato si svolgeranno tre degustazioni guidate (prenotazione obbligatoria). Sabato 21 gennaio ore 15 il degustatore Simone Cantoni presenterà “Italian Lager“: 4 birre ispirate al mondo delle Lager tedesche prodotte da 4 birrai italiani che amano interpretare gli stili di bassa fermentazione (Canediguerra, Mastino, Birra Elvo e Carrobiolo). Sabato 21 gennaio alle ore 18 il degustatore Andrea Camaschella condurrà “Let me Hop!“: 4 birrai rinomati nel saper luppolare, racconteranno attraverso 4 birre il loro rapporto con il profumato fiore, l’approccio produttivo, l’approvvigionamento, le tecniche utilizzate in birrificio (Hammer, Toccalmatto, CR/AK, Vento Forte). Domenica 22 gennaio alle ore 15 il degustatore Lorenzo “Kuaska” Dabove presenterà “Ed eran Botte!“: 4 grandi birrai ci raccontano la loro esperienza con l’utilizzo della botte in birrificio attraverso l’assaggio di 4 grandi birre (Birrificio Italiano, Extraomnes, LoverBeer, Montegioco). Per ulteriori info e acquisto biglietti si rimanda al nostro e-commerce.

Birrai, esperti, appassionati, curiosi, publican, operatori del settore, degustatori e giudici: tutti sono invitati a partecipare ad un evento nato per festeggiare la buona birra artigianale italiana!

Birraio dell’Anno è un evento realizzato da Fermento Birra con il supporto tecnico di Rastal, Sibe Commerciale e Prinz, con la collaborazione di Fermento Birra Magazine e Cucine di Strada.

Candidati al premio Birraio dell’Anno 2016:

Agostino Arioli del Birrificio Italiano di Limido Comasco (CO)
Fabio Brocca del Birrificio Lambrate di Milano
Bruno Carilli del Birrificio Toccalmatto di Fidenza (PR)
Luigi D’Amelio del birrificio Extraomnes di Marnate (VA)
Andrea Dell’Olmo del birrificio Vento Forte di Bracciano (RM)
Pietro Di Pilato del birrificio Brewfist di Codogno (LO)
Alessio Gatti del birrificio Canediguerra di Alessandria
Pietro Fontana del birrificio Birra del Carrobiolo (MB)
Riccardo Franzosi del Birrificio Montegioco di Montegioco (AL)
Lorenzo Guarino del Birrificio Rurale di Desio (MB)
Emanuele Longo del Birrificio Lariano di Dolzago (LC)
Valter Loverier del birrificio Loverbeer di Marentino (TO)
Luana Meola e Luca Maestrini del birrificio Birra Perugia di Perugia
Nicola Perra del birrificio Barley di Maracalagonis (CA)
Matteo Pomposini e Cecilia Scisciani del birrificio MC77 di Serrapetrona (MC)
Luigi Recchiuti del birrificio Opperbacco di Notaresco (TE)
Mauro Salaorni del birrificio Mastino di San Martino Buon Albergo (VR)
Alessio Selvaggio del birrificio Croce di Malto di Trecate (NO)
Marco Valeriani del birrificio Hammer di Villa D’Adda (BG)
Josif Vezzoli del birrificio Birra Elvo di Graglia (BI)

Candidati al premio Birraio Emergente 2016:

Flaviano Brandi del birrificio Bibibir di Castellalto (TE)
Conor Gallagher Deeks del birrificio Hilltop di Bassano Romano (VT)
Luciano Landolfi del birrificio Eastside di Latina
Marco Ruffa del birrificio CR/AK di Campodarsego (PD)
Michele Solimando del birrificio Ebers di Foggia

Per info su costi e orari: http://www.birraiodellanno.it/evento/ 

“Per una qualità alta della visione”: dialogo con Daniel Montigiani ed Eleonora Saracino

“American Horror Story”: Mitologia moderna dell'immaginario deforme” è il titolo del saggio scritto a quattro mani dai giornalisti e critici cinematografici Daniel Montigiani ed Eleonora Saracino. Il volume, che analizza le prime cinque stagioni (si è conclusa la sesta ed già confermata una settima), ci immerge all'interno del magmatico e sfaccettato universo filmico partorito dalle menti di Ryan Murphy e Brad Falchuck. Una minuziosa e preziosa mappatura delle principali tematiche, dello stile e degli archetipi dissacranti alla base della serie tv targata FX. Abbiamo rivolto alcune domande agli autori per comprendere meglio lo spirito di una produzione che, nonostante abbia riscosso un notevole successo, ha mutato volto nel corso degli anni e provocato qualche polemica...

Quando diciamo “serie tv”, spesso viene meno proprio il termine “tv”. Nell'era di Netflix e delle maratone casalinghe, i piccoli schermi si sono moltiplicati, e di conseguenza i modi di fruizione... “American Horror Story”, essendo antologica, non ci obbliga nemmeno a una visione “classica” e lineare...

Eleonora Saracino: Sì, anche se sarebbe opportuno, perché è un progetto complesso e composito. È vero, sono stagioni separate, ma quando si arriva a “Hotel” si comprende come tutto in realtà sia collegato, compresi i crossover, che sono importanti. Il tipo di fruizione è importante. Noi come scrittori e indagatori di questo incubo, nel senso suggestivo e poetico della parola, lo abbiamo consumato tutto insieme, abbiamo fatto il binge watching. Non c'è un modo per vedere la serie, quello che conta è la prospettiva. Per noi è diventata un mondo parallelo, eravamo talmente dentro che l'unico modo per riuscire a “vederla” era scrivere un libro, e man mano il filo rosso tra episodi e stagioni si faceva sempre più chiaro. Quando fruisci di una serie settimanalmente, inserisci all'interno della serie stessa l'attesa, la tua vita, stai vivendo e aspetti l'episodio successivo. Con il binge watching, invece, ti immergi all'interno di un processo totalizzante. Il modo, giusto o sbagliato che sia, dipende dallo spettatore. Le maratone, però, sono sempre esaltanti al pari di quelle cinematografiche.

“AHS”, ovvero un multiforme affresco in cui s'intrecciano diverse storie, ognuna dotata di una propria identità. Quali sono per voi le migliori stagioni? Quale consigliereste per iniziare?

Daniel Montigiani: In genere le prime due stagioni, “Murder House” e “Asylum”, sono considerate le migliori. La prima parla di una casa infestata a Los Angeles, la seconda ruota intorno a un manicomio nel Massachusetts. Noi amiamo moltissimo “Freak Show”, forse la nostra preferita, ed è quella di cui abbiamo scritto insieme il capitolo. Però non potrei consigliarla come prima da vedere, perché l'orrore è molto limitato. Ryan Murphy era rapito dal personaggio di Jessica Lange e tutto ruotava intorno a lei. L'attrice, poi, non ha mai amato molto il genere, e anche per questo il lato sanguinario è stato lasciato un po' da parte per venire incontro alle sue esigenze. “AHS” non è soltanto horror, ma una commistione raffinata che include mélo, grottesco e camp. Il mélo, in questo caso, è una parola chiave poiché con Jessica Lange forma una coppia perfetta. Perciò direi le prime due, in particolare “Asylum” dove tra l'altro l'horror è anche psicologico, che scaturisce dall'internamento forzato all'interno di un luogo da cui è quasi impossibile fuggire.

Potremmo parlare di “AHS” come di un'operazione tipicamente postmoderna. E in effetti la citazione è un elemento fondamentale dell'insieme. Quali sono i riferimenti da cui hanno attinto i creatori Ryan Murphy e Brad Falchuck?

ES: Una serie di vere e proprie ossessioni. Il primo show a cui si è ispirato Murphy è stato “Dark Shadows”, soap opera andata in onda negli Stati Uniti negli anni Sessanta, dove tutto era orientato o al dramma o alla commedia. Quando, dopo un anno, il creatore Dan Curtis introdusse il personaggio del vampiro Barnabas Collins, per la prima volta l'orrore entra nelle case degli americani, e tutto cambiò di segno. Una seconda ossessione, è il fatto che loro fossero condizionati da tutto il cinema che avevano visti da bambini, e dal concetto di paura che attiene alla tradizione. Il film cult al quale si sono ispirati è “Freaks” di Tod Browning, e di riferimenti ce ne sono moltissimi. Ma anche altri autoreferenziali, legati alla vita dei personaggi: ad esempio la vincita dell'Oscar in “Freak Show”. Elsa Mars, che rifà il verso a Marlene Dietrich, sogna Hollywood, un sogno infranto in partenza dal fatto che non poteva fare l'attrice a causa di un tragico incidente. E lei, Jessica Lange, di Oscar nella sua carriera ne ha vinti due. Tutto il progetto è costellato da tante chicche: dai grandi classici e Bela Lugosi, passando per Kubrick fino a David Fincher. Un universo noto ai cultori di un certo cinema, ma anche agli spettatori più appassionati.
DM: A proposito di citazioni è interessante notare come il discorso ci riporti alla “contesa”, al gioco horror non horror. Ci sono molti riferimenti che non hanno nulla a che fare con questa dimensione. Sempre in “Freak Show” è facilmente riconoscibile l'influenza dei film della coppia Sternberg-Dietrich degli anni Trenta, e di Douglas Sirk, tra i più grandi registi di melodrammi negli anni Cinquanta. Mi vengono in mente “Come le foglie al vento” e “Magnifica Ossessione”. È un discorso che va al di là dell'impronta che negli anni ha caratterizzato la serie, che spesso viaggia verso altri lidi lontano da morbosità e oscurità tipiche del genere.

Nel vostro saggio definite la serie come un'enciclopedia visiva del lato oscuro dell'America divisa. Oscuro, ambiguo, è sovente il lavoro di Kyle Cooper, regista e designer dei titoli di testa, attivissimo anche nel campo del cinema. Avete approfondito questo aspetto?

ES: Sì, abbiamo analizzato sia i titoli di testa che i teaser, che spesso sono ingannevoli e vanno a stuzzicare l'interesse generale. Ma la maggior parte delle volte non attengono al tema della stagione. Spesso si parla d'altro, ed è una scelta ponderata in principio dagli autori allo scopo di invogliare lo spettatore. I titoli di testa sono tutti importanti e diversi, particolarissimi sul piano delle animazioni in cui appaiono personaggi e situazioni che fanno riferimento a ciò che accade negli episodi. Per esempio in “Coven”, tutto ruota intorno alla elezione della strega suprema e fino alla fine non ne scopriamo l'identità. In realtà, nei titoli di testa, c'è un elemento collegato ad una personalità religiosa, che a sua volta rimanda alla suprema e alla prova delle sette meraviglie.

Un po' come accadeva nei titoli in “Se7en” di Fincher, dove le parole “she” e “pregnant” scritte da John Doe nei suoi diari fornivano cruciali indizi sull'identità dell'ultima vittima...

ES: Esatto, c'è un preciso intento dissimulatorio. Gli autori e tutto il team hanno giocato moltissimo anche sul font della serie, oggi marchio registrato, anche se in rete si possono trovare e scaricare molti font simili. Questo ci fa capire come “AHS” sia una serie iconica, ponendosi in tal senso a tutti i livelli, dal font fino alla storia, alla regia, ai costumi. È diversa da tutte le altre e ha segnato un passo in avanti per il piccolo schermo. Un po' come fu, se vogliamo fare un paragone ardito ma non troppo, “Twin Peaks” negli anni Novanta.
DM: I titoli di testa sono proprio un biglietto da visita per una riflessione generale sullo stile. E sono tanto cruenti ed eccessivi quanto raffinati come la serie stessa. Talvolta, appunto, lo stile è talmente sofisticato e barocco da far passare in secondo piano la violenza che viene mostrata. La sofisticatezza e la maestria con cui riescono a girare molte sequenze quasi ti fanno dimenticare quanto queste scene siano realmente feroci. È quasi un ossimoro. Abbiamo allo stesso tempo violenza estrema ed estrema raffinatezza, e lo vediamo particolarmente in “Hotel”, in cui i momenti più terribili e colmi di sangue avvengono all'interno di stanze estremamente elaborate, Art déco. E questo ricorda Dario Argento, e un po' anche David Lynch.

“AHS” deve molto alle memorabili interpretazioni di Jessica Lange, che dopo la quarta stagione ha abbandonato il set. Con “Hotel”, subentra nel cast Lady Gaga, il cui ruolo nella serie avrà un peso sempre maggiore. Quanto ha inciso questo passaggio di scettro?

ES: Jessica Lange si è dimostrata ancora una volta la grandissima attrice che è, e a Hollywood, come è accaduto spesso, gli attori hanno avuto una seconda giovinezza grazie alla televisione. Lei fa un lavoro straordinario sulla voce, perché il suo personaggio in "Freak Show" è di origini tedesche, curando molto il suo accento (che non è mai posticcio) e le doti canore. Durante la stagione, infatti, canta due canzoni: “Life on Mars” di David Bowie (non caso è Elsa Mars) e “Gods and Monsters” di Lana Del Rey, quest'ultima durante la notte di Halloween che è per tutti i teatranti una notte maledetta dove non si dovrebbe andare in scena. Interpreta sempre personaggi atroci, non soltanto perché sono cattivi ma sopratutto perché sono dolorosissimi. Come appunto la Mars, donna devasta umanamente e fisicamente al quale infonde un senso di disperazione per cui è impossibile non empatizzare con lei. Uno degli archetipi principali della serie è la maternità, e lei che è una madre matrigna che ha sofferto nel fisico e nel cuore, lo incarna alla perfezione restituendo le emozioni in modo realistico. Una delle sue interpretazioni più commoventi e toccanti.
DM: Ovviamente un'attrice come Jessica Lange è insostituibile, perciò Lady Gaga non ha sostituito nessuno. E devo dire che ha dimostrato di avere talento, senza mostrarsi “ridicola” poiché alcune scene estreme colme di sangue, orge grottesche, talvolta al limite dell'ironico, potevano portarla a qualche scivolone. Rispetto alla Lange, nonostante abbia fatto una scuola di recitazione perché voleva diventare attrice, non ha l'esperienza. Colpisce, però, per una dicotomia in particolare. Nella prima parte di “Hotel” la vediamo estremamente glaciale, con uno sguardo che impietrisce da lontano. Quando iniziamo a scoprire il suo passato, fatto di illusioni e disillusioni, comincia a trasformarsi, sciogliendosi pur mantenendo quell'aura mistica e carismatica. Diventa più umana da un lato, ma non per questo meno crudele. Ha superato sicuramente la prova, ed è interessante il rapporto fra questo personaggio e le vampire più famose della storia del cinema, una su tutte quella interpretata da Catherine Deneuve in “Miriam si sveglia a mezzanotte”. Anche lì troviamo una vampira fredda ed egoista e insieme umana e affascinante. Lady Gaga riesce oltretutto ad esaltare la propria bellezza, non soltanto grazie al trucco, ma grazie a un sapiente uso dello sguardo. Ne è un lampante esempio il flashback nel settimo episodio, dove stenti a riconoscerla. Non voglio fare paragoni, ma il suo è tra i personaggi più belli di tutta la serie.

“AHS” viene trasmessa sulla rete via cavo FX, la stessa di “Sons of Anarchy”, altro serial divenuto autentico cult. E un certo grado di violenza, in entrambi i casi, ha generato giudizi contrastanti e accese critiche. Credete sia questo il motivo? In fondo, i riconoscimenti non sono mai andati oltre al premio agli attori...

ES: Probabilmente, ma non sono sicura se appunto i vertici snobbano questa serie per questi motivi. Sicuramente “AHS” è politicamente scorretta, perché tocca un nervo scoperto, un tabù dello spettacolo, quello della disabilità. Anzi, si tratta di insulti veri e propri al disabile, come accade in un dialogo tra madre e figlia nella prima stagione. Considerato poi che l'attrice Jamie Brewer è una ragazza che soffre realmente della sindrome di Down, rende tutto ciò più evidente, e se vogliamo anche irritante, sconvolgente. Si tratta di fiction, è vero, però troviamo una madre che si rivolge a una figlia malata, dentro e fuori dal set. Tutto ciò che è diverso e deforme, lontano dall'establishment anche estetico della persona, della famiglia e della società, viene assolutamente massacrato in tutto e per tutto. In “Coven”, inoltre, c'è quasi un trionfo del matriarcato ed è centrale il rapporto genitori-figli, vessati da torture fisiche in nome di un fanatismo religioso, oppure violentati da madri fatalmente innamorate. L'incesto, il nucleo famigliare e il credo che si sgretolano, ci fanno dimenticare subito il politicamente corretto. Quindi premiare un lavoro di questo genere può apparire sconcertante agli occhi di Hollywood. Però, forse, al pubblico piace proprio per quello.
DM: Perché c'è una sensibilità gay nella serie che può dar fastidio, in maniera diretta o indiretta, per questo “AHS” è anche molto camp. Ryan Murphy è sposato con un uomo ed ha anche un figlio. E credo che possa disturbare, o comunque lasciare perplessi, quest'incontro tra horror puro, camp e kitsch. Mi ricordo, infatti, la recensione di una giornalista su “Murder House” che nel 2011 scrisse: “sì, mi sembra interessante, ma è camp.”. Ma è camp, un difetto, che per me è invece un pregio. La serie è stata un po' discriminata anche nel 2015, in merito a “Hotel”, per via del personaggio di Lyz Taylor che non ha ricevuto nessuna nomination, forse perché è transessuale. C'è un gusto postmoderno della citazione che sfiora la parodia, e questo per i critici più seriosi potrebbe sembrare una presa in giro, un processo fine a se stesso ma secondo noi non lo è mai, o quasi mai.

Sulla scia di “Gomorra – La serie” si è da poco conclusa la prima stagione di “The Young Pope” di Paolo Sorrentino, che ha consacrato la tv di qualità incrementando quel successo, anche internazionale, venutosi a creare già da qualche anno. Secondo voi i tv serial, in particolare quelli antologici, potrebbero diventare il terreno fertile per tutti quei registi ossessionati come Murphy e Falchuck?

ES: Secondo me sì, anzi, mai come adesso dal momento che sono cambiate tante cose, come appunto la fruizione. Le persone fanno sempre più maratone televisive, ed è cambiato, direi anche fortunatamente, l'approccio del pubblico, a conferma del crollo degli incassi dei cinepanettoni. Se ci sono registi che hanno realmente qualcosa da sviscerare, qualcosa di così articolato che due ore di film non glie lo permetterebbero, ben venga, perché no. A mio parere “The Young Pope” è un film lungo dieci ore, però ci troviamo difronte a un regista con la R maiuscola, una persona che ha una qualità alta della visione, ed è questo il fattore fondamentale. E poi abbiamo degli attori, e, non ultimo, degli sceneggiatori, persone che scrivono una storia che ha un senso, e laddove questo senso si smarrisce è lì che fallisce il progetto. Si può essere camp, horror, grotteschi e di cattivo gusto ma senza mai perdere il filo rosso. “The Young Pope” è un grandissimo progetto, ha una solidità di scrittura e uno schema visuale a 360°. Ben vengano, dunque, i registi, le storie di mafia, l'orrore e l'amore. La qualità fa la differenza, sempre. Il rischio è quello di serializzare troppo, di pensare che sia l'unica strada percorribile favorevole dal punto di vista economico, scatenando così un effetto boomerang.

Vincenzo Verderame

29/12/2016

Recensito incontra Barbara De Rossi, protagonista in teatro de “Il Bacio”

Debutterà il 7 gennaio 2017 al Teatro Fellini di Pontinia, per poi proseguire in una tournée che toccherà molte città italiane (tra cui Bologna, Milano, Torino), l’intenso spettacolo “Il Bacio” di GerThijs, con Barbara De Rossi e Francesco Branchetti, il quale ne cura anche la regia. “Il Bacio” è un testo straordinariamente e profondamente intriso di umanità, “un testo che ha tutti i colori della vita, dalla risata al dramma”, afferma Branchetti.
Il lavoro che ho portato avanti – continua - è incentrato soprattutto sugli attori, sulle sfumature, sull’andare a fondo, cercando di avvicinarsi il più possibile al rapporto reale, che c’è nella vita, tra un uomo e una donna che si incontrano. Da questo incontro ne nascono così tante emozioni importanti, che arriveranno anche al pubblico. È un testo che ha una grandissima capacità di coinvolgere e io credo che il teatro debba tornare al pubblico. È uno spettacolo pensato per il pubblico e fatto con il cuore.”01derossi
Si tratta inoltre di un debutto nazionale, infatti questa drammaturgia, rappresentata in tutto il mondo, non era mai stata portata in scena in Italia, e vedrà come protagonista d’eccezione la celebre Barbara De Rossi, la quale torna in teatro dopo una lunga parentesi cinematografica e televisiva, per condurre gli spettatori in una meravigliosa esplorazione del cuore umano.
A Recensito l’attrice racconta i dettagli di questo spettacolo e ci parla del suo ritorno sul palcoscenico teatrale.

Debutterai ai primi di gennaio con “Il Bacio”, una storia emozionante che parla di un incontro tra un uomo e una donna, tra due vite segnate dall’infelicità e dalla paura. Come ti sei approcciata a questo testo? Hai delle affinità con il personaggio che interpreti?
“Credo che tutti possono riconoscersi in questo testo, perché i protagonisti sono due persone che vivono una vita che è in realtà non li rende felici, e che vorrebbero essere diverse. Ognuno di noi quando interpreta un personaggio, un testo, deve fare prima un viaggio dentro se stesso, quindi più che di affinità parliamo di episodi o esperienze che uno può aver vissuto direttamente o indirettamente. Il personaggio di questo spettacolo è una donna sdoppiata che non ha potuto vivere o forse non ha voluto vivere la vita che aveva sempre desiderato. Non ha mai probabilmente amato, vissuto una grande passione, e ne esistono tante di coppie così, che vivono di convenzioni, sono apparentemente felici, ma in realtà sono persone infelicissime, che non hanno avuto modo di essere loro stesse. Interpreto una farmacista, sposata con un uomo, che vive in un piccolo paesino dell’Olanda pieno di facciate. Non è mai stata veramente se stessa e in questo bosco, che è una terra di mezzo meravigliosa, incontra un uomo che porta la sua infelicità per fare di questi momenti una felicità perfetta, dove lei riscopre un suo lato anche infantile, vero, sensibile, e lo stesso lui, il quale è un attore che non è riuscito a realizzarsi e quindi ne soffre, vivendo una vita fatta di frustrazioni, insoddisfazioni. Si incontrano e riescono a vivere per una giornata quello che veramente vorrebbero essere.”

00derossiCosa di questo spettacolo speri arrivi al pubblico?
“È un testo molto tenero, introspettivo, nel quale le persone possono riconoscersi, poiché tutti abbiamo paure e fragilità, tutti abbiamo vissuto la bugia, chi subendola, chi praticandola, e non ci si rende conto della vita che si conduce, perché fatta di falsità e solo se ci si vede dentro, si scopre che non sono propriamente le cose che ci fanno felici.
L’essere umano perfetto è noioso e insopportabile, inutile, quindi è come se ognuno, guardando questo spettacolo, mettesse sul piatto quel che ha, e può, in un certo modo, rivedersi in alcune cose, magari non tutte.”

Lo spettacolo è “una via crucis dell’anima”, tra i tormenti che però l’amore può far superare. Credi che l’amore, inteso come sentimento in generale, possa essere un antidoto ai malesseri della vita?
“Un sentimento forte è un antidoto agli errori, è un sostegno ci aiuta a star meglio, a sopportare meglio tutte le difficoltà che sono enormi, quotidiane, per la gente. L’affetto e l’amore per qualcuno ci fa riflettere, è una spinta forte per sopportare questa vita che è molto difficile. Io mi sono accorta di quanta infelicità ci sia e di quanto il sogno sia importante per le persone, e il teatro è sogno. Per un’ora e mezza le persone stanno a teatro e il compito di chi lo fa è quello di far sognare in tutti i sensi , sia positivi che negativi. Il teatro è la rappresentazione di un sogno.”

Dopo tanto cinema e tanta tv, ritorni al teatro. Perché proprio con questo spettacolo? Cosa ti ha spinto a sceglierlo?
“Sono tornata al teatro dopo 20 anni per mia scelta. Dopo due anni di teatro formidabili con “L’anatra all’arancia”, avevo la mia bambina molto piccola, il primo anno la portai con me in una tournée teatrale lunghissima, però il secondo anno non la portai e soffrii moltissimo, quindi decisi di voler crescere mia faglia. Ho abbandonato per vent’anni l’idea del teatro, anche se ho sempre nutrito una grande passione, e l’ho ripreso l’anno scorso. Volevo fermare un punto come attrice, dopo tanti anni di film, in cui ho lavorato con grandi autori di cinema e di fiction, avevo il desiderio di rientrare nel teatro con un ruolo forte che mi desse quella soddisfazione che aspettavo da tempo, e ho scelto con Francesco Branchetti la “Medea” nella versione più potente e forte che c’è, quella di Jean Anouilh, dove c’è uno strazio infinito, dove c’è un dolore estremo, con tutti i sentimenti all’ennesima potenza. È stato faticosissimo rientrare con una Medea di questo tipo.02derossi
Abbiamo scelto poi questo testo di GerThijs, perché è un’altalena di emozioni, è uno spettacolo anche comico dove ci si diverte, succedono cose, e questa altalena trascinerà chi assiste ad un viaggio molto intimo, emozionale, ma anche divertente, volevamo una cosa diversa. “Il Bacio” è un fioretto dei sentimenti, inteso come fioretto della recitazione.”

Com’è lavorare con un regista e attore come Francesco Branchetti?
“Con Francesco, che è anche interprete e regista, come nella Medea, è nato un sodalizio molto bello e ci troviamo bene a lavorare insieme. Abbiamo gli stessi obiettivi e un percorso preciso di teatro che guarda al passato, perché secondo noi tutto quello che c’è stato dato dalle vecchie generazioni dei grandi attori e dei grandi registi va tenuto in considerazione. Anche dando vita ad un percorso moderno, però deve esserci quella sostanza, quella grazia, quella costruzione del personaggio vero, intenso, che c’era una volta.”

Maresa Palmacci 29/12/2016

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