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Recensito incontra Patrizia Salvatori produttore e direttore artistico di Hopera

Il Bel Canto italiano ed europeo unito agli stili più vari della danza. Una rappresentazione che, come un fuoco di artificio, conturba e nello stesso tempo avviluppa lo spettatore nel repentino susseguirsi di scene, atmosfere e situazioni. Tutto questo è Hopera, spettacolo che andrà in scena al Teatro Parioli di Roma il 31 gennaio, con una replica l’1 febbraio. Recensito ha incontrato Patrizia Salvatori, produttore e direttore artistico.
Dopo il grande successo della tournee in Cina, Finlandia, Ungheria e Thailandia tornate finalmente in Italia. Raccontaci come il pubblico internazionale ha accolto questo spettacolo.
L’Estero ha rispetto e amore per il grande patrimonio che la musica lirica rappresenta nel mondo, accoglie con grandissimo entusiasmo l’ascolto di queste celebri melodie. Il linguaggio gestuale e la grammatica stilistica della E.sperimenti dance company ha dato vita a un lavoro coreografico nuovissimo, energetico, frizzante, che strizza l’occhio ai giovani coinvolgendoli. In particolar modo il pubblico asiatico è affascinato dal Melodramma Italiano. È Shangai, infatti, a chiamarci quest’anno dopo Pechino.
Hopera è una commistione di stili più vari della danza, che spaziano dal breakin' al contemporaneo, dal modern al floorwork. Il tutto, legato alla musica classica. Cosa ti affascina di più di questo connubio?
Hopera è un gioiello di grande teatralità che i coreografi Federica Galimberti, Francesco di Luzio e Mattia de Virgiliis, hanno saputo creare utilizzando il loro differente background, per diventare un’opera unica. Mi piace citare le loro stesse parole: e’ una burla, una sfida, pura energia, colori, uno spazio senza tempo, un quadro di Mirò visto con gli occhi d uni bambino, un ponte tra tradizione ed innovazione.
Quali sono state le difficoltà nel coniugare la più classica delle tradizioni agli stili di danza all’avanguardia.
È stato all’inizio molto difficile in generale, utilizzare una base musicale che non avesse il “Bit”, una forte base ritmica che è comune a chi viene dal mondo hip hop e della break dance. Una sfida stimolante e una grande opportunità creativa per ciascuno dei componenti della compagnia ha, però, permesso di tirare fuori quasi un nuovo modo di coreografare, rendendo il linguaggio decisamente unico.
A proposito di musica classica, la scelta di Verdi, Leoncavallo, Rossini, Handel, Mozart. Cosa ami di loro?
Personalmente sono appassionata dell’opera lirica, nei cui testi si preserva ancora la purezza della lingua italiana e apprezzo i diversi compositori, ciascuno per la sua peculiarità. Tutti e tre i coreografi hanno ascoltato e selezionato un centinaio di arie e sinfonie, vuoi per la suggestione musicale, vuoi per la naturale ironia che si lega perfettamente a quella dello spettacolo.
Come nasce la E.sperimenti GDO Dance Company? Gli attori sono tutti italiani e sotto i 35 anni. Potremmo parlare di eccellenza del made in Italy?
La compagnia nasce da un gruppo di danzatori che faceva parte della Progetto Bottega, che il GDO ha prodotto e sostenuto per circa quindici anni. Gli artisti che la compongono sono tutti italiani e under 35, ma hanno una professionalità che dura da più di un decennio. Hanno voluto creare una realtà in cui “Esperimentare” una nuova formula compositiva. È un’eccellenza del made in Italiy che io amo definire ironicamente doc, come un buon vino. I Componenti provengono d’avvero da tutta Italia, in particolar modo da Emilia, Umbria e Lazio.
In Hopera troviamo innovazione tecnologica. Quali sono le novità in questo senso?
Le novità, che sono sempre in divenire, hanno dato vita a una scenografia “remotata”, programmata in corrispondenza degli accenti musicali.
HOPERA, quindi, suggerisce una diversa prospettiva per approcciare quel patrimonio musicale colto e godere della sua estrema freschezza e attualità?
Assolutamente si, è sicuramente il suggerimento di un nuovo e diverso punto di vista che guarda alle melodie passate, percependone l’attualità e condividendola con il pubblico con leggerezza e qualità.
Cosa significa essere coreografa e attrice dello stesso spettacolo? Tra l’altro, questo non riguarda solo te ma anche alcuni dei tuoi colleghi.
Penso di interpretare il pensiero di tutti, da ex danzatrice e coreografa quale sono. Quando si interpretano più ruoli, aumenta la responsabilità in scena, la sensazione, il desiderio: la necessità di essere al top come coreografo e danzatore vanno di pari passo.
Si potrebbe definire tutto questo un viaggio onirico tra le arie del Bel Canto e l’armonia della danza?
Certo che sì! Venite a vederlo dal vivo e confermerete anche voi.
Sappiamo che ami l’hip hop. Pensi a uno spettacolo improntato su questo genere?
Tutte le nostre produzioni hanno questo comune denominatore, una sorta di essenza, di aroma, di profumo avvolgente che li rende così trasversali.

Elisa Sciuto - 29/01/2017

Cosmica Reflex di Rafael Y. Herman al Macro di Testaccio

Il mistero è tale perché molte volte non è riconoscibile a prima vista. Infatti guardare i dieci grandi formati di Rafael Y. Herman esposti al padiglione A del Macro di Testaccio sotto il titolo “The Night Illuminates The Night”, potrebbe portarci ad apprezzare i tagli, i colori sbiaditi, l’utilizzo della pellicola e del tradizionale processo analogico, senza aggiungere troppo alla mostra di un bravo fotografo. Invece è tutt’altro che una semplice esposizione di fotografie. Dietro queste grandi immagini, stampate peraltro sul supporto della carta fotografica politenata, si nasconde un processo concettuale interessante che da un po’ di anni traccia l’identità stilistica di questo artista israeliano.herman2

La semplicità è complessa” afferma ossimoricamente Herman. Nelle sue foto si nasconde infatti una verità più lunga e annodata: le foto sono insospettabilmente delle notturne, e quelle che vediamo sono immagini la cui luce è stata catturata dal diaframma per una notte intera. Ciò che si ottiene quindi è - apparentemente - un’atmosfericità diurna. Nessun trucco, nessuna manipolazione. Anzi, l’analogicità della macchina fotografica è più presente che mai nella sua funzione. Con questo senno in più, la vista di queste fotografie acquista tutto un altro fascino.

herman3Quello della riflessione sul mezzo - come ha detto Stefano Rabolli Pansera, uno dei due curatori assieme a Giorgia Calò - è il pretesto per condurre il significato del lavoro dell’artista a una questione ontologica piuttosto che estetica. Un corollario che ha prontamente definito da sempre l’arte concettuale. Le foto di Herman non sono propriamente belle da vedere. O almeno non sono soltanto questo. Non c’è bisogno di stare lì davanti a contare i particolari che è riuscito a catturare esaltando la genialità dello scatto. Non si può parlare di scatto, di scelta del taglio, o per di più di luce. Perché Herman nemmeno vedeva cosa catturava la sua macchina. La riflessione sul mezzo è quindi l’azione che lascia trapelare la natura sulla macchina, un gioco di lenti dove la meccanica della Reflex [definita così per la riflessione dell’immagine sullo specchio e il pentaspecchio] si allarga alla luna, che riflette la luce del sole che illumina l’immagine. Potremmo quindi definire il lavoro di Herman il risultato di una cosmica Reflex, dove cosmici sono i colori, i mezzi e i tempi utilizzati. E lo sono anche i luoghi, quelli di una millenaria e indefinibile Terra Santa, l’Israele come terra che identifica l’artista dopo una gran fetta di storia dell’arte.

Emanuela Platania 27/01/2016

Intervista con Chef Rubio: sapori, colori e street food tra cinema e tv

Dalla kitchen series al film, Chef Rubio conclude il successo della terza stagione di “Unti e Bisunti” raccontandosi sul grande schermo con “Unto e Bisunto - La vera storia di Chef Rubio”: una storia carnale, viscerale e succosa andata in onda a Natale in prima assoluta e in esclusiva su DMAX. Messo al mondo in una cucina, pronunciata come prima parola “magna” e dotato di un dono - il palato “insoluto”/assoluto - il nostro “rubicondo” eroe intraprende un viaggio in Italia e nel tempo, affrontando avvincenti sfide alla ricerca delle maggiori tradizioni gastronomiche e attraversando fiumi di birra nell’infinito e “sfondato” universo dello street food.
Protagonista del talent "I re della griglia", l’avventuroso ed eclettico cuoco pluri-tatuato è stato anche un giocatore di rugby, riscuotendo un grande seguito con la conduzione del programma "Il cacciatore di tifosi" e la partecipazione a “Rugby Social Club”.
Dal 20 gennaio Rubio ci porterà alla scoperta delle due opposte anime di alcune affascinanti città europee nel nuovo adventure game di Discovery Italia - “Il ricco e il povero”, in prima tv ogni venerdì alle 21.15 sul canale NOVE - dove sfiderà nuovi compagni attraverso una serie di episodi che vedranno Arisa a Copenaghen, Fabio Canino a Budapest, Francesco Pannofino a Siviglia, Massimiliano Rosolino a Porto e Carmen Russo ad Atene.
Recensito lo ha raggiunto per gustare con lui impressioni, sapori e colori del film, nonché di altri interessanti progetti. Mollate le posate... e servitevi a piene mani!

Con quali ingredienti, cinematografici e/o televisivi, è condito questo saporitissimo, speziato, “unto e bisunto” viaggio filmico nello street food?rubio1
“Come tutte le esperienze vissute finora, anche questa è stata molto interessante! Il film ha sancito la conclusione di un ciclo di puntate destinate alla tv, e a differenza di queste, inizialmente ho vissuto le riprese in maniera più distaccata. L’approccio è stato totalmente diverso perché la squadra era stata quasi totalmente cambiata, quindi il feeling con quella nuova era da rigenerare, da creare tutto daccapo. C’è stato poco tempo, ma comunque è stata un’avventura intensa, sono stati tutti molto bravi e ci siamo impegnati al massimo. Ne è uscito fuori un prodotto di qualità, dalla regia alla fotografia agli attori, tra i quali molti presi dalla strada. Non solamente dalle strutture istituzionali escono interpreti interessanti... e sono tanti i veri e propri talenti in giro!”.

Come si mescolano insieme gli elementi di fiction (già ampiamente presenti dalla terza stagione della serie) agli elementi biografici presenti nel lungometraggio?
“Sicuramente oltre la fiction qualcosa di vero c’è. Innanzitutto il fatto che assaggiassi ogni cosa fin da piccolo, sperimentando, stuzzicando e allenando il palato in maniera un po’ più sviluppata rispetto agli altri. Mi avvicinavo a tutti i miei “colleghi”, ma non solo, anche magari a gente appassionata come me, e lo facevo in modo sempre più consapevole. Il resto è molto romanzato ovviamente, rimangono alcune verosimiglianze o verità accennate, ma di vero in fondo c’è essenzialmente questo: il palato... e soprattutto l’amore per questo lavoro”.

Nel film, Chef Rubio viene proiettato in un futuro sconvolgente, arenato su una spiaggia del litorale laziale in completa solitudine. Come si vede, invece, Gabriele Rubini tra qualche decennio?
“Se potrò continuare su questa strada non dipenderà da me, ma da voi... da chi mi segue, da tutto il pubblico che mi ha apprezzato finora. Senza alcun dubbio, in ogni caso, seguirò sicuramente quello che mi piacerà fare... come ho sempre fatto. Come succede con il mio lavoro, con i miei piatti, con gli ingredienti...se mi vedi fare una cosa vuol dire che mi piace. Questa è la mia priorità! Se rimarrò in Italia? Questo Paese sarà sempre la mia base. Anche se in realtà io amo girare il mondo da sempre... non rimango mai fermo in un posto, mi devo muovere, devo partire per poi ritornare... poi alla fine qui ci ritorno sempre”.

La colonna sonora del film comprende un pezzo inedito di Frankie Hi-Nrg. Come coincide l’universo di Chef Rubio con quello narrato dal rapper? E, a proposito, che tipo di musica ispira la creazione delle tue opere culinarie?
“Ascolto di tutto - dal rock al raggae all’elettronica al rap – “tutto fa brodo”!
E’ stato molto divertente girare questa sorta di video con Frankie Hi-Nrg per chiudere il film. Per me era la prima volta, e scoprire come si lavora all’interno di un lavoro del genere è stata un’esperienza inedita, simpatica e molto piacevole”.

Frascati e i Castelli romani sono da sempre, a livello nazionale e internazionale, prestigiosamente e culturalmente legati a un paradiso dei sensi per l’ambito paesaggistico ed enogastronomico. Quanto sei legato alle tue origini e quanto hanno influito nell’approccio al tuo appassionante lavoro?
“Ai Castelli ci sono nato e cresciuto. Quei posti rappresentano una fetta importante della mia vita, qualcosa di prezioso che mi sono sempre portato dietro e che porterò con me per sempre. E’ un bagaglio che contiene tutti i pro e i contro della vita di provincia, ma nonostante tutto devo davvero tanto alle mie origini. Quando cerco di allontanarmi, magari in giro per il mondo, loro sono sempre lì e mi ricordano ovunque la mia appartenenza. Le radici, come dicevo prima a proposito dell’Italia, per me rimangono sempre la base fondamentale da cui ripartire”.

Rubio2Amnesty International Italia ti ha voluto come ‘ambassador’ ufficiale dell’intera campagna Write for Rights 2016, insieme agli altri artisti italiani che hanno aderito all’iniziativa dell’organizzazione per i diritti umani. Che traguardi si sono raggiunti quest’anno e che tipo di esperienza ha rappresentato per te?
“Abbiamo raccolto tante firme, spero di essere stato utile e che tutto ciò sia servito per risolvere molti casi posti in questione. O comunque almeno per sensibilizzare molta gente alle tematiche più urgenti. Spero che abbia contribuito a portare presso le giuste sedi le storie di queste persone, recluse ingiustamente o condannate a pene disumane per quanto commesso o no. E’ stata un’iniziativa interessante e spero di prendere sempre più parte ad esperienze del genere per collaborare a sensibilizzare l’opinione pubblica e dare voce a chi non ne ha”.

Nel frattempo è anche uscito in libreria il cookbook, edito da Rizzoli, che raccoglie tutti i migliori piatti delle tre edizioni di “Unti e bisunti”. Oltre alle 130 ricette “da leccarsi le dita”, cosa troveremo di te nel libro?
“Tutte le ricette di questi anni passati insieme sono raccontate attraverso riflessioni personali e commenti, che spero siano interessanti per chi legge. Magari con un pizzico di intimità, mischiate tra i prologhi e le sezioni principali trattate all’interno del libro, condite con le idee che riguardano eventuali primi, secondi, fritti, ecc., le mie considerazioni sono arricchite dal mio tocco personale. I piatti variano ovviamente dai più semplici ai più complessi, ma possono essere replicati da tutti... è bene che si sperimenti su qualcosa che ci appartiene”.

Vuoi anticipare qualcosa sul nuovo programma, in onda dal 20 ottobre sul Canale NOVE, “Il ricco e il povero”?
“E’ un programma che ha dei risvolti molto divertenti e comici, ma ci permette di mostrare a chi non può o non ama viaggiare, ma anche a chi pensa che non sia possibile viaggiare, che ci sono delle realtà molto interessanti al di fuori dell’Italia. E’ un adventure game girato in Europa e ovviamente c’è molto entertainment, ma può fare anche riflettere. Personalmente ho visto città che non avevo mai visitato e, sebbene abbiamo lavorato tanto, qualche cosa - come si dice a Roma - l’ho “spizzata”, e ho già tanta voglia di ritornarci”.

Dal film agli episodi televisivi, sei sempre al centro di ogni tuo programma. Hai mai pensato di partecipare come figura autoriale o firmare nuove sceneggiature per altri tuoi progetti?
“Per fortuna, finora mi hanno sempre lasciato un ampio margine di intervento sul prodotto scritto dagli autori. Anche la sceneggiatura (del film, per esempio) è stata sempre un buon canovaccio su cui poter facilmente improvvisare e modulare le mie battute in base alle circostanze e alla mia personalità. Appena avrò in cantiere qualche mio progetto o avrò l’opportunità di firmare una sceneggiatura, comunque, sarete i primi a saperlo...”.
Grazie!

Giulia Sanzone 19/01/2017

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