Gabriella Greison si attarda, dopo la prima romana del suo Faust a Copenaghen allo Spazio Diamante a parlare con gli spettatori, firmare copie dei suoi libri, accogliere pareri. È desiderosa di sapere cosa ne pensa il suo pubblico, di questo spettacolo pensato proprio per chi, a differenza sua, non studia fisica da una vita. La fisica, giornalista e autrice di monologhi teatrali si concede così alle domande senza reticenze, pronta ad approfondire ogni aspetto del suo ultimo spettacolo che è ancora un work in progress itinerante.
Faust a Copenaghen è l'adattamento teatrale del suo libro “Hotel Copenaghen” ma anche l'attualizzazione del testo portato in scena nel 1988 da Strehler. Quali principi l'hanno guidata nell'operazione d'adattamento?
“Si racconta che nel 1988 il pubblico uscì dal Piccolo Teatro frastornato a causa di Giorgio Strehler. che aveva preso il testo di Gamow in maniera integrale, con il supporto di Carlo Rubbia alla lettura che spiegava dall'esterno come fosse un qualcosa di separato dallo spettacolo. Io invece ho voluto fortemente inserirmi all'interno della scena: suggerivo le parole, l'idea era proprio questa, fare di me un ponte tra gli scienziati del '900 e lo spettatore moderno. Il lavoro effettuato è stato quello di attualizzare il tutto, e lo si può comprendere dalle sfumature, cambiando le parole per renderle più semplici, raffigurando i rapporti che intercorrevano tra i vari fisici sino a renderli umani. Non ho mai voluto rappresentare una mera lezione di fisica, ma qualcosa di più”.
Nella sua versione romana per la messa in scena dell'opera ha collaborato con i ragazzi dello STAP Brancaccio. Com'è stato lavorare con loro?
“Lavorare con i ragazzi è stato splendido, sono stati tutti bravissimi. Io ho dato indicazioni su come dovessero essere i personaggi, tracciandone le caratteristiche generali. Con loro parlo, discuto, ragiono, cerco un confronto. Hanno avuto la prontezza di intuire i tratti salienti di ogni personaggio. Anche nei fuori scena sono riusciti a mantenere integro ogni ruolo. Sarebbe bello che la fisica potesse essere vissuta da chiunque la legga, proprio come è successo a questi ragazzi. Per me essere circondata da giovani è stato divertente, abbiamo creato un clima di reciprocità”.
Faust a Copenaghen si inserisce all'interno della manifestazione EVVIVA LA FISICA! Come si è trovata a gestire quest'edizione della capitale dopo il successo della tappa Milanese?
“Qui a Roma ho trovato un'ambiente favorevole, alle spalle c'è stato il supporto di un teatro importante, ovvero Sala Umberto gestito da Alessandro Longobardi. Il progetto EVVIVA LA FISICA! fa parte di Eureka!, voluto fortemente dal Campidoglio. Ho reso la fisica un posto abitabile. Il teatro è il luogo delle contaminazioni ed è per questo che preferisco portare lo spettacolo in un ambiente in cui c'è possibilità di adattarsi e riadattarsi continuamente”.
Lei non è solo una fisica ma anche scrittrice, giornalista, autrice ed interprete di monologhi teatrali. Da dove è nata la spinta per far conoscere il mondo della fisica anche ai non addetti ai lavori?
“Ho sempre voluto praticare divulgazione scientifica, ma in maniera del tutto innovativa. In America è un qualcosa che è già in voga da tempo, mentre da noi ancora fatica a prendere piede. I paludati cattedratici, come li denominava Einstein, erano tutti coloro i quali spiegavano la fisica in una certa maniera serrata ed incomprensibile; gli unici a cui era effettivamente permesso di parlarne in maniera slegata e semplicistica erano i giornalisti. Questa materia andrebbe raccontata e non spiegata in maniera sterile, così da poter far avvicinare i giovani a questo universo di nicchia. Bisogna farla immaginare e l'intento di questo spettacolo verte specialmente su questa caratteristica”.
Come mai ha scelto la storia di Hotel Copenaghen per la divulgazione della fisica al grande pubblico?
“Hotel Copenaghen è il luogo degli incontri nel quale avvenivano cose innovative, speciali. L'ho visitata con l'intento di osservare cosa sarebbe successo. Quella realtà perfetta voluta da Niels Bohr, quel microcosmo creatosi dovrebbe divenire anche la realtà italiana, la nostra realtà che attualmente è molto lontana da tutto ciò; per ora Hotel Copenaghen è solo la metafora, lo Stato Ideale che un giorno si spera possa essere attuato”.
Dopo il festival quali sono i suoi progetti per l'immediato futuro?
“A settembre presenterò per la prima volta lo spettacolo Einstein and Me. È un monologo su Einstein e per poterlo scrivere ho viaggiato tra Zurigo e Berna, ho ricostruito la sua storia tramite gli archivi ma anche parlando con i professori. Ho cercato di scavare all'interno del personaggio in maniera del tutto inedita. Non sono interessata alla polemica sulla paternità delle scoperte fatte insieme a sua moglie, ma sono interessata alla personalità di quest'ultima, anche essa fisica. Ho voluto indagare la natura del loro rapporto, cercando di creare dei collegamenti. Questo spettacolo è tratto dal mio libro, “Einstein ed Io” appunto”.
Giorgia Groccia, Ilaria Vigorito 26/05/2018