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“Faber in Sardegna e l’ultimo concerto di Fabrizio De Andrè”: il film di Cabiddu per un ritratto nuovo del cantautore

“Mi sembra proprio di raccontare una bellissima favola…C’era una volta, e per fortuna ancora c’è, una follia tanto amata che si chiama Agnata”. Così Dori Ghezzi, moglie di Fabrizio De Andrè comincia a raccontare la loro avventura in Sardegna, terra in cui si trasferirono dal 1974 e che regalò loro grandi emozioni, ma anche un forte shock.

Un artista unico, che ha segnato l’evoluzione della musica leggera italiana e della letteratura, una mente geniale che ci ha lasciati troppo presto e che rivedere oggi sul grande schermo, è un’esperienza affascinante. Lo è ancor di più scoprire la passione che De Andrè nutriva per la Sardegna e il suo progetto di dare vita a un’azienda agricola. Un De Andrè diverso: un musicista che decise di indossare i panni dell’allevatore e del contadino e comprare giovenche e tori per allevarli come figli.

Il documentario di Gianfranco Cabiddu, uscito nelle sale per due serate il 27 e il 28 maggio, è un film dalla doppia anima, che unisce il racconto dei complessi rapporti, che legarono il cantautore genovese a un luogo speciale come l’Agnata (Sardegna), con l’ultimo indimenticabile concerto di Faber al Teatro Brancaccio di Roma.

Nella prima parte del film il regista alterna momenti passati al presente, video e immagini d’archivio con spezzoni di vari concerti organizzati all’Agnata dal Festival Time in Jazz. La musica di Faber va oltre il tempo, viaggia con noi e con i nostri ricordi. Sui prati delle campagne insieme al figlio Cristiano vari artisti omaggiano il cantautore scomparso: Morgan (autore di una commovente versione de “La canzone dell’amore perduto”), Paolo Fresu, Danilo Rea, Gianmaria Testa, Lella Costa, Maria Pia De Vito e Rita Marcotulli.

Ma questa terra però viene ricordata nella vita dal cantautore anche perché fu protagonista del sequestro di cui lui e Dori furono vittime: nell’agosto 1979 i due vennero rapiti dalla cosiddetta anonima sarda e rilasciati dopo quattro mesi, dietro il versamento di una riscatto, trattativa raccontata nel film dal parroco del posto, amico della coppia. Un’esperienza dalla quale poi nascerà “Hotel supramonte”, una delle più profonde canzoni del cantautore genovese.

Nella pellicola compaiono poi Renzo Piano, che definisce il suo amico il “profeta del mare”, e alcuni suoi lavoratori dipendenti, tra i quali il contadino, che ci racconta le sue curiosità iniziali nel guardare un De Andrè che di notte annaffiava il prato, perché non riusciva a dormire.

Il film nella seconda parte racchiude poi un altro fantastico ricordo del cantautore, l’ultimo concerto, che lo vede sul palcoscenico al fianco del figlio Cristiano, musicista eccezionale, e con una ricca band.

È il 1998 e De Andrè ci lascia con questo insegnamento: “ho sempre pensato che ci sia poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore, anche perché non ho ancora capito bene, malgrado i miei 58 anni, cosa sia esattamente la virtù e cosa esattamente sia l’errore. Tutto questo per dire che io non ho nessuna verità assoluta in cui credere, che non ho nessuna certezza in tasca e che quindi non posso nemmeno regalarla a nessuno”. Ciò che è certo è che Faber ci ha donato tanta poesia e ancora oggi, anche se sul grande schermo, la sua voce e le sue parole continuano a far venire i brividi.

 

(Silvia Mergiotti)

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