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“Fuorigioco”: la partita persa dei disoccupati cinquantenni nel film di Carlo Benso

Qual è il risultato della crisi economica che sembra infinita? Cosa accade a tutta quell’ampia fascia di disoccupati costretti a passare le giornate nelle mura di casa?

Carlo Benso, regista teatrale, nella sua prima opera cinematografica “Fuorigioco” cerca di analizzare la realtà sociale attuale, portando in luce nello specifico la vita di quei soggetti, forse, più dimenticati: i cinquantenni senza lavoro, che, incapaci di reinventarsi un’alternativa esistenziale, sfiorano la drammatica depressione.

Il film, presentato ieri in anteprima alla Casa del Cinema di Roma, uscirà nelle sale il 3 giugno. Appare subito un lavoro molto ambizioso, come afferma lo stesso regista: “Volevo fotografare la depressione di un uomo disoccupato, che si specchia e non si riconosce più”.

Gregorio Samsa (interpretato dal bravo attore Toni Garrani), manager di successo e persona di potere, dopo essere stato licenziato dalla sua azienda, non riesce ad accettare la situazione e affonda in una quotidianità paranoica, fatta d'istinti vendicativi, ossessioni e solitudine.

Attraverso la metafora – Gregorio Samsa è una volontaria citazione de “Le metamorfosi” di Kafka – il regista vuole far riflette sull’importanza del lavoro, sulla sua necessità, sul ruolo sociale che esso ci impone e senza il quale il protagonista “precipita nel vuoto schiantandosi nella follia più insensata”.

Il film è lo specchio di una condizione che esiste davvero: cinquantenni disoccupati che s'improvvisano artigiani o, nella migliore delle ipotesi, riscoprono vecchie passioni giovanili, altri che disperati vedono l’unica strada del suicidio; mogli “capofamiglia”, adulti che vorrebbero tornare indietro. Tutto sullo sfondo di un paese che va a rotoli, tra proteste politiche, violenti cortei e alluvioni, immagini che si susseguono ripetutamente sulla Tv in casa del protagonista, ma che quest’ultimo sembra voler costantemente ignorare.

L’attenzione di Gregorio, nonostante le premure della moglie, è tutta concentrata su una giovane donna, attraente e sensuale, che abita di fronte al suo palazzo e che lui spia freneticamente dalla finestra.

La ragazza diviene allo stesso tempo l’emblema di una spensieratezza che in Gregorio è scomparsa da tempo, ma anche la vittima sulla quale sfogare le nevrosi, derivanti da uno stato depressivo dilagante.

Il film, anche se a tratti un po’ didascalico, rappresenta con crudezza la vicenda: il regista non ha bisogno di filtri addolcenti per accattivarsi lo spettatore e coraggiosamente lo mette davanti alla dura realtà dei fatti.

Realizzato con un budget di circa trentamila euro (come rivelano in conferenza stampa), una cifra che sembra inverosimile, e girato in sole cinque settimane, il lungometraggio merita senz’altro di essere visto, sia per l’impegno sociale dell’autore e degli interpreti, sia per supportare quel cinema indipendente che in Italia fa molta fatica a emergere.

 

(Silvia Mergiotti)

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