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“The Tribe”: un film rivoluzionario che lascia un segno indelebile nella memoria dello spettatore

“Il cinema non sarà più lo stesso”. Questo il commento a caldo di Darren Aronofsky, dopo aver visto al Toronto Film Festival 2014 “The Tribe”, primo lungometraggio del regista ucraino Myroslav Slaboshpytskiy. Un esordio folgorante che ha stregato i critici di molti paesi, riuscendo ad aggiudicarsi premi in numerosi festival internazionali tra cui il Grand Prix della “La Semaine de la Critique” al Festival di Cannes 2014.

Sergey, giovane sordomuto, arriva in un collegio per ragazzi affetti dalla stessa problematica, trascinato da subito in una lotta per trovare spazio all'interno di un luogo dominato da una gerarchia criminale che, fra violenze e prostituzione, scandisce la vita dell'istituto. Una “comunità ombra” che fa capo a loschi individui, in cui pratiche e rituali feroci segnano il passaggio dall'adolescenza alla vita adulta. E' una giovinezza che tristemente scompare, isolata in un contesto estraneo alle regole comuni, dove si esprime una miscela di sentimenti duri e puri descritti nei volti dei protagonisti, impenetrabili e gelidi, come la periferia di Kiev che li ospita. Sergey si guadagna il rispetto e la fiducia dei compagni ma l'amore per Anna, una delle ragazze del gruppo, lo porterà a infrangere le leggi del branco, desideroso di espandere la sua attività in Italia, un ancora di salvezza che si rivela essere soltanto un fragile miraggio.

Slaboshpytskiy realizza un opera sui generis, che omaggia il cinema muto enfatizzando la gestualità e il linguaggio del corpo, impulsivo e pungente, spinto ai limiti di un voyeurismo talvolta disturbante che in alcune sequenze, obbliga all'ascolto di rumori e suoni (su cui si poggia l'estetica di tutto il film) che colmano il silenzio di corridoi e stanze, teatro di un finale che lascia letteralmente senza parole. Girato in lingua dei segni, senza sottotitoli né voiceover, il regista si avvale dell'ottima interpretazione di attori sordomuti non professionisti, in maggior parte provenienti da famiglie svantaggiate, con cui entra in contatto per la prima volta durante la lavorazione del corto “Deafness” (2010).

Il mondo crudele raccontato in “The Tribe” si concede come un corpo nudo, svestito di ogni barriera protettiva. Un'esperienza visiva fuori dagli schemi, difronte alla quale il pubblico è costretto ad accettare una realtà che va ben oltre il tacito patto con l'autore.

 

(Vincenzo Verderame)   

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