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“Ho avuto la critica più breve che sia mai stata pubblicata. Diceva: “Ieri sera al teatro è andato in scena “Domino”. Perché?” (Marcel Achard)

Chimenti intervista Porcheddu. Ritratto di Maestro. Che si è “maestri” quando si ha qualcosa da insegnare senza mettersi in cattedra, senza avere l'arroganza di farlo, senza far sentire il peso della propria competenza, esperienza, cultura. Andrea Porcheddu è maestro con l'esempio, con i suoi scritti, la sua passione, il suo saper raccontare le pieghe del sistema teatrale, i suoi occhi sempre un po' più in là di dove avresti pensato che si sarebbero posati. La sua visione è pennellata e farfalla, è scelta, autorevolezza e consapevolezza. Basta ascoltarlo negli incontri che cura da diversi anni per la Biennale Teatro di Venezia.PORCHEDDU21
Basta vedere le generazioni che ha tirato su, allevato, coccolato, e a volte anche bonariamente fustigato, ironicamente serio o coscienziosamente sarcastico, gli occhiali per riconoscere le giuste distanze, il sigaro a profumare l'aria d'antico. Generazioni di critici da lui allenati nella palestra del laboratorio di scrittura proprio a Venezia: i grandi Maestri internazionali, la visione degli spettacoli, la scrittura nell'open space guardando il Canal Grande scorrere sotto, la spinta a porre domande ai migliori registi, fino ad allora nomi letti sui libri e adesso ad un palmo, a pochi metri, lì pronti a rispondere proprio alla tua domanda. Porcheddu è spritz e cappello di panama, si porta addosso quella malinconia romana, che non è rassegnazione ma è “saper vivere”, senza lanciarsi in eccessi di soddisfazione, senza linciarsi sulla graticola.

I tuoi spettacoli del cuore.
“Difficile contarli, quasi impossibile. Ogni anno, ogni stagione, fortunatamente ce ne sono di nuovi. Potrei citare Dario Fo, visto al tendastrisce di roma, dove mi portarono i miei genitori quando avevo forse dieci anni. Oppure Santa Sofia della Raffaello Sanzio, visto quando cominciavo a scoprire il teatro da ragazzo. O ancora Le tre sorelle di Nekrosius, visto sul finire degli anni novanta all’allora Festival des Amerique di Montréal. Ma come dimenticare una Action di Grotowski vista a Pontedera, o Fratelli e sorelle di Lev Dodin, o la Trilogia della Villeggiatura di Massimo Castri? E che dire di Carmelo Bene? Non posso scordare il Vajont di Marco Paolini o la Tempesta di Peter Brook vista a Verona, o Nelken di Pina Baush? E resta indimenticabile il lavoro di artisti come Reza Abdoh, Heiner Goebbels, e il miracolo del Pasticciaccio di Luca Ronconi. E i Dieci Comandamenti di Mario Martone, e, per venire a anni più recenti, Ascanio Celestini, Emma Dante, Arturo Cirillo. Ma ricordo anche alcuni grandi attori del teatro italiano: Paolo Stoppa, ad esempio, che vidi in scena con un giovane Gabriele Lavia. Poi Valeria Moriconi, Anna Maria Guarnieri, Glauco Mauri, Marco Baliani con il suo Kolhaas, e ancora i grandi irregolari come Carlo Cecchi, di cui vidi Ritter Dene Voss a Firenze. Infine, naturalmente, gli ultimi spettacoli di Leo De Berardinis: incredibili. Però l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Dall’evento eclatante al piccolo spettacolo fatto in periferia, la cosa bella del teatro è che ti costringe, sempre o quasi, a lasciarci un pezzo di anima. Mi piace di poter dire, dunque, che lo spettacolo del cuore è sempre l’ultimo che mi è piaciuto, quello visto l’altro giorno chissà dove e chissà perché”.

Porcheddu31Le persone del mondo del teatro (registi, attori, operatori, giornalisti) che, direttamente o indirettamente, ti hanno spinto a continuare a scrivere di teatro.
“Il primo che mi spinse con intelligenza a insistere a far il critico fu Maurizio Scaparro: dovevo ancora laurearmi in Giurisprudenza, gli chiesi un consiglio dopo un suo spettacolo e lui mi rispose: “intanto laureati, poi datti un anno di tempo: se resisti alle coltellate, ai sotterfugi, alle meschinità del teatro, sei vaccinato, e puoi continuare. Altrimenti hai sempre la laurea in Legge”. Poi certo Leo De Berardinis: ho avuto la fortuna di frequentarlo un po’, non molto, negli anni della sua direzione di Santarcangelo, ed è stato un grande maestro. Poi vorrei citare due maestri del giornalismo e della critica: Nico Garrone, scomparso troppo presto. Mi prese sul serio, anche se eravamo diversissimi. E l’altro è Ubaldo Soddu, a lungo critico del Messaggero. Mi diceva: “tu fino a quarant’anni non devi parlare”. Aveva ragione: avrei fatto meglio a stare zitto, in tante occasioni...
Ma assieme a queste figure ne ho incontrate altre: un collega come Antonio Audino, con cui mi confronto spesso; o lo storico del teatro Guido Di Palma. E certo, fonte costante di dialogo e verifica è Roberta Ferraresi, giovane critica sicuramente più avanti di me".

I tuoi attori/attrici davanti ai quali ti sei detto: “Ah, finalmente”.
“Credo che oggi gli attori e le attrici abbiano una grandissima responsabilità per tenere alte le sorti del nostro teatro: non solo artisticamente, ma politicamente e socialmente. Ho incontrato grandi attori e grandi attrici. Oltre a quelli già citati, potrei ricordare Elisabetta Pozzi, ad esempio, o Laura Curino; Paolo Bonacelli o Andrea Renzi, o ancora Roberto Latini e Ilaria Drago, che conosco praticamente dal loro debutto. Attori diversi, stili e percorsi diversi, ma ciascuno di loro – come altri – di straordinaria presenza e aderenza scenica. Però così facendo, faccio torto a molti altri artisti che amo: come Laura Nardi, Lino Musella, Paolo Mazzarelli, Gaia Insenga, Saverio La Ruina, Paolo Musìo. Allora, come sempre, penso a quelli notati, o scoperti, solo ieri. E voglio segnalare delle attrici: come Alice Arcuri, a Genova; o Camilla Semino Favro a Milano. Oppure ancora due attrici che lavorano con passione, come molti altri, nel teatro cosiddetto “sociale”: Francesca Mainetti e Chiara Pistoia della Compagnia Animali Celesti. Donne in gamba, attrici in gamba".

“Ciò che ho sempre trovato di più bello, a teatro, è il lampadario” (Charles Baudelaire)

Tommaso Chimenti 11/10/2016

Prossime date:
2 agosto al Teatro Romano di Aosta
13 agosto in duo acustico allíAnfiteatro Comunale di Aglientu (OT)
23 agosto alla Spianata della Basilica di Assisi (PG)
28 agosto in duo acustico in Piazza Giubileo a Budoni (OT)
29 agosto in duo acustico e con i Tarantaproject a Frosinone

“Tu camminavi nell’inquietudine e la mia incudine era un cognome inesorabile un deserto di incomunicabilità”.
E allora proviamo subito a liberarci di quell’incudine che finirebbe per offuscare la lucidità di scindere padre e figlio: Cristiano De Andrè, sarà per la voce profonda e fascinosa temprata dalla nicotina, sarà per il ciuffo che scende a coprire parte del viso, ricorda tantissimo Fabrizio, ma le due ore del concerto di Villa Ada dello scorso 26 giugno rappresentano un affermazione di identità artistica distinta, diversa.
Eppure, quando ad aprire la serata sono le note di “Nel bene e nel male”, brano che Cristiano interpretava nel 1998 nell’ultimo tour del padre, sembra quasi di poter naufragare nel laghetto di Villa Ada, increspato dalle suggestioni.
La scaletta, però, è ben equilibrata e così, questi incastri di reportorio - tra successi del padre, brani dell’ultimo disco “Come in cielo così in guerra” e ancora pezzi di successo come “Lady Barcollando” e la stupenda “Notti di Genova”, tutto arricchito da aneddoti e sortite d’improvvisazione - compongono un mosaico acustico di assoluto valore artistico.
Sul palco solo tre elementi (Osvaldo Di Dio - chitarre, Davide Pezzin - basso e Davide Devito - batteria) e Cristiano, che come sempre si alterna tra chitarra, tastiere e violino, mescolando l’energia cupa di pezzi come “Il cielo è vuoto” alla goliardia del medley “Andrea - La cattiva strada - Un giudice”. Poi d’improvviso, tornano prepotenti le suggestioni: sul palco arriva Mauro Pagani - uno “zio” lo definisce Cristiano introducendolo - il compagno di tante avventure musicali di Fabrizio. Imbracciato il bouzouki, l’ex PFM esegue due brani da “Creuza De Ma”, prima di esibirsi con “suo nipote” e celebrare il capolavoro del 1984, riversando sul pubblico la magia di quei fonemi che compongono le liriche del disco.
L’ultima parte del concerto scorre veloce, fin troppo, e nonostante i canonici bis e il regalo finale (La canzone dell’amore perduto) elargito da Cristiano con il pubblico in piedi sotto il palco, la sensazione è quella di aver sospeso per due ore il contatto con la realtà, complice anche il fascino notturno del polmone verde di Villa Ada.
Dopo il concerto, Cristiano De Andrè ha salutato gli irriducibili rimasti ad aspettarlo; la pazienza è stata premiata anche da un paio di “rivelazioni”: è in preparazione un nuovo disco, una biografia e altre date verranno aggiunte a quelle ufficiali.
E allora, come suggerisce il brano “Disegni nel vento” che l’artista ha dedicato ai suoi figli e a giudicare da come Cristiano culli nell’ugola il ricordo paterno, sembra proprio vero che “Il figlio diventa il padre e il padre diventa figlio”.

Adriano Sgobba 31/07/2015

Visitare il MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz nell’estrema periferia romana dove aveva sede un’ex fabbrica della Fiorucci è davvero un’esperienza di raccoglimento urbano dell’arte nella sua dimora più fatiscente.

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