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Ogni donna è tante donne: la figura femminile e la sua rappresentazione nel piccolo schermo

Dal 1977 l’8 marzo è riconosciuta dalle Nazioni Unite come la Giornata internazionale dei diritti delle donne. In occasione di questa ricorrenza, legata alle conquiste del movimento femminista, la volontà è quella di sottolineare come la comunicazione svolga un ruolo fondamentale nella formazione del discorso pubblico e del comune sentire. Le società cambiano a partire dalla comunicazione e la modalità in cui si sceglie di raccontare la figura femminile non può, e non deve, passare in secondo piano.

 La donna è mobile, cantava il Duca di Mantova nel Rigoletto di Verdi, ma la sua condizione nell’ambito della televisione pubblica (e non solo) sembra essere ristretta soltanto a qualche “spunto” di vista. Al contrario, la donna sembra immobile, spesso costretta ad indossare un abito troppo stretto cucito dalla società. I media mettono in atto due processi all’interno della nostra cultura: producono significato influenzando il modo di attribuire un senso alla realtà e allo stesso tempo creano la realtà che vediamo ogni giorno attraverso gli schermi. Per questi motivi è fondamentale che le telecamere siano orientate nel modo corretto, verso ambiti e ruoli coerenti con la materia trattata, non vertendo sulla mercificazione del corpo femminile.

La rappresentazione della figura femminile nella programmazione televisiva della Rai (e oltre)

Sin dai primi anni Settanta in Italia, la figura femminile nella televisione pubblica ha accusato una rappresentazione marginale, iper-sessualizzata e mercificata del proprio corpo, legittimata da una visione patriarcale misogina sempre più presente nella nostra cultura.
Il corpo delle Donne, realizzato nel 2009 dalla attivista e scrittrice Lorella Zanardo, analizza in modo chiaro come la televisione negli ultimi trent’ anni abbia sfruttato l’immagine della donna a fini commerciali, ideologici e politici. Nella volontà di denunciare una rappresentazione oggettificata, volgare e umiliante, il documentario seleziona numerose immagini televisive della Rai e della tv privata che mostrano l’utilizzo manipolatorio del corpo femminile e della sua identità.
Quando si tratta tale problematica spesso si fa riferimento a programmi della rete privata, come Drive in (1983-1988, Italia 1) e Colpo Grosso (1987-1992, Italia 7), anche se in realtà questo processo è iniziato all’interno del servizio pubblico.
Il primo nudo femminile apparve nella puntata d’esordio di Odeon. Tutto quanto fa spettacolo (1976, Rete Due) di Enzo Trapani, un servizio incentrato sul locale parigino di striptease Crazy Horse, dove la cornice ironicamente satanista immersa in atmosfere medievali, tra riti orgiastici e sacrifici umani, giustificava la presenza di ragazze svestite in atteggiamenti sensuali e provocanti.
Dopo la sospensione del programma a causa delle numerose proteste, Trapani decise di riproporre un nuovo format in C’era due volte (1980, Rete Due), questa volta con la giovanissima Ilona Staller, partecipazione che non tardò a suscitare ulteriore scandalo.
La presenza della pornostar in un'ambientazione fiabesca, sebbene rivisitata in chiave ironica, venne contestata a tal punto da costringere i dirigenti della Rai a spostare il programma in seconda serata.
Fino agli anni Duemila la Rai ha continuato a promuovere programmi di intrattenimento e di informazione dove le donne hanno sempre trovato difficoltà ad emergere e a trovare spazi propri e legittimati. Una televisione costruita sullo sguardo degli uomini, fatta per gli uomini, dove la dignità e la professionalità delle colleghe veniva spesso sminuita con battute umilianti e allusioni a sfondo sessuale.
A parte sporadici casi di conduttrici più note, spesso i ruoli a loro assegnati erano quelli di co-conduttrici, sempre in secondo piano, o quello di donne ornamentali, banali “cornici” per conduttori potenti e carismatici.
Donne belle e mute, possibilmente svestite, come per le “ragazze coccodè” della popolare trasmissione televisiva Indietro tutta! (1987-1988, Rai Due), condotta da Renzo Arbore e Nino Frassica. Sebbene il programma giustificasse tali performance come parodie per stigmatizzare la volgarità tipica della televisione italiana degli anni 80, alla fine realizzava lo stesso misero gioco dei programmi tanto criticati, finendo per proporre 65 puntate di nudo femminile. Giovanissime lolite messe alle mercè dello sguardo voyeuristico del pubblico.
Domenica in (dal 1976, Rai Uno), Porta a porta (dal 1996, Rai Uno), L’Arena (2004-2013, Rai Uno) sono solo alcuni esempi di programmi in cui si è potuto assistere a performance imbarazzanti da parte dei conduttori, nei confronti di colleghe e delle ospiti nelle loro trasmissioni. Comportamenti ritenuti goliardici, assolutamente normali. Come se loro fossero in diritto di osservare, accarezzare, commentare e palpare quei corpi a loro piacimento.
Corpi spiati in modo ossessivo, sezionati minuziosamente. Come spiega sempre Zanardo nel suo video, le inquadrature costanti sulle singole parti del corpo - glutei, seni, cosce - rimandano alla teoria di body-ism (Unger e Crawford 1996) per la donna. Un oggetto senza vita che può essere sezionato a piacimento per il godimento del telespettatore maschile, mentre la telecamera percorre corpi stretti in abiti di due taglie più piccole. Immagini che entrarono per lungo tempo a far parte di una visione quotidiana, tanto da anestetizzare lo sguardo di un pubblico ormai impassibile di fronte ai voluttuosi stacchetti delle “dottoresse” de L’eredità (dal 2002, Rai Uno), pronte a partire al comando «Scossa!» del conduttore.
Per non parlare del ruolo di “valletta” di Flavia Vento nel programma di varietà Libero rai (2000-2007, Rai Due) condotto da Teo Mammuccari, dove la ragazza passava parte delle puntate messa in bella mostra in una scatola di vetro sotto la scrivania del conduttore, che rispondeva così alle numerose polemiche: «La ragazza è una scultura vivente, e in gabbia ha pure i buchi per respirare».
«Ci si può far infilare sotto un tavolo di plexiglass? Si può assumere la funzione di gambe del tavolo, passare molto tempo lì sotto accucciata mantenendo la leggerezza di un gioco, senza che da qualche parte recondita del nostro corpo non si produca una ferita?», continua Zanardo.
Negli anni ci sono state anche diverse donne che sono riuscite ad emergere professionalmente, sebbene spesso siano state costrette a mostrare caratteri forti e prevaricatori, sempre in continua competizione con le colleghe, solo per dover dimostrare di meritare quel posto da conduttrici, consapevoli di occupare un ruolo che non gli apparteneva.
Insomma, le donne un posto in televisione lo hanno sempre trovato. E sempre lo troveranno. Ma come ha ricordato Amadeus durante una conferenza stampa per Sanremo 2020, parlando delle «bellissime» donne che lo avrebbero accompagnato alla conduzione del festival, l’importante è che abbiano una sola capacità: quella di saper stare al fianco di un grande uomo, pur rimanendo sempre un passo indietro.

Quando cambia il vento e la narrazione: casi di trasmissioni TV dove sono le donne a dirigere la narrazione

Quando si pensa alla tv italiana spesso ci vengono in mente trasmissioni o salotti triviali dove lo spettatore assiste ad una narrazione del femminile piuttosto scadente, come si è avuto modo di constatare finora. Per fortuna però non c’è solo questo. Vi sono trasmissioni nel nostro paese che vedono donne di grande valore culturale al timone di programmi TV. Tra le figure femminili che si possono citare in questa compagine troviamo, ad esempio: Serena Dandini, Luciana Littizzetto, Geppi Cucciari e Laura Berti.
Il critico letterario Angelo Guglielmi, dirigente della terza rete della tv pubblica dal 1987 al 1994, comprese che era giunto il momento di dare alle donne uno spazio diverso. Fu lui con Bruno Voglino ad approvare l’interessante esperimento mediatico de La Tv delle Ragazze che diede i natali a nuovi volti che sarebbero diventati noti nel panorama televisivo italiano, come: Serena Dandini, Linda Brunetta e Valentina Amurri. Si trattava di una trasmissione che puntava a prendere in giro la rappresentazione svilente della donna. È un buon esempio di come il servizio pubblico riuscì a proporre un’identità femminile differente, capace di utilizzare la potenza della satira per mandare in onda qualcosa che fosse alternativo all’oggettificazione della donna tipico della tv tradizionale. Si assisteva a degli sketch comici, come quello con Cinzia Leone nei panni dell’icona pop e sexy Sabrina Salerno - che diventava nello show comico Santina Palermo.
Il programma, introdotto dalla voce di Tina Lattanzi, allargava lo sguardo parodistico anche sull’intero sistema mediatico: dalle messe in onda del mattino al talk show di mezzogiorno, dal varietà del sabato sera alle telenovelas pomeridiane, dall'intervallo ai programmi a sfondo erotico della seconda serata per finire al telegiornale (con una parodia di una giovane Lilli Gruber, ad opera di Alessandra Casella). Per la prima volta in Italia, un programma veniva interamente prodotto, gestito, messo in scena e recitato da donne. Nel secondo ciclo de La tv delle Ragazze la presenza della Dandini acquisì maggiore importanza. Sarà lei a condurre i successivi programmi satirici di Rai3 - anch'essi ideati assieme a Valentina Amurri e Linda Brunetta - ovvero: Scusate l'interruzione, Avanzi e Tunnel.
Luciana Littizzetto è un’altra signora della tv che in varie occasioni ha cercato di problematizzare il ruolo e le difficoltà che incontra la donna in società. La comica si è spesa in monologhi che affrontavano temi importanti come: la violenza sulle donne, la donna in ambito lavorativo e la sua esperienza genitoriale. L’approccio di Littizzetto è quello della persona comune che utilizza il palco e la sua popolarità per portare in alto la voce delle altre donne. Ad ottobre 2021, durante la trasmissione Che tempo che fa su Rai3, Littizzetto, intervistata da Fabio Fazio, ha parlato del suo libro Io mi fido di te, Storia dei miei figli nati dal cuore. In questo lavoro affronta il tema dell’affido, esperienza che la coinvolge direttamente. Ha tenuto a spiegare che l’unica cosa che conta è il legame d’amore che si crea e che questi ragazzi hanno bisogno di stabilità e serenità in quanto spesso, le situazioni dolorose da cui provengono, gli hanno lasciato dei segni indelebili (come la paura di non essere amati).
Durante il suo intervento in occasione della puntata di Stasera CasaMika del 7 novembre 2017, si è spinta ancora oltre. Ha trattato il divario retributivo tra uomini e donne, la scarsa protezione che sperimentano coloro che scelgono di denunciare il compagno violento e infine le difficoltà in cui alcune donne incorrono nel mondo del lavoro qualora rimanessero incinta. La conduttrice e comica Geppi Cucciari, è un altro esempio costruttivo di donna attiva nel mondo della cultura. Impossibile non citare il programma Per un pugno di libri andato in onda per la prima volta nel 1998 e condotto da lei dal 2014 al 2020 su Rai3. Questo prevede la sfida tra due classi, al quinto anno delle scuole superiori, su un classico della letteratura. È una trasmissione intelligente che vede la partecipazione al suo fianco di Piero Dorfles. Tra gli altri programmi che la vedono protagonista, in qualità di conduttrice, c’è Splendida Cornice. Quest’ultimo è uno show che racconta il nostro paese attraverso: libri, social, arte, film e tv. Per quanto concerne la divulgazione scientifica, si può citare la giornalista Laura Berti. Dal 22 settembre 2014 cura la rubrica Medicina 33 in coda al TG2. Con la sua professionalità approfondisce e racconta - ad un pubblico generalista - le novità in campo medico. Partendo da domande semplici, cerca di fornire risposte con l’ausilio di grandi specialisti della medicina che vengono invitati in studio.

Oltre gli esempi luminosi: il femminismo strumentalizzato dai media

Violenza sulle donne e discriminazione sono argomenti la cui presenza non solo appare sdoganata ma addirittura imprescindibile nella proposta mediatica italiana odierna. Schierarsi a favore della parità tra sessi è un modo semplice e veloce per acquisire popolarità e consenso. Non è raro, in questo XXI secolo, che i personaggi famosi si riempiano la bocca di parole come uguaglianza ed emancipazione, appropriandosi di lotte che a malapena comprendono. Ma, come sempre, parlare di certi temi non basta: si tratta di capire, una volta per tutte, come farlo. I segnali positivi che la televisione pubblica italiana ha dato nell'ultimo decennio su questo aspetto non compensano del tutto gli evidenti passi indietro compiuti negli anni Ottanta e Novanta, dopo la fine del periodo d’oro della rivendicazione femminista.
Per accorgersene basta riguardare un programma come Si dice donna. La prima stagione, andata in onda nel 1977, è composta da sei puntate ognuna delle quali è incentrata su una tematica fondamentale, ed ancora attuale, per la comprensione della questione femminile: sessualità, maternità, lavoro domestico, istruzione, lavoro, politica. In particolare questi ultimi tre puntate stimolano una riflessione sul ruolo della donna nella sfera pubblica - discussione che oggi pare abbandonata a causa del disamore dei cittadini per la politica - che quasi ci sorprende nel 2024, ma che ci ricorda che per secoli nella nostra società le decisioni collettive erano affidate ai soli uomini e che di questa realtà bisogna impedire il ritorno. Che rivedendo su RaiPlay una trasmissione del genere, con i servizi di approfondimento e le interviste alle donne comuni alternate ai commenti della presentatrice e delle esperte in studio, si avverta la mancanza di un inquadramento, quando non anche di semplice considerazione, di alcune problematiche nell’attuale programmazione Rai la dice lunga sul livello attuale del dibattito su questi temi.
Sentiamo - è vero - spesso nei telegiornali parlare di violenza fisica e sessuale ai danni di donne e ragazze, ma solo perché proporre una riflessione sociale su questi fenomeni autorizza l'esposizione dei fatti di cronaca più macabri e abietti, quelli tanto amati dal pubblico. Così si scatena l’opinione pubblica, così si genera audience. Ma a dimostrazione sostanziale disinteresse per lotta al modello patriarcale da parte della Rai si può parlare, citando esempi purtroppo prossimi, di ciò che avviene se la vittima non ci sta, se rifiuta che il torto subito diventi spettacolo, se insiste invece nel sottolineare che il problema è sistemico: solo pochi mesi fa Elena Cecchettin è stata accusata di voler strumentalizzare il femminicidio della sorella per ottenere visibilità, è stata insultata per essersi permessa di suggerire che insistere sulla follia dell’uomo violento o sull’assurdità della vicenda non servisse a niente, dal momento che la prevaricazione esisterà finché esisterà il patriarcato.
Ciò a cui lo spettatore italiano non è più abituato, e che manca infatti nell’offerta televisiva, è proprio una riflessione strutturata guidata anche da persone con una preparazione teorica sull’argomento, proprio come quella che le ospiti in studio di Si dice donna dimostrano di avere, preparate ognuna del proprio campo e davvero informate sulle realtà e sui dati di cui si andrà a discutere. Ma d’altronde il pensiero non genera share quanto la polemica ed è molto più facile organizzare talk show sul tema con cadenza quasi giornaliera, invitando i soliti opinionisti inspiegabilmente ritenuti esperti di tutto così che possano urlare al mondo la loro totale ignoranza senza essere stati in grado, a fine serata, di offrire al pubblico altro che frasi fatte buoni sentimenti posticci e lo spettacolo della loro aggressività.
Lo sfruttamento delle battaglie femminili da parte della media italiani si nota anche nell'attenzione dedicata da questi a personaggi femminili dello spettacolo o della politica che “ce l’hanno fatta”, come spesso è avvenuto negli ultimi due anni per quanto riguarda la vita della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La narrazione delle storie di queste donne famose si incentra spesso anche sulla discriminazione sul lavoro subita e sulle difficoltà incontrate nel trovare un equilibrio fra vita privata e lavorativa. L’attenzione viene troppo spesso dirottata su questi casi eclatanti sebbene significativi e la discussione viene così trasformata in gossip. Alla donna normale non è dedicata la stessa attenzione, cosa che invece avveniva nel programma del ‘77, e l’interesse tende ad incentrarsi, in una prospettiva poco intersezionale, sulle donne bianche e di successo popolari nei media, dai quali sembra sparito invece l'interesse per le classi subalterne, per le lavoratrici e le loro difficoltà. Ciò che ne risulta è una trattazione del femminile che non è in grado di aggiungere nulla al dibattito, che non riflette la realtà del paese e che anzi maschera il maschilismo imperante dietro una patina di apparente emancipazione che riguarda solo gli strati più alti della società.

Non sembra, però, che la realizzazione della programmazioni fatte dalla televisione pubblica sia completamente dettata da scelte discriminatorie, bensì dalla volontà degli ascoltatori. La questione sull’importanza di impegnarsi contro gli stereotipi di genere sembra avere ancora troppa poca presa sul pubblico italiano. L’auspicio, per un futuro a breve termine, è quello di trovare un maggior numero di donne sullo schermo, in ogni ambito culturale e professionale, valorizzando la crescita del pluralismo dei temi, soggetti e linguaggi. Non solo raccontando donne iconiche che hanno fatto la storia, ma storie di donne contemporanee, storie in cui altrettante donne possano conoscersi e ri-conoscersi. Lo scopo è quello di dare vita a dialoghi impegnati, che mettano a confronto donne con disagi, sensi di colpa o inadeguatezza legati al quotidiano contemporaneo, e non scadere in spiacevoli e inconcludenti chiacchiere da salotto. Mai come oggi è profonda la necessità di trovare nella società, e di conseguenza sul piccolo schermo, esempi reali e concreti, comportamenti veramente riproponibili quotidianamente, che ci mostrino come il coraggio non sia caratterizzato dalla mancanza di paura, ma dalla consapevolezza che qualcosa sia più importante della paura stessa.

Barbara Berardi, Cecilia Cerasaro, Clara Dellisanti

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