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"Blue. Frammenti", opera prima di Giorgia Groccia. Recensito incontra la giovane autrice

“Scrivere mi ha salvato”, ammette Giorgia Groccia mentre parla del suo libro che tiene stretto fra le mani. Barese, classe 1994, lunghi capelli biondi, un sorriso timido e due occhi scuri che brillano quando le si domanda della sua opera prima. Per lei, già cantautrice e attrice, con un passato da modella, dovrebbe essere semplice affrontare interviste riguardanti qualche suo lavoro. Eppure sembra molto emozionata quando si tratta di raccontarci del suo debutto come scrittrice. Recensito ha incontrato la giovane artista, allieva del Master in Critica Giornalistica presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” di Roma, in occasione della pubblicazione di “Blue. Frammenti”, il suo primo romanzo edito da FaLvision Editore.

Da dove nasce l’idea di questo libro?
“Avevo questa storia già in testa da almeno due o tre anni. Avevo iniziato ad accennare una bozza nelle note del computer, con i nomi dei personaggi e più o meno la trama. Inizialmente volevo riportare due punti di vista diversi, un po’ come nel romanzo “Ma le stelle quante sono” di Giulia Carcasi. Dopo averlo lasciato da parte per anni, ho ripreso a scrivere il racconto durante un periodo brutto che ho passato a maggio 2017, non avendo molte cose a cui aggrapparmi. È stata la scrittura ad aiutarmi ad uscirne: ho anche composto una trentina di canzoni, ma questo libro mi ha aiutato a distrarmi da ciò che stavo vivendo. Mi sono resa subito conto, però, che non volevo utilizzare due punti di vista, ma uno solo che potesse essere così forte tanto da bilanciare il tutto. Quindi ho eliminato completamente l’idea delle due parti e mi sono concentrata solo sullo sguardo femminile, di Maria”.

Quanto c’è di autobiografico?
“Realmente di autobiografico non c’è nulla: sono tutti personaggi ed eventi di fantasia. Grazie a Dio non sono fatti che mi sono successi in prima persona quelli descritti. Però di mio c’è il pensiero, inteso come femminile, come flusso libero di idee, di sensazioni e di emozioni. Non è autobiografico, ma c’è comunque qualcosa di mio: dal momento che scrivo in prima persona cerco anche di immedesimarmi in quello che sto elaborando”.

Parliamo dei nomi dei personaggi: sono scelti a caso?
“I nomi maschili sono casuali: per esempio, il nome Marco, che è uno dei pochi nomi maschili che compare nel libro, è molto comune, ossia di Marco ce ne sono miliardi al mondo. Invece, i nomi femminili, benché anch’essi siano abbastanza diffusi, hanno ognuno una motivazione. Il nome Maria è in contrapposizione al personaggio di Blue: sono un po’ il diavolo e l’acquasanta, il sacro e il profano, perché Maria è un nome che ricorda la Madonna, mentre invece Blue è agli antipodi di qualcuno che può essere ritenuto puro, chiaro. Il nome Mia già di per sé è un nome egoista, che richiama possesso, egocentrismo e quindi inquadra bene le caratteristiche del personaggio. Il nome Ambra, infine, rievoca la pietra preziosa molto bella, ma non così limpida, perchè ha delle sbavature dentro, delle macchie che ricordano un po’ l’anima di questo personaggio”.IMG 6691 20 06 18 06 47

Perché l’alter ego di Maria si chiama Blue? Lo hai scelto per un motivo particolare, oppure è il tuo colore preferito?
“Si chiama Blue perché questo termine in inglese significa tristezza, ma non propriamente la tristezza negativa che intendiamo noi, non ha una vera e propria traduzione precisa. È un misto fra tristezza e malinconia, ma noi non abbiamo un vocabolo per identificare questa sensazione. Non è negativa, ma sta a metà fra l’essere effettivamente tristi e la malinconia, la quale è quasi piacevole, ci si culla nella malinconia. È quella giusta via di mezzo che mi interessava per identificare quel tipo di personaggio”.

Hai detto che Maria è un nome ispirato alla Madonna: sei credente?
“No, ma ho molto rispetto nei confronti della Fede. Io penso che la Fede sia una cosa importante e che sia innata, nel senso che non credo che sia dovuta totalmente a delle sovrastrutture sociali e quindi a un’imposizione. Ritengo che quando una persona cresce, possa decidere liberamente se essere credente o meno: lo è quando sente davvero di esserlo. È una bellissima cosa avere Fede, ma bisogna sentire di averla”.

Uno dei capitoli del libro si intitola: “Siamo luoghi comuni in posti mai visti”. Tu ti sei mai sentita così?
“Sì, più volte nelle mie relazioni mi sono sentita così, sia con gli uomini, sia con amici o conoscenti. Vuol dire che c’è qualcosa di diverso che ci discosta dagli altri, ma nel profondo non siamo niente di differente. È una bella sensazione inizialmente, ma dopo un po’, analizzandola a fondo, ti domandi se vale la pena effettivamente avere a che fare con quella persona in particolare. Quindi sì, parecchie volte mi sono sentita così”.

In uno degli ultimi capitoli del libro, Maria dice di essere “una luce gialla tra le luci blu”: di che colore è Giorgia?
“Io forse sono il contrario. Adesso sono una luce blu in mezzo a tante gialle: significa essere non fuori dal coro, ossia dire “sono diversa dagli altri”, ma piuttosto non sentirsi in compagnia anche quando lo si è, o comunque sentire sempre una distanza con le altre persone ma allo stesso tempo una vicinanza per quanto riguarda il dialogo. Secondo me, le parole sono l’unico modo per abbattere determinate barriere. Però molte volte è difficile creare un dialogo effettivo con le persone che vada oltre il luogo comune”.

Facciamo un gioco: rispondi alle domande che la protagonista si pone all’inizio del capitolo “In un giorno qualunque”. Dunque:
“Ti è mai capitato di essere altrove?” Sì, spesso e volentieri.
“Ti è mai capitato di voler essere in un altro corpo?” Quasi tutti i giorni (ride, ndr).
“Ti sei mai stancata di guardarti allo specchio?” Sì, spesso.
“Ti è mai capitato di voler essere da un’altra parte?” Sì.
Sono tutte domande che mi sono posta soprattutto durante la prima adolescenza e, in maniera prorompente, durante gli anni universitari. Il secondo anno, in particolare, è stato tutto così: speravo di essere un’altra persona, di non essere lì, di fare altro… Ho affrontato una crisi profondissima. Adesso, devo dire, che mi sento sicuramente al posto giusto: togliendo certi momenti di debolezza che abbiamo tutti, sono contenta di essere come sono e sono contenta di essere fatta così. Non mi cambierei”.

Nel libro si parla di diversi luoghi: Milano, Costiera Amalfitana e Bari. Tu ora sei a Roma: come l’hai trovata?
“Io sono innamorata di Roma ed è il motivo per cui non l’ho utilizzata come protagonista del racconto. Avevo bisogno di un distacco emotivo. Ho vissuto, ad esempio, Milano sempre in maniera frastagliata, mai per tanto tempo: ci sono stata per lavoro, per turismo, sempre per brevi periodi. Parlare di Roma sarebbe stato sviscerare un legame sentimentale troppo forte e la protagonista non doveva avere quel tipo di affinità con il luogo. Avevo bisogno di una città a cui non mi sentissi legata sentimentalmente. Di Roma, invece, sono follemente innamorata e oltretutto la conosco bene. Ci vivo da due anni, quindi sarebbe stato troppo difficile utilizzarla e mantenere un distacco emotivo da questa città”.

Milano è legata all’immagine di un bar, Bari a quella di una panchina, la Costiera Amalfitana alla spiaggia e al mare: Roma a che cosa potrebbe essere legata?
“Difficile rispondere. Potrebbe essere legata, in generale, alla notte. Roma di notte penso sia una delle cose più poetiche mai viste. Un luogo in particolare? Potrebbe essere lo scorcio che si intravede a Monti tra la strada e il Colosseo, ma potrebbe essere anche benissimo il vicolo buio di San Lorenzo, dove non c’è illuminazione. Dopo il tramonto, questa città diventa così tanto pericolosa, ma così tanto magica che penso di poter vivere per tutta la vita di notte a Roma senza mai stancarmi”.

Ti piacerebbe scrivere un libro con protagonista Roma?
“In realtà già ho iniziato a scrivere qualcosa al riguardo. Ma non sveliamo nulla”.

Chi ti ha influenzata? Chi sono i tuoi scrittori preferiti?
“Mi piace molto Francis Scott Fitzgerald. Quando ero più piccola, amavo leggere Giulia Carcasi, perché trattava le stesse tematiche che ho affrontato io nel mio libro, in maniera non scontata. Paolo Giordano anche è tra i miei preferiti: ho letto “La solitudine dei numeri primi” quando avevo più o meno 12 anni e un po’ mi ha segnata. Ora le mie letture sono varie: un mese fa ho divorato “Novecento” di Alessandro Baricco e ora sono alle prese con un libro di Elena Ferrante, “Amore molesto”. In generale, il thriller psicologico mi ha sempre affascinato come genere, anche al cinema. E mi ispira tantissimo il cinema francese”.

Chi è il Gianfranco della dedica?
“È il mio papà. Con lui ho sempre avuto un rapporto un po’ burrascoso quando ero più piccola: è il motivo per cui non ho sempre avuto relazioni tranquille con il genere maschile, ovvero perché avevo con lui un brutto rapporto. Non c’è mai stata una rottura effettiva tra noi, ma quando ho fatto pace dentro me con lui, ho iniziato a guardare le cose in maniera diversa, ho acquisito più sicurezza di me e ho iniziato ad amarlo davvero, cioè a non avere paura di amarlo.”

IMG 6692 20 06 18 06 47Maria, la protagonista del libro, ascolta tanta musica. Tu sei anche cantautrice. Che rapporto hai con la musica? Come hai scelto le musiche da inserire nel libro?
“Il mio rapporto con la musica è abbastanza viscerale, nel senso che non potrei farne a meno. Per quanto l’amo, a volte mi è capitato di arrivare ad odiarla, poiché ci sono stati dei periodi che, pur dando il massimo, non riuscivo ad ottenere il risultato sperato. Attualmente ho capito che, per me, sono importanti soprattutto le parole che una persona vuole ribadire tramite la musica, do molto peso ai testi. Il motivo per cui ho fatto finalmente completamente pace con la musica è perché ho trovato il mio posto. Per quanto riguarda le canzoni che ho scelto per il mio libro, esse sono appropriate per quei momenti descritti in determinati capitoli. Ad esempio, in una delle prime pagine, c’è una frase di una canzone di Calcutta, “Milano”, perché secondo me quella canzone corrisponde esattamente all’idea che ho io di Milano, ogni volta che sento quella canzone immagino Milano. Ho inserito i Pink Floyd perché fanno parte del mio background musicale, li amo da sempre, me li faceva sentire papà quando ero piccola, quindi non potevo non citarli. C’è anche una canzone dei Cigarettes After Sex, la quale è molto eloquente: parla di una richiesta di non far del male, ma in realtà tra le righe c’è anche la supplica di far del male, quindi è molto contradditoria come il personaggio di Maria/Blue in quel momento. Poi ho scelto una canzone dei Go Go Dolls, “Iris”, perché è legata alla mia adolescenza. Infine, la più importante è “Baby Blue” di Tor Miller, che canta esattamente del mio personaggio: sembra sia stata scritta appositamente, trasmette proprio quelle sensazioni che io spero di aver trasmesso con le parole”.

Scrittrice, cantautrice e sei anche attrice: a maggio sei stata al Festival di Cannes come protagonista di un cortometraggio, “La figlia di Mazinga”. Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Progetto immediato è quello di far uscire un EP di inediti per settembre. Spero quest’estate di fare un po’ di date con le mie canzoni e di farle conoscere al pubblico, facendo uscire anche qualche singolo. Mi auguro, inoltre, di riuscire a scrivere un’altra storia, un altro racconto, anzi: di continuare a scriverlo durante l’estate, perché in realtà l’ho già iniziato. Per quanto riguarda la carriera d’attrice, dopo Cannes parteciperò al Festival ContaminAzioni (Festival di liberi esperimenti teatrali autogestito dagli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, ndr) con un’opera teatrale di un mio collega, Andrea Giovalè (con il quale collabora anche per il duo musicale Caffelatte, ndr), il quale ha scritto un monologo di cui io sarò l’interprete protagonista. Il tema, però, è top secret”.

Ultima domanda: perché bisognerebbe leggere “Blue. Frammenti”?
“Voglio riportare una bella cosa che mi è stata detta ultimamente, che mi ha sorpresa ed emozionata molto. Esattamente non ricordo le parole, ma il sunto era che “Blue. Frammenti” è una storia universale, che abbraccia varie generazioni che tra di loro hanno tanti anni di differenza. Può essere non dico d’aiuto, ma uno sguardo da entrambi i punti di vista, quello giovanile e quello più adulto, verso le stesse tematiche. Penso che questo sia un buon motivo per leggerlo”.

Chiara Ragosta, 26/06/2018

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