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Recensito incontra Pamela Villoresi: una vita per e nel teatro

Giorgio Strehler la definì "talento naturale e prediletto". Sono passati quasi quaranta anni dal debutto ne Il Campiello e Pamela Villoresi è fermamente convinta di aver dato e ricevuto dal teatro la vita. Ripercorrere la sua carriera vuol dire parlare della storia del teatro italiano, dagli anni al Piccolo Teatro di Milano alla direzione artistica del Festival Arie di Mare a Orbetello. Grande protagonista del teatro e del cinema italiano, ha interpretato, per citarne alcuni, Clarice nel celeberrimo "Arlecchino Servitore dei due padroni" di Giorgio Strehler, Nina ne "Il Gabbiano" di Marco Bellocchio e la facoltosa borghese Viola ne "La grande Bellezza".

Una carriera a tutto tondo dal teatro, al cinema alla televisione ai recital omaggio alla poesia italiana (Petrarca, Mario Luzi, Giosuè Carducci, Pier Paolo Pasolini, Dante, Leopardi) e alle figure mitologiche e mistiche femminili.
Mancano pochi giorni all'inizio del Festival Arie di Mare di Orbetello e noi di Recensito abbiamo incontrato Pamela Villoresi per intervistarla.

Perché l'edizione 2015 del Festival Arie di Mare è dedicata al mondo femminile?

"È un tema che si è molto dibattuto nellíanno in corso; a giudicare dalle cronache, abbiamo pensato fosse necessario e doveroso dedicarlo al mondo femminile, per ricordare le tappe del processo di evoluzione, di emancipazione della donna, per il rispetto che si deve al genere femminile, che non è a completamento di quello maschile, ma che ha diritto alla sua dignità, ai suoi spazi. Una tranquillità di vita che a volte è negata, i casi di femminicidio ci riguardano da vicino.
Questo sarà un Festival estivo, i temi saranno affrontati con molta leggerezza e ironia, però pareva irrinunciabile dedicarlo all'altra metà del mondo e poi c'è la grande occasione dei cinquecento anni dalla nascita di Santa Teresa DíAvila, prima donna Dottore della Chiesa, e che per essere stata un po' troppo avanti nei tempi e intransigente rispetto alle cose in cui credeva, come riformare l'ordine dei Carmelitani, riportarlo alla regola iniziale di contemplazione, ha subito due processi dalla Santa Inquisizione.
Lei l'ha fatta, ha fondato trentotto conventi, ha realizzato questa riforma, ha scritto tantissimi libri, è un bell'esempio di forza e sostegno a non scoraggiarsi. Ci sarà uno spettacolo teatrale che si chiama Tacchi Misti, affronta tutti gli stereotipi in cui la società ha chiuso le donne, da Eva in avanti. Ho visto questo spettacolo in primavera e sono uscita con le lacrime agli occhi dalle risate, e ho chiesto di rifarlo per noi, anche se non era prevista una ripresa estiva, con la regia di Ferdinando Ceriani, quattro bravissime interpreti. Inoltre tre spettacoli musicali, uno dedicato a Fabrizio De Andrè, che ha dedicato la sua opera alle donne, scavalcando tanti stereotipi, santificando le eterne maledette, a partire da Bocca di Rosa in avanti. Le canzoni le sentiremo da uno dei suoi più autorevoli interpreti di Mimmo de' Tullio. E ancora Officina Zoè, con uno spettacolo nuovissimo che si chiama Mamma Sirena dedicato al mare come madre, come si dice in francese la "mer" che è anche la matrigna. Ci saranno tutti i canti dei popoli che il mare nostrum bagna, lo dico per ultimo ma sarà il primo, a un'approfondita ricerca di canti popolari, con il coro de Le Donne di Magliano, ricordando le storie e la forza delle donne di questa terra che ospita il Festival e di tutto il Centro Italia.

Nel programma del Festival c'è uno spettacolo "Un castello nel cuore" nel quale interpreta Teresa D'Avila. Quando ha deciso di portare in scena la storia di questa religiosa spagnola?
Ero in tournée in Spagna con il Teatro d'Europa, fittai la macchina e capitai ad Avila, a parte la bellezza del posto, delle chiese romaniche, delle rocce rosse, rimasi colpita dalla statua di Santa Teresa all'ingresso del paese, che rappresenta una donna forte solare potente. La chiesa cattolica non ci ha abituato a questa iconografia, lessi le biografie, rimasi folgorata, ha raggiunto dei livelli altissimi di illuminazione nella mistica mondiale, ed è da allora che voglio fare uno spettacolo, sono pù di venti anni, sono stata caparbia anche io, ci siamo riusciti proprio per l'anniversario dei cinquecento anni dalla nascita.

Riesce a conciliare la laicità del teatro e alla religiosità dei temi?
Anche questo è uno stereotipo, l'arte sgomita da tutte le parti. Il teatro ha una sacralità laica ma è un rito quindi può parlare di qualunque cosa, che riguarda il pensiero religioso o laico e la cultura. Il confine è labile, tutto il mondo del pensiero e della spiritualità è un grande mare, nella mia carriera ho fatto altre figure mistiche, Lalla Arifa, una persiana del 1300; ho fatto uno spettacolo su Edith Stein. Per anni mi sono occupata di un festival sulla spiritualità a Roma e a New York, Spiritualmente Roma e Spiritualmente New York, che hanno tagliato, perché dicono che non si sente la necessità di un festival sulla spiritualità. Ho commissionato vari spettacoli e vari recital a tema religioso, come l'Arca di Noè. Nel corso dei miei quarantatrè anni di carriera c'è un filo che prosegue, che riguarda la spiritualità.

Com'è stato il suo esordio al Piccolo Teatro di Milano e il suo incontro con Giorgio Strehler?
Ero a Milano per lo spettacolo Marco Visconti, ho compiuto la maggiore età mentre ero impegnata in quel lavoro. Ho cominciato a quindici anni, il libretto di lavoro è datato 1972. Giorgio Strehler mi chiese di fare un provino per Il Campiello e lo feci. Lui cercava tre ragazze, poi mi disse che mi aveva preso per tutte e tre, e aggiunse che a seconda di come trovava le altre due, mi avrebbe detto quale ruolo avrei fatto. Fu amore a prima vista.

Quale insegnamento di Giorgio Strehler custodisce gelosamente?
Lui studiava per anni, non lasciava niente al caso. Non era mai cialtrone, era attento all'approfondimento di ogni singola parola di ogni spettacolo. Conservo incorniciato il biglietto che mi scrisse per il debutto del primo spettacolo che era proprio Il Campiello, mi scrisse: Talento naturale prediletto, un augurio a te per un successo che ti meriti, e devo dire che è stato un augurio andato a buon fine.

Quali sono i suoi progetti futuri?
A settembre andrà in onda su Rai 3 una serie che finiamo di girare venerdì (ndr. 14 agosto) a Torino, "Non uccidere", io sarò la protagonista della decima puntata. Sono in scena a Roma, a novembre, con lo spettacolo Zoo di vetro, nei panni di una donna fascinosa, inquieta croupier tedesca ne Il mondo non mi deve nulla di Massimo Carlotto.

Cosa si sente di un aver dato al teatro e cosa le ha dato il teatro durante la sua carriera?
La risposta è uguale: la vita.

Gerarda Pinto 12/08/2015

Recensito incontra Giorgio Pasotti all'Ariano International Film Festival

Giorgio Pasotti ci parla del suo “Io, Arlecchino”, un film omaggio alla Commedia dell’Arte e alla riscoperta delle proprie origini. durante la terza serata dell'Ariano International Film Festival.
Una grande carriera da attore, dagli esordi cinematografici a Hong Kong alla recente prova nel ruolo del poliziotto integerrimo in Nottetempo, Giorgio Pasotti, sulla soglia dei quaranta anni, debutta dietro la macchina da presa, con il film “Io, Arlecchino”, una storia universale sul recupero del rapporto padre figlio e sulla ridefinizione della propria identità. Il film distribuito in Italia nel mese di giugno ha già avuto un favorevole riscontro dal pubblico francese ed è stato venduto anche negli Stati Uniti.

Oltre al legame geografico con la maschera bergamasca di Arlecchino, perché hai deciso di inserirla in un progetto cinematografico?

Il mio film non è solo un omaggio voluto alla Commedia dell’Arte, che considero essere un patrimonio storico culturale di noi attori e della tradizione italiana. Il protagonista del film interpretato magistralmente da Roberto Herlitzka, ha preso ispirazione da Feruccio Soleri, attore dell’Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Giorgio Strehler, un grandissimo interprete, che per tutta la vita ha portato in scena Arlecchino, il nostro più grande Arlecchino, il più famoso, il più conosciuto e anche il più prolifico. Detto questo, la mia operazione è stata quella di raccontare una storia, un rapporto di un padre e di un figlio che si ricuce, lo scenario sullo sfondo è la Commedia dell’Arte e tutte le maschere che la compongono. È una volontà, la mia, di descrivere la riscoperta delle proprie radici, non intese solo come appartenenza ad un luogo, ma anche a una cultura che è stata facilmente dimenticata; oggi, più che mai, è importante il passaggio, come di padre in figlio, dell’intero patrimonio culturale.

Come è nata l’idea di questa storia? Ci sono elementi autobiografici?

È una storia scritta da uno sceneggiatore inglese Maurice Caldera, sulla base di un soggetto che io avevo collaborato a scrivere. Non ci sono elementi autobiografici, non ho assolutamente un rapporto malsano con mio padre e nemmeno la Commedia dell’Arte mi appartiene, come esperienza lavorativa. L’autobiografico è un bastone tra le ruote, è difficile parlare delle cose che ti riguardano.

Davide Antonio Bellalba  05/08/2015

Spellbound a Villa Pamphilij, la danza continua anche quando la musica finisce

Mauro Astolfi coreografa pure il silenzio. Questo il tratto di maggior originalità osservato ieri sera in occasione della “Serata Spellbound”, che ha chiuso la parte estiva degli appuntamenti di “Invito alla danza”, il festival che dal 16 luglio scorso ha animato le serate di Villa Pamphilj. Con la sua compagnia, lo Spellbound contemporary ballet, il coreografo romano, tra i più apprezzati della sua generazione, ha proposto una tripartizione di balletti a cui hanno assistito in molti, nell'arena della villa di Monteverde. Lo spettacolo è partito con il passo a due “Small crime”, sul rapporto spesso conflittuale in una coppia, prosegue sul filo delle relazioni con “She is on the ground”, performance collettiva della compagnia che schernisce i tentativi a volte maldestri degli uomini alla conquista di una donna e infine la prima italiana della seconda parte dello spettacolo “Dare” dove alla coreografia si associa anche una scenografia composta e ricomposta dagli stessi performer.

Molto più movimentato e fluido il primo pezzo, come da drammaturgia della serata più lungo e corposo il secondo, con un performer che scende in platea e gioca col pubblico, di maggiore impatto visivo il terzo, tra una serie di pilastri di cartone che creano infinite combinazioni tra e coi corpi.

C'è, nella poetica di Astolfi, un flusso di ricerca continuo che va dalla Conctact improvisation di Steve Paxton ai “quadri” astratti di Sasha Waltz, passando per i movimenti fusion di Sidi Larbi Cherckaoui. La sua formazione tra gli Stati uniti e l'Europa è evidente ad ogni passo dei suoi danzatori (undici e tutti molto bravi).

Il corpo è sfruttato in ogni suo angolo e possibilità: corpi che si avvitano, si agganciano, fluiscono, si muovono come insetti, strisciano e si contorcono, sanno ironizzare sulle proprie azioni-reazioni. Nei primi due pezzi sembra un po' stereotipato il linguaggio (le donne da conquistare, spesso a terra con il maschio che si sdraia sopra, il “ti acchiappo-mi sfuggi”), che a volte rimanda a uno stile narrativo da sit-com televisive.

Il tratto più originale invece, come dicevamo, è la danza che continua anche senza la musica, con i ballerini che seguitano la performance nel silenzio assoluto, scandito solo dai loro tonfi e dai loro respiri affannati. Sembrerebbe la rottura di una nuova frontiera e probabilmente lo sarebbe se non fosse che invece il punto dolente dell'intero spettacolo è proprio la scelta della musica, a volte classica a volte futurista, quasi a echeggiare paesaggi “lunari”, che però rischia di appesantire il ritmo serrato delle coreografie, dilatando la distanza tra ciò che vediamo da ciò che ascoltiamo. Un effetto voluto?

Rosamaria Aquino 4 agosto

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