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Paola Turci, “Il secondo cuore” è la sua voce

Apr 10

Palpita, pulsa, scoppia, ma con stile e senza retorica, col garbo di una scrittura tanto semplice e diretta quanto raffinata e sempre suggestiva, “Il secondo cuore” di Paola Turci (Warner Music), disco d’inediti che arriva a cinque anni di distanza dall’ultimo (“Le storie degli altri”, 2012). In un panorama musicale dove d’amore e di cuore si parla troppo e spesso male, Turci riemerge con un album dal titolo sfacciatamente tradizionale eppure così evocativo e multiforme, che ricorre in più di una delle 11 tracce dando al progetto una preziosissima impronta ‘concept’ e che porta in sé tutto il fascino della rinascita. Ma non solo.turci2

È il “secondo”, questo, perché non basta solo un cuore per pompare e far circolare tutto il sangue e la linfa artistica di cui vibra Turci, che a trent’anni dall’esordio ha ancora la rara audacia e la rarissima capacità di sperimentare.

Si parte subito a battiti accelerati con due delle tracce più energiche e ritmate del disco: “Fatti bella per te” (presentata all’ultimo Festival di Sanremo, così come la cover di “Un’emozione da poco” di Anna Oxa, anch’essa presente) e “La prima volta al mondo”, icone di un irresistibile rock d’autore, con incursioni quasi dance nella seconda, si inseguono e completano in un crescendo di ritmi e melodie. Ma se pensiamo d’aver così intuito l’indirizzo del disco, dobbiamo ricrederci. Eccoci, infatti, poco oltre, di fronte a “Ci siamo fatti tanti sogni”, ballata romantica più tradizionale che ci trasporta in una dimensione più malinconica e sospesa, dove non sembra esserci più spazio per la grinta di prima.

Proprio questo è uno dei (tanti) grandi pregi dell’album: ad ogni traccia corrisponde un movimento inaspettato, un continuo ondeggiare tra prosa e lirismo, in un percorso fatto di baratri e cieli aperti, di attese e di assalti. Proprio come succede nella vita. E in “La vita che ho deciso”, a metà disco, dove l’autobiografia di Turci si fa evidente, ma mai veramente privata: “la vita che ho deciso / io la volevo forte / come le mani di mio padre / per farmi attraversare” son versi che scardinano le resistenze di chiunque.

Come scardina, ancora, le aspettative “Sublime”, poco oltre, esperimento bilingue (con inciso in inglese, come già accadeva ad esempio in “Mani giunte” del 2002) che quasi si muove sul terreno dell’elettronica.

E quando pensiamo d’aver goduto di tutte le energie di questa mai scontata cantautrice, ecco che c’arriva addosso, in romanesco, “Ma dimme te”, traccia che chiude il disco e apre all’infinito l’immaginario di ognuno. La voce di Turci è qui, in questo dichiarato omaggio ad Anna Magnani, d’una potenza e d’una teatralità che solo la sincerità sa procurare. E ci ricorda, senza aver nulla da invidiarle, Gabriella Ferri, quando con disperata ironia intona “già lo so me dai la sòla / e me lascerai da sola / sì, tu me lascerai”.

Teatralità, si diceva. Sì, perché per quanto ricco e variegato sia l’aspetto prettamente musicale, è nell'interpretazione che la statura emotiva e vocale di Turci si mostra in tutta la sua potenza. Lei che ogni parola non solo la canta, ma la tocca e la vive, ce ne restituisce puntualmente lo spessore e la dignità, modulando la propria voce tra scintille d’acuti e bassi di tangibile buio, come fosse l’interprete di un unico intenso monologo.

Sacha Piersanti 10/04/2017

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