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Diodato al Monk: pulizia di forma, profondità di suono

Feb 13

Non è bastato il cambio location piovuto dal cielo con la precipitosa chiusura del Quirinetta.
Non è bastata la data infrasettimanale nel bel mezzo di febbraio, dove il letargo tende a prendere il sopravvento e la vida loca in giro per locali si dissolve lentamente in un tisana party sotto il piumone.
Non è bastato tutto questo a fermare il pubblico di Antonio Diodato, in arte un cognome solitario, che mercoledì 8 ha riempito la sala concerti del Monk a Roma. La gente è arrivata piano piano, ma è arrivata eccome, forse oltre le aspettative stesse del cantautore pugliese.
Dopo tre anni “davanti a fogli pieni di parole, tra migliaia di note che mi risuonavano in testa” Diodato è tornato. “Avevo una storia da raccontare, una storia probabilmente simile a tante altre, ma in fondo unica, come lo sono tutte” dice. Ed eccolo qua il suo romanzo a puntate: il 27 gennaio è uscito il secondo lavoro (terzo se si considera “A ritrovar bellezza”) “Cosa siamo diventati”.
Ce lo propone tra i fumi e le luci del locale, un po’ con la chitarra acustica e un po’ senza, un po’ pescando dal passato e un po’ mostrando il futuro. “Mi si scioglie in bocca”, “La verità”, “Guai”, “Cosa siamo diventati”, “Colpevoli”, “Paralisi” si alternano a brani del primo album, “Babilonia” e “Ubriaco” e il De André in chiave rock di “Amore che vieni amore che vai”. La voce è perfetta, di un mengoniano rimando ma senza scadere nel caricaturale. La differenza la fanno gli arrangiamenti, perfetti nel loro mix tra pop e rock, decisamente più ritmati rispetto all’album inciso. Ed è proprio questo che lo salva da una fotocopiatrice seriale evidenziando la sua ricerca di un’identità unica.


Perché, in effetti, a pensarci bene Diodato non si sa come inquadrarlo: non è nazionalpopolare, non è alternativo, non è puro pop, non è rock’n’roll. Non fa faccette sofferenti, ma si esprime con le mani e abbraccia il microfono. Niente look da hipster, ma ciuffo ribelle spettinato. Niente testi di urbanismo non sense, ma esplosioni sonore alternate ad accordi intimistici. Quest’assenza di cornice può essere vista come un contro, ma è anche un pro: non si lascia scalfire da giudizi categorici, non rientra in confini assoluti e forse troppo spesso semplicistici.
Sfuggente e pulito, tecnicamente preciso, Diodato convince senza troppi arzigogoli, si fa autore di una performance vocalmente e sonoramente riuscita, dai testi più o meno originali o toccanti ma indubbiamente onesti e veri. Diodato può ancora crescere, e il suo percorso in dolce salita non porterà forse rapide ascese all’Olimpo delle superstar, ma neanche dolenti scivoloni in precipizi. Anzi, le sue soddisfazioni se le sta già prendendo: Mtv, aperture di concerti, colonne sonore, Sanremo.
La sobrietà, il lavoro e l’intonazione (che sembra scontata ma, ahinoi, oggi non lo è poi così tanto), alla fine, premiano.

Foto: Danilo D'Auria

Giulia Zanichelli 13/02/2017

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