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"In attesa dell''Avvento", specchio di un''Italia in frantumi

"In Attesa  dell'Avvento" richiama il Risorgimento italiano senza fronzoli e senza riverenze, condensando nell'estetica del frammento una serie di riflessioni implicite per le quale non occorre supporto verbale.

Venti minuti, solo venti, per far si che la storia e l'antiretorica esplodano nella messa in relazione di tre date: 1861, 1971, 2011: date scelte arbitrariamente, un convenzionale "come-tutto-ebbe-origine", un irruente seguito fatto di immagini in bianco e nero con parate di uomini politici, un presente tragicamente immobile, nel quale le persone -e non i personaggi- sono figure ferme, di una fermezza legata alla precarietà e all'ipocrisia di un tanto celebrato oggi in memoria dei tempi che furono... o che avrebbero dovuto essere.

Al centro la Calabria, i fatti di Gioia Tauro, dai "martiri" della patria, celebrati da lontano eppure così avvolti nella desolazione da vicino, ai contadini, ai venditori del pesce, a giovani che impugnano la pistola senza premere il grilletto. Le immagini scorrono, intrecciandosi a vicenda in un flusso discontinuo, in cui la riflessione irrompe proprio nei vuoti narrativi, negli intermezzi neri di un'inquadratura che appare a intermittenza sullo schermo. Di straordinaria efficacia il lungo piano sequenza con camera fissa su un uomo che, ripreso di profilo, ascolta le sontuose parole del presidente della Repubblica nell'anno dei festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia. E non batte ciglio, non si muove, l'assoluta sobrietà delle azioni rende magistralemente un dissenso fatto di cinica rassegnazione.

Questo cortometraggio diretto da Felice D'Agostino e Arturo Lavorato procede per ellissi e giuastapposizioni, guardando a Godard e Eizenstein, quando il silenzio delle inquadrature viene asincronisticamente "violato" da irruzioni di musica punk. Il montaggio dissonante rappresenta la cifra armonica del tutto, cozzando con il celebrativismo ufficiale che occulta l'irrisolto di molte questioni italiane e un titolo che lascia intendere quanto ci sia ancora da conquistare.

 

(Antonella Carone) 

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