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"Babylon City" e la sostenibile mutevolezza del tempo

Prima tra le città più popolose della storia, caotica e multiculturale, dove tante nazionalità e religioni convivevano, riunendosi in un'unica metropoli il cui ingresso convogliava proprio in quella porta dedicata alla divinità Ishtar, dea dell'amore, della fertilità e dell'erotismo, ma anche della guerra, Babilonia è sempre stata nei secoli e nei millenni, coacervo di culture, lingue, ed esperienze spirituali, nonché metafora di incomunicabilità.

E così come lo è stata nel tempo e nella storia, torna ad esserlo qui e ora nella contemporanea Babilonia (ri)costruita da Mariarosaria Stigliano, dove ogni tela si trasforma in mattoncino, decorativo o pietra miliare che sia, e contribuisce a ricreare dalle macerie di una città ormai perduta una nuova identità. Ogni immagine in essa riprodotta diventa tassello di una torre immaginaria, la cui opera non si staglia verso il cielo in un arrogante tentativo di raggiungere l'immortalità, ma si protende in avanti, verso il futuro, volgendo al contempo uno sguardo al passato e ai ricordi da cui trae ispirazione.

Così, lungo la Galleria SMAC, si distende questa metropoli eterea, fatta di vecchie costruzioni immortalate in audaci e nuovi splendori (Montmatre, 2014), abitate da ombre impalpabili e incorporee, che quasi trascendendo da loro stesse si muovono negli spazi grigi di questa città senza tempo, siano essi aperti (Gare de Frigorifique, 2014) o chiusi (Followed by my Shadow, 2010), in cui le curvature del corpo, trattenuto in un istante eterno, si rispecchiano parallele nell'ambiente circostante.

Un'orizzontalità forzata ma necessaria, funzionale alle opere stesse che ospita, quella della navata che accoglie la mostra “Babylon City”, esposta alla Galleria SMAC di Roma - Segni Mutanti Arte Contemporanea fino al 26 aprile. Uno spazio bianco i cui muri prendono vita proprio grazie alle tele esposte di di essi, e il cui centro, quasi come un fiume calmo e tranquillo – lo stesso che si intravede nello splendido trittico L'isola (2014), dove rimembranze chiaroscure vivificano un ambiente altrimenti nascosto nei meandri di viaggi lontani in capitali dai confini labili, individuabili in tutte come in nessuna.

Una moderna Babilonia, con nuove mura e rinnovato spirito, che si reincarna in una trascendenza unica e multiforme, i cui abitanti, oscure ombre che vagano negli spazi socchiusi di tele abilmente intessute, sembrano perduti ma al tempo stesso riappacificati con l'anima tumultuosa di una città forse non più presente, ma certamente mai “passata”.


(Noemi Euticchio)

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