"La doppia ora": l''Italia ancora una volta non convince
“La doppia ora”, opera prima del regista Giuseppe Capotondi in concorso al 66 Festival del Cinema di Venezia, non ha lasciato indifferenti - nel bene o nel male- gli spettatori in sala. Cos’è la doppia ora? E’ quando, nel guardare l’orologio, ci si imbatte in due cifre uguali, ad esempio le 23 e 23 minuti. Giudo dice che quando questo succede è come vedere una stella cadente, bisogna esprimere un desiderio. Lui è un ex poliziotto, attuale guardiano d’una lussuosa villa fuori Torino. Con Sonia, cameriera d’albergo italo-slovena, si conoscono per caso ad uno speed date. L’uomo è vedovo e cambia donna ogni sera, ma con lei è diverso, sembra aver finalmente superato i problemi che lo legano all’universo e femminile provare qualcosa di autentico per un’altra persona. Un giorno, disattivati gli allarmi della villa per una passeggiata in giardino, i due vengono aggrediti da una banda di criminali; qualcosa va storto: parte un colpo di pistola che ferisce entrambi gli amanti. Con la storia dovremmo fermarci qui, visto che tutto quello che accadrà d’ora in avanti prenderà pieghe inaspettate e pare doveroso non anticipare nulla.
Gli attori protagonisti, Filippo Timi (che ricordiamo come Benito Mussolini in “Vincere” di Marco Bellocchio) e Kseniya Rappoport (“La sconosciuta” di Giuseppe Tornatore) se la cavano bene, seppur non brillino per originalità interpretativa.
Quelle che sembrano ottime premesse – una trama intrigante e un buon impatto visivo- si sfaldano mano a mano che il film va avanti. Nel tentativo di coniugare il genere thriller con il drammatico e la storia d’amore, il regista si perde per strada: come in una sorta di “Abre los ojos” nostrano, realtà e immaginazione si confondono, ma se il film ispanico trovava una propria ragione d’essere in una profonda riflessione sui labili confini della percezione umana, in quello italiano, che pretende di reggere narrativamente e razionalmente, il tutto sembra costruito ad arte per stupire lo spettatore e scampare ai plot inflazionati. I personaggi e le loro intenzioni ci sfuggono di mano, in un ipnotico gioco delle parti potenzialmente interessante ma di fatto stucchevole:i colpi di scena, punto di forza della storia, ripetuti sino allo sfinimento, diventano mano a mano prevedibili. Per intenderci.. una volta smascherata la logica, il gioco non diverte più.
(Diletta Catà)
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