"Inland Empire" di David Lynch: capolavoro o eccessivo virtuosismo?
Una delle ragioni per cui il Leone d’Oro alla carriera è stato assegnato a David Lynch sarebbe, secondo il direttore Marco Müller, «la sintesi della sua poetica e della storia del cinema mondiale che il regista è riuscito a rappresentare nel suo nuovo lungometraggio INLAND EMPIRE»
Un film che ha diviso la critica e il pubblico: da una parte c’è chi lo considera un nuovo capolavoro, dall’altra chi lo definisce un calderone straripante pieno di virtuosismi a volte eccessivi e fini a se stessi, o una programmatica presa in giro per cui non perdere tempo nel cercarne un’interpretazione.
La vicenda, sintetizzata dal regista con un laconico «una donna in pericolo», contiene almeno tre film: il primo è quel No more grey tomorrows che Laura Dern e Justin Theroux interpretano diretti da Jeremy Irons, il secondo è l’originale polacco mai terminato perché i protagonisti sono stati assassinati durante le riprese, il terzo è l’esistenza doppia che la Dern vive immedesimandosi completamente nel personaggio che interpreta nel film.
Ma il film potrebbe non essere altro che un saggio sul cinema come lo ha descritto Müller, o un racconto di come l’arte possa riscattare un attrice (anche un regista?) dai suoi insuccessi, rappresentati dal quel teatro dei somarelli che ricompare quando meno ce lo aspetteremmo.
L’utilizzo del digitale ha permesso a Lynch di sbizzarrirsi all’ennesima potenza, in particolare nella fotografia e nel montaggio -in confronto Mulholland Drive è un film lineare-, presentandoci molto “sinceramente” gli indizi che potrebbero esserci utili per una (eventuale) ricostruzione e interpretazione del film, ma mischiando continuamente le carte in tavola lasciando in sospeso fino all’ultima inquadratura di ogni scena la sua (esatta?) collocazione spaziale e temporale.
Pelle d’oca e un crampo allo stomaco sono le primissime sensazioni che si provano alla fine delle tre ore, mentre in sala scoppiano più applausi che fischi. Ma anche un bisogno inevitabile di trovare qualcuno con cui condividere lo stupore. Sicuramente non un film per tutti, specialmente per chi non riesce a mantenere l’attenzione per più di trenta secondi.
Luca Balduzzi
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