Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

"Bad People in Guantanamo" chiude la rassegna al Teatro Quirino

Il pubblico del Teatro Quirino attende di vedere “Bad People in Guantanamo”, l’ultimo spettacolo della rassegna “Autogestito”. La gente chiacchiera, qualcuno deve ancora prendere posto ed ecco che il sipario si apre d’improvviso, per brevi istanti il palcoscenico si riempie di figure, alcune indossano una tuta bianca, altre sono militari con tanto di mimetica e torcia sull’elmetto. Poi i drappi rossi si chiudono nuovamente per alcuni minuti, si sente solo una musica e si intravedono delle luci. Un misto di attesa, smarrimento, curiosità, è il corridoio che si attraversa prima di essere catapultati in una gabbia, quella delle immaginarie celle di un campo di tortura. Attraverso un video si ripercorre la storia vera di un gruppo di inglesi originari del Pakistan che, in occasione del matrimonio di uno di loro, viaggiando verso l’Afghanistan vengono catturati con l’accusa di terrorismo e subiscono sevizie fisiche e psicologiche brutali.

Più di venti attori si muovono sul  palco e ripetono perfettamente gesti e parole all’unisono, è un coro che dà voce prima alle vittime e poi agli aguzzini, in una violenta esplosione di suoni, luci e movimenti, che crea continue allucinazioni. I carnefici nei loro deliri di onnipotenza non riescono a fermare la loro brutalità, le vittime ridotte a larve attendono la salvezza e restano imprigionati nei loro desideri e nei loro ricordi. In realtà tutti cercano un Dio che ponga fine a questa spirale priva di senso, ma quella fine è arrivata nell’attimo in cui tutto è iniziato e allora non c’è più spazio per la fede e la speranza, c’è solo la disillusione e la follia.

Come in un carnevale dell’insensatezza, l’ordine viene capovolto, la ninna nanna non ha più nulla di caldo e non è che la provocatoria e amara constatazione della perdita di una parte di sé. Quel coro in cui prima si potevano distinguere ruoli e voci, diviene un’anonima massa di corpi, spogliati dei vestiti e della dignità, talmente annientati dall’insensatezza del dolore, da veicolare solo provocazioni e disincanto.

Il grottesco che emerge dalla gabbia di Guantanamo è pari a quello che emerge da qualsiasi altra stanza di tortura dell'Egitto, della Siria, della Giordania, dello Yemen e della Libia e la richiesta di senso rivolta a tutti i paesi che la praticano resta irrisolta.

  

(Luana Poli)

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM