Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

"Avamposto": il giornalismo nemico della ''ndrangheta

La parola contro la pistola. Il fuoco verbale che fronteggia quello armato. L'audacia che spesso vince, ma che a volte incassa il colpo. Come è accaduto ai sedici cronisti minacciati dalla mafia calabrese negli ultimi tre anni. Sono loro, le penne scomode invise alle cupole della 'ndrangheta, i protagonisti di "Avamposto", il libro-inchiesta di Roberta Mani e Roberto Rossi presentato il 30 giugno al Melbook Store di Via Nazionale a Roma. Una triste antologia di voci soffocate nella minaccia, una carrellata di storie di ordinario coraggio, che denuncia lo stato di vessazione e di inquinamento in cui versano i territori monitorati dalla 'ndrangheta. Telefonate minatorie, macchine incendiarie, agguati per strada: la ricerca di Mani e Rossi svela le tante forme, deformi, del terrorismo mafioso. "La minaccia non sempre è esplicita, spesso è velata, procede per vie traverse. A volte coinvolge parenti o amici del cronista" hanno chiarito i due autori. L'escalation di intimidazioni registrata negli ultimi anni si spiega, a detta degli stessi bersagli, con un'inversione di rotta nel modus operandi dei clan: rivendicazione di spazi e di potere fuori dagli argini del solito "non so, non vedo, non parlo", più arroganza nel pretendere obbedienza e omertà, voglia di visibilità per smentire lo stereotipo polveroso della mafia calabrese imbozzolata nel suo familismo. "La 'ndrangheta sta cambiando" ha detto Roberto Rossi "sta abbandonando il silenzio per far sentire la sua voce ... e per poi tornare al silenzio, più forte di prima". "Avamposto" non è una semplice esposizione di fatti realmente accaduti. E' di più: un excursus sul male endemico di una terra avvelenata da decenni di incuria statale e di strapotere criminale. "I giornalisti di cui raccontiamo le storie non sono eroi" ha puntualizzato Rossi "sono solo gente che fa il suo mestiere". La particolarità sta, semmai, nel contesto: una regione capillarmente posseduta dalle cosche, in cui parlare a viso aperto, snocciolare nomi e malefatte, è uno sfregio e un azzardo. Il rischio, per il giornalismo locale, è direttamente proporzionale alla penetrazione della rete malavitosa nel territorio. Le voci bianche, poi, sono tanto più stonate in quanto poche: in una regione disertata dall'imprenditoria e povera di capitali da investire nella pubblicità, i giornali locali boccheggiano isolati nel torpore mediatico che li circonda, arrancando verso ogni uscita giornaliera con il peso, raddoppiato, del dover dire la verità e di doverlo fare in completa solitudine, con la scomodità delle loro denunce a gracchiare nel silenzio generale. L'avamposto del titolo è dunque una torre di vedetta, un approdo da cui guardare verso un futuro combattivo e intraprendente. Perchè le sofferenze di oggi cementino l'impegno di domani. Perchè la Calabria e l'Italia intera scoprano nell'esempio di pochi un'urgenza che è di tutti.

 

(Elisa Lorenzini)

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM