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"Il canto della rivolta": un romanzo insoddisfacente e perfetto

Dopo la rappresaglia del governo di Capitol City che ha distrutto il Distretto 12, l’esercito dei ribelli, incoraggiato dalle gesta di Katniss Everdine, - ormai rassegnata a incarnare il ruolo della Ghiandaia Imitatrice - muove l’assalto al regime totalitario del presidente Snow, che da 75 anni costringe alla fame le terre del Paese di Panem. Con “Il canto della rivolta” si chiude l’epopea degli Hunger Games con un romanzo aspro, spiazzante e sovrabbondante di avvenimenti dolorosi. Forte di uno stile di scrittura asciutto ed essenziale, che ben si sposa con la crescente complessità della trama intessuta, questo romanzo cerca, attraverso svolte narrative inaspettate e non banali, di trasformare il percorso della sua protagonista in un apologo etico sulla brutalità della natura umana e sul prezzo che è costretto a pagare chi sopravvive agli orrori di una guerra che sacrifica, in nome dell’obiettivo finale, ogni tipo di innocenza. Katniss, Peeta, Gale e tutti gli altri protagonisti che nei due libri precedenti i lettori hanno imparato a conoscere e ad amare, sono chiamati, tutti, a scelte difficili, che li induriscono, abbruttendoli nel corpo e nell’animo, e li trasformano fino a disorientare completamente il loro pubblico, assecondando in questo l’intento dell’autrice di affrancare definitivamente il suo lavoro dall’etichetta di libro per giovani adolescenti. Da saga fantasy con un importante elemento di critica alla narcotizzata società delle immagini, in cui i reality show sono il panem et circensem che ottunde le odierne masse, “Il canto della rivolta” trasforma l’epopea immaginata da Suzanne Collins in un vero e proprio romanzo di guerra. Non c’è nulla di consolatorio nell’evolversi della storia, l’epilogo di questa saga letteraria non cerca l’approvazione, né il sorriso, dei tanti adolescenti - e non - che speravano in un lieto fine alle avventure di un’eroina in cui tutti, uomini e donne, avevano avuto gioco facile nell’identificarsi. Ed è proprio nell’epilogo terrificante e nient’affatto consolatorio, che risiede il merito più grande di questo lavoro letterario. L’ultimo capitolo della trilogia degli Hunger Games, nella sua asprezza, afferma una verità tanto crudele quanto dolorosamente reale: nelle guerre fratricide per il potere, nei conflitti che oppongono gli uomini ad altri uomini, non esiste, mai, nessun vincitore, solo diversi tipi di sconfitta e superstiti che, loro malgrado, devono imparare, nell’assordante silenzio che viene dopo la battaglia, a convivere con i fantasmi del loro passato. Comprese le moderne eroine femministe come Katniss Everdine.

 

(Marco Moraschinelli)

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