Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

"E'' una malattia", il teatro di Soledad Agresti e Raffaele Furlo

Soledad Agresti e Raffaele Furno: specialista di ritratti estemporanei, autrice pluripremiata per “La gamba di Sarah Bernhardt”, scrittrice ed interprete de “Il bambino che verrà” lei, regista ed interprete della compagnia “Imprevisti e probabilità”, lui.

Molti anni di lavoro per ottenere una precisa sintonia, sublimata a tal punto in questo spettacolo, che lasciarli cimentare in un'intervista separatamente, sarebbe stato quasi un torto.


Come nasce la scrittura de “Il bambino che verrà”?


S.A. “Nasce, in realtà, dopo la vittoria di un premio internazionale - “La scrittura della differenza” - con un altro spettacolo - “La gamba di Sarah Bernhardt”- a Cuba, dove è andato in scena; li ho conosciuto un attore , il quale aveva un problema con la ex-moglie e voleva avere sua figlia con sé, che mi chiese di scrivergli un monologo: da qui è partita l'idea di un bambino che dovesse arrivare.

La situazione sociale, la crisi che c'è, la tensione che ci colpisce, nonostante si provi ad evadere, ha tutto contribuito ad innescare una serie di caratterizzazioni. Infondo, quando scrivi una storia, parti da un punto, ma non sai mai dove ti porterà: la storia vive di vita propria e ad un certo punto non puoi che assecondarla. Quell'attore mi chiese una commedia n'è venuto fuori tutt'altro”.


Come si mette in scena il “discorso” di questa storia?


R.F. “Ormai io e Soledad lavoriamo insieme da undici anni, quindi, quando ha scritto il testo me lo ha fatto leggere, ma solo dopo un anno abbiamo deciso di metterlo in scena, anche perchè avevamo altri impegni in corso. A quel punto il passaggio dalla pagina al palcoscenico ha richiesto una serie di idee e trasformazioni che sono state apportate in sinergia: attorno ad un tavolino discutendone, poi alzandoci, provando e rivoluzionando quello appena detto. Inoltre, noi lavoriamo sempre con Janosh Agresti e Isabella Sandrini, che sono parte della compagnia, anche molto a livello d'immagine, quindi, siamo partiti anche da alcuni elementi scenici che volevamo avere: la cassetta delle lettere anni '50, che richiede poi di essere usata e che sia carica di significato.

Il testo, gli aspetti scenici, le musiche che in alcuni casi ci hanno evocato delle emozioni che siamo andati a cercare in alcuni punti specifici della rappresentazione, hanno poi portato al completamento di questo spettacolo”.


La scelta dei colori del vostro abbigliamento, in perfetta sintonia con il resto della scenografia, eppure così sgargiante. Di chi è stata l'idea e perchè?


R.F. “Soledad, tra le tante cose, è anche una pittrice, quindi, chiaramente, ha un occhio per il colore”.


S.A. “Si, volevamo che questi personaggi fossero una persona sola, due caratteri della stessa persona, quindi, c'è stata la richiesta da parte del regista che avessero una divisa, che non fosse, però, convenzionale, allora nella ricerca delle stoffe, ho trovato questa che ha toni grotteschi e m'è sembrata interessante; misurandola con tutto il resto che è sui toni del grigio e del marrone, tenui, spicchiamo, siamo inquadrati costantemente, ed uguali sembriamo un'unica persona. Ecco perchè abbiamo scelto anche i cappellini perchè si cancellasse l'idea dell'identità sessuale. Il colore, infine, è comunque un buon modo per alleggerire la tragedia, così come nel testo la stessa è alleggerita da momenti di ilarità”.


Attenzione ai dettagli nella messa in scena, forte presenza civile/sociale nell'argomento, molteplici livelli di scambio cognitivo. Gli ingredienti che vi hanno portato a questo festival a Roma, di cui ci anticipate qualcosa?


R.F. “ Parteciperemo al 'Fringe Festival' di Roma, a luglio/luglio, e poi altri due, che nomino per scaramanzia, di cui dobbiamo avere la certezza. Il 'Fringe' ha scelto lo spettacolo, solo leggendo la sceneggiatura, senza vedere nulla, fidandosi solo della qualità del testo, ci ha reso molto felici e lusingati”.


Una domanda di routine per chi vive di teatro: come si affronta un periodo di crisi?


S.A. “Un dramma! Questo è il vero dramma, perchè è difficilissimo avere un riscontro economico, portare le persone a teatro, nonostante uno investa tantissimo in termini di lavoro, di tempo e di ingegno; le aspettative non restituiscono, sempre, una soluzione positiva e quindi ti arrangi, lavori il doppio, il triplo, perchè al lavoro teatrale, che è a tempo pieno, affianchi altro lavoro”.


R.F. “ Lavoro doppio per pagare le bollette. E' una tale necessità vitale quella di fare teatro, di dire delle cose, mettere in scena nuove idee, sperimentarsi, che non è contemplabile, da parte nostra, dire ' vabbè non ci paghiamo l'affitto, quindi, facciamo altro'; c'è la necessità nostra, e poi condivisa con chi ti viene a vedere. Qui a Formia, poi, c'è una sintonia con una fetta di pubblico, che aspetta le nostre rappresentazioni”.


S.A. “ E' una malattia!”

 

(Antonia De Francesco) 

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM