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“Sucker punch”, (imperfette) visioni di Zack Snyder

Mappa, accendino, coltello, chiave ed elemento misterioso. Tanto basta per scatenare il debordante potenziale visionario di Zack Snyder e di ogni storia, ridotta ai suoi elementi minimi. Le quotazioni in rialzo del regista di “300” e “Watchmen” imponevano un progetto originale (scritto e portato avanti da alcuni anni): niente fumetti o remake. Stavolta la 'graphic novel' è la pellicola in sé. Storia di “Sucker punch” che il nostro ha definito 'un'Alice nel paese delle Meraviglie con le mitragliatrici'.

Mappa. Si gioca sui piani temporali e si chiude a cerchio. La protagonista (Babydoll) è rinchiusa in manicomio dal patrigno: ben presto si rifugerà nel suo mondo di fantasie per elaborare un piano di fuga. Un continuo andirivieni tra realtà e (doppio) livello onirico che assume la forma del videogame con prove di crescente difficoltà. Il meccanismo è scoperto ma non mancano colpi di scena a deviare dai binari dell'ovvio la struttura a matrioske.

Accendino. Il prologo, in ralenti e fotografato in modo gotico, con “Sweet dreams” di sottofondo, è un pugno nello stomaco: da antologia. Peccato che le promesse non vengano mantenute e, nonostante il lavoro scenografico che manderà in brodo di giuggiole i fan del genere, il tutto si risolva in un collage per accumulazione che trasforma la varietà da punto di forza a stancante tour de force tra location.

Coltello. Lasciate ogni lettura femminista o psicanalitica: ci sono solo cinque new-Lolita che citano tutta una tradizione fumettistica e sono la versione in latex degli ipervitaminici spartani di “300”. E poi la solita sagra di esplosioni plasticose e nemici che soccombono come se non ci fosse un domani: la colonna sonora, remixata per l'occasione, dà ritmo a ognuno dei singoli videoclip, pardon, 'missioni'.

Chiave. Facile cercare il senso nell'intro (“Ci rifugiamo nei mondi che creiamo”, dice Babydoll); ancora più facile tacciare il tutto come 90' di Nulla patinato e onanistico con le magniloquenti scenografie in CG a esaltare la pura visione. In “Sucker punch” c'è un potenziale visivo che pochi registi oggi hanno. Ma la struttura globale, nella sua banalità, tiene e il finale amaro non accondiscende i gusti dello spettatore. Qui e lì affiora una profondità che però resta isolata, bagliore in un film che, maledizione, poteva essere e invece...

(Si, c'era un quinto elemento. Come Babydoll scoprirà, siamo 'noi', che scriviamo la nostra storia. Peccato che Snyder non abbia portato in fondo la sua visione, adagiandosi su cliché e mode di celluloide che, dopo qualche anno, sanno già di stantio). 

 

(Raffaele G. Flore) 

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