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“The White Diamond” l’ultimo poetico documentario di Herzog in uscita il 9 Giugno

Come un missionario immune alle barbarie visive di questo inizio millennio, Herzog continua la sua personale ricerca del potenziale espressivo della settima arte, e ci regala questa emozionante elegia fatta di storie, musiche e immagini. L’ennesima incursione nel documentario del regista tedesco, si mette a servizio di una spedizione guidata da un ingegnere aeronautico di nome Graham Dorrington che, dodici anni dopo un tentativo dagli esiti disastrosi culminato con la morte del suo amico e collega Dieter Plage, tenta di sorvolare la foresta pluviale della Guyana, in prossimità delle gigantesche cascate di Kaieteur. Il più romantico tra i registi tedeschi viventi, e di certo il più vicino alle sue origini anni 70, non poteva non riconoscere in questa spedizione il gusto che ha animato il suo cinema più fisico, quello che metteva in evidenza sia a livello di contenuto che di forma produttiva, il cinema come evento straordinario e dirompente nel fluire del reale. Vivere ogni film, ogni inquadratura, come un gesto estremo, un atto romantico, capace di riscoprire la magia insita nell’atto di guardare. E’ con questo spirito che la cinepresa si inabissa nelle caverne nascoste dietro la monumentale cascata dalle origine mitiche, là dove si nascondono i rondoni dopo un angelico volo in picchiata. Ci sono immagini che Herzog decide di non mostrare, proteggendo così il mistero dell’ignoto. Il film mescola il materiale di repertorio sulle origini dell’aviazione, alle interviste ai partecipanti della missione, con particolare attenzione al trauma di Dorrington che viene rievocato con efficacia, ma è nelle inedite vedute dalle cime degli alberi della foresta pluviale che il fluire delle immagini evoca sensazioni ipnotiche ed evocatrici, grazie anche alle melodie intonate dal coro sardo di Orosei.
Daniele Scarabotti

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