Il pallottoliere mondiale dei contagiati e dei morti per Sars-Cov-2, cioè la pandemia di nuovo coronavirus, continua a correre giorno dopo giorno. La parole d’ordine globale è preservare il proprio spazio vitale, chiudersi dentro e lasciare il resto del mondo fuori. La Colombia decide di sigillare il confine con il Venezuela, dove quotidianamente transitano decine di persone ridotte in miseria e allo stremo delle forze, fisiche e mentali. Disperati in fuga da un paese che cade a pezzi e li schiaccia sotto le sue macerie, morali e materiali. Oltre un anno è trascorso da quando il Venezuela si è avvitato in una crisi politica da cui non sembra più uscire, anche per le tattiche geopolitiche e le mosse sotterranee delle grandi potenze straniere sullo scacchiere di quel lembo di Sud America, dove hanno importanti interessi economici. In due si dichiarano, entrambi, capo di Stato e di governo. Il sindacalista Nicolás Maduro, delfino di Hugo Chávez, accusato dall'opposizione e da diversi Stati latinoamericani di aver vinto le elezioni del 2018 in modo illegittimo, e l'autoproclamatosi presidente ad interim del Venezuela Juan Guaidò, socialdemocratico già a capo del Parlamento venezuelano, l'Assemblea costituente. Una crisi che si aggiunge all'emergenza umanitaria che da anni sta inghiottendo il paese, che solo mezzo secolo fa aveva un prodotto interno lordo vicino a quello degli Stati Uniti, facendolo precipitare nell'indigenza. Una crisi figlia di una gestione fortemente assistenzialista delle ricchezza nazionale per ottenere il consenso popolare, di una capillare corruzione in politica per non inimicarsi le gerarchie militari, della violazione dei diritti umani e di un'inflazione che rende le banconote meno che carta straccia. La situazione è inoltre aggravata da sanzioni economiche ritorsive stritolanti che uccidono i più deboli, chi non ha protezione, senza colpire la catena di comando. La situazione del paese che ha dato i natali a Simòn Bolìvar detto el Libertador è apparsa sulle pagine dei giornali e nei servizi dei tg europei solo nelle settimane concitate dello scontro politico e di piazza.
Dopo i fuochi d'artificio, l'Occidente ha perso interesse. Chi vuole capire in quali condizioni versi il Venezuela e chi siano gli attori che si muovono dietro le quinte, mentre in primo piano ci sono carovane di persone in fuga per la disperazione e altre che stentano a sopravvivere con i pochi viveri passati dal governo, lunedì 30 marzo alle 22.40 in anteprima italiana andrà in onda su History, in esclusiva su Sky al canale 407, il documentario "Venezuela, la maledizione del petrolio". La pellicola è diretta da Emiliano Sacchetti, autore e regista sensibile e attento alle figure rimaste ai margini della società e della Storia. Il documentario è stato prodotto da Gioia Avvantaggiato per GA&A Productions e Gruppe5 Filmproduktion, in coproduzione con ZDF, in collaborazione con ARTE e in associazione con RTS, SVT, NRK. L'opera è stata selezionata per il francese Festival Internation du Grande Reportage d'Actualité, che si è svolto dall'11 al 14 marzo. Il mediometraggio di Sacchetti, con l'uso di immagini di repertorio, di interviste dal vivo e riprese in loco dai colori vividi, guida lo spettatore nel paese che, in virtù della riserva di petrolio più grande del mondo, aveva il più elevato grado di benessere dell'America del Sud. Dopo il sogno rivoluzionario di una società diversa da quella statunitense, il ventennio di politiche di stampo "peronista" del carismatico leader socialista Chávez che grazie all'"oro nero" ha potuto sovvenzionare istruzione e sanità pubbliche, edilizia popolare e distribuzione di generi alimentari, mentre la corruzione ai vertici del potere dilagava a opera dei militari, l'economia non ha retto. Esperti, commentatori e analisti, tra cui Pino Arlacchi, ex sottosegretario generale delle Nazioni unite, e Lawrence Korb del Center for American Progress illustrano gli errori commessi dalla politica venezuelana – per maggior completezza informativa si sarebbe potuto scendere più nel dettaglio delle scelte fatte da Chávez e Maduro al posto di riforme utili a sostenere l’economia – e come le superpotenze mondiali, cioè USA, Cina e Russia agiscano per estendere la loro sfera d'influenza nell'area, tessendo alleanze o colpendo con durissime restrizioni. Misure costate al paese un incremento del tasso di mortalità del 31% tra il 2017 e il 2018 e il mancato accesso a cure a medicine per circa 300mila persone. Tutto questo mentre lo stato di diritto si andava contraendo, come testimonia l'oppositore Villca Fernandez, rinchiuso nel carcere ribattezzato el Elicoide, dove l'intelligence bolivariana commetterebbe atrocità per punire il dissenso.
Secondo un rapporto dell'Alto commissariato Onu sui diritti umani, nel 2018 cinquemila persone hanno perso la vita in scontri con le forze dell'ordine e altri 1500 nei primi mesi del 2019. L'Europa non ha saputo prendere una posizione unanime, né intervenire con la forza necessaria. L'esecutivo italiano di quel periodo era diviso tra chi sosteneva Maduro contro l'ingerenza degli Stati Uniti e chi appoggiava Guaidò come eroe democratico. Mentre le grandi potenze conducono la loro guerra nelle stanze dei bottoni meno esposte e la politica venezuelana è cieca e concentrata sullo scontro personale tra i due leader, nella terra di Simòn Bolìvar servono pile di mazzette di banconote per acquistare un rotolo di carta igienica o una confezione di pollo.
E' un luogo che affoga nella miseria, in cui una giovane donna può trovarsi a partorire alla sola luce di una torcia elettrica portata da casa, perché in ospedale manca la corrente. In questa porzione di mondo appena sopra l'Equatore, in città, nei barrios più disagiati – seppur con sacche di resilienza: c’è chi ancora crede nella rivoluzione bolivariana – si rovista tra la spazzatura e i pochi rimasugli di un mercato per trovare qualcosa con cui sfamarsi. A milioni, quasi quattro in cinque anni, lasciano il paese diretti nella vicina Colombia. La seconda diaspora al mondo, dopo quella siriana. Il risveglio dal sogno egualitario e socialista è stato un aprire violentemente gli occhi su un incubo reale.
Lorenzo Cipolla