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"Secret life": la scienza deve essere morale?

TORINO – Il dubbio è amletico e senza soluzione: alla scienza e al progresso possono essere applicabili norme morali, comportamenti etici, etichette e patenti di giusto o sbagliato? Oppure l'Uomo può, e deve forse, cercare di studiare come poter superare i propri limiti, applicare intelligenza e strumentazioni per gettare uno sguardo sul domani, sul futuro, creare qualcosa che non esiste, sbirciare verso l'ignoto dello sconosciuto per renderlo, appunto, conosciuto e fruibile? L'uomo è fatto e composto di curiosità, senza queste caratteristiche si inaridisce, muore, si secca come un albero senz'acqua. Al tempo stesso qualcuno ci spiega che gli scienziati dovrebbero studiare e inventare e ingegnarsi solo nelle scoperte “buone” per l'umanità, scoperte pure che portino soltanto benefici. Ma chi è che decide e controlla la 1a3f8f5dc285878f1d75d423cdb0f8ee_XL.jpgbontà di queste innovazioni? Non esistono cose né parole né oggetti buoni o cattivi, esiste solamente il contesto, il come, la loro applicazione nel reale. Se costruisco un'arma, quella stessa non sparerà da sola. Un'arma è un pezzo di ferro che può portare alla morte solo se un umano premerà il grilletto. Quindi il libero arbitrio è il cardine ma l'uomo crede sempre, per assicurarsi un alibi buono per ogni stagione, di essere troppo debole e che davanti ad una pistola sicuramente, prima o poi, sarà portato dagli eventi (non dalla sua coscienza e scelta intima) a schiacciare il grilletto rimandando la responsabilità del proprio gesto all'oggetto invece che sul soggetto (lui stesso) che ha compiuto l'atto.

Il regista Manfredi Rutelli ed i suoi LST Teatro scelgono sempre testi con ampie finestre di riflessione, propongono un teatro che tra le righe, negli anfratti delle pieghe, dentro le parole riesca ogni volta a scardinare crepe, aprire spiragli, non dare verità ma concedere il beneficio del dubbio, socchiudendo parentesi dentro le quali approfondire, ascoltare più campane, instillare punti interrogativi di una dialettica mai fine a se stessa ma che spazi all'interno di un ventaglio di possibilità oltre l'ideologia, oltre il pensiero unico, al di là di indottrinamenti e prese di posizione tanto nette quanto ottuse. LST Teatro Secret Life Vita segreta degli umani .jpegIn questo “Secret Life”, testo dell'inglese David Byrne mai proposto né tradotto in Italia prima di questa versione a cura della compagnia chiancianese (presentato all'interno del composito Earthink Festival, rassegna dedicata ad ambiente e sostenibilità, per la direzione artistica di Serena Bavo, dal 9 al 17 settembre in vari spazi torinesi, dall'Atelier Spazio Fisico allo Spazio Kairos, dallo Spazio Cecchi all'Imbarchino del Parco del Valentino fino all'Off Topic e alla Cascina Filanda) attraverso felici incastri temporali si dialoga proprio sul filo flebile e tremolante della scienza che ha sempre il cannocchiale spostato su ciò che non c'è e la morale che tenta non tanto di comprendere il reale ma piuttosto di normarlo, controllarlo, assoggettarlo a regole politiche. Quindi se da un lato lo scienziato studia il possibile, la morale del presente tenta di tirare le redini, frenare, fermare o soltanto rallentare un processo comunque inevitabile e ineluttabile. Non puoi dire all'uomo di non “aprire quella porta” sul futuro, sarà la prima cosa che tenterà di fare.

Fondamentale, a livello scenico ma anche drammaturgico, è stata la scelta di applicare alla scena dei grandi pannelli che hanno una doppia intelligente resa meccanica: possono infatti essere retroilluminati e proporre un'aura, una parvenza, un'essenza che arriva da un altro tempo sperso nell'Universo, ectoplasmi provenienti da altre dimensioni, defunti che dialogano e interagiscono nella linea del presente, oppure ruotare su se stessi, come porte di un saloon, aprendo sliding doors sconosciute, spalancando nuove idee o soltanto mostrando plausibili verità nascoste o anche, come il titolo ci suggerisce, vite segrete. Possiamo suddividere “Secret Life” in tre trance temporali: il professore Bronowsky, personaggio realmente esistito, scienziato e divulgatore (una sorta di Piero Angela, affabile, preciso, didattico e didascalico e al tempo stesso figura positiva entrata in tutte le case grazie ai documentari BBC con il suo fare amichevole e accogliente, spiegando argomenti complicati con un linguaggio semplice e adatto a tutti), la moglie vissuta per quarant'anni dopo la scomparsa del coniuge, il nipote al giorno d'oggi.TeatroAntropocene_2022_07_13_LucaMatassoni_HD_13.jpg

Bronowsky è Gianni Poliziani, presenza predominante, imponente e importante, voce calda e profonda (ci ha ricordato quella del doppiatore dell'uomo d'affari John Hammond ideatore di Jurassic Park), perno dell'affabulazione sul quale ruota tutta la piece, il nipote invece è Alessandro Waldergan nella sua fisicità dinoccolata gioca il suo lato da Paperino, tra lo scoordinato e l'ingenuo, attirando le simpatie della platea, Francesco Pompilio è una valida spalla, il collaboratore dello scienziato, la professoressa è Enrica Zampetti, veramente convincente, una sorta di presentatrice che introduce prima per poi entrare in scena, sempre lucida in questo dentro e fuori, vero ago della bilancia dei vari posizionamenti sul palco, infine la moglie è Clara Galante, precisa, dà colore e pienezza, oltre che ironia.

Si ride di noi, del genere umano, di quello che eravamo e di quello che siamo diventati, da cacciatori sanguinari ad inventori fino ai giorni nostri dove al massimo (non) riusciamo ad aprire una scatoletta o siamo imbambolati tutto il giorno davanti a video di gattini. Anche la decelerazione è un'accelerazione, negativa ma pur sempre un'accelerazione, come a dire che l'evoluzione può avere anche momenti dove sembra che non si stia andando avanti mentre qualcuno sta comunque lavorando per proporre sistemi alternativi, non sempre migliorativi dello status quo ma pur sempre tentando (spesso, forse sempre, per fini commerciali e non per il benessere dell'uomo o del Pianeta, sia chiaro) di cercare altre vie, nuove strade per affrontare il domani nebuloso, a tratti confondendolo ancora di più.

TeatroAntropocene_2022_07_13_LucaMatassoni_HD_26.jpgI pannelli in trasparenza, quasi dissolvenza cinematografica, creano un gap sia temporale che spettrale sia nel differenziare i personaggi in vita, davanti, rispetto a quelli che parlano dal loro passato. Brunowsky era un uomo irreprensibile, onesto, benvoluto e stimato da tutti, collaboratori e telespettatori (un nostro Enzo Tortora, per intenderci) mentre lo scandagliare dentro le sue stanze segrete, portando alla luce i suoi studi sulla bomba potenzialmente devastante per l'Umanità, potrebbero distruggerne l'immagine. Un testo che ci parla di sociologia e antropologia ma anche di quanto siamo disposti a scommettere sul futuro dell'Uomo, di quanta fiducia abbiamo in lui e nelle istituzioni che ci governano e sull'annosa questione del “chi controTeatroAntropocene_2022_07_13_LucaMatassoni_HD_27.jpglla i controllori”. Una drammaturgia che ci porta dentro gli studi sull'umanità e sulla nostra evoluzione, che procede a strappi e ad elastico, “il progresso corre che noi umani si sia pronti o meno”. Ma se si ha paura del futuro e dei suoi inevitabili cambiamenti allora vivremo nel terrore, impantanati nel fango dell'immobilismo, stretti e costretti dentro comfort zone sempre più asettiche e senza ossigeno. Se consideriamo anche la guerra come un frutto dell'ingegno umano (anche Leonardo da Vinci la studiava per rendere possibile la vittoria per i propri committenti) allora anche gli studi di Einstein o Enrico Fermi sulla bomba atomica (in questo ci ha ricordato la piece “Copenhagen” di Michael Frayn) devono essere visti e considerati in quest'ottica. Anche perché l'evoluzione dell'Uomo è andata di pari passo con distruzioni e guerre, l'annientamento dei nemici, l'estinzione di popoli (la storia la scrivono i vincitori) ed “essere umani vuol dire essere dannosi, distruttori e fare di tutto per sopravvivere”, anche attaccare altre nazioni: “Ad Auschwitz e Nagasaki non è stato il gas, sono stati i matematici”. Poi arriva la stilettata finale, vera e preoccupante, più realistica che pessimistica: “Andremo avanti fin quando non arriverà qualcosa che ci farà fermare come specie”. Un testo necessario (ben recitato, il che non guasta) sul nostro passato e sul nostro futuro. Sul presente invece siamo troppo invischiati e coinvolti per poterne fare un affresco super partes.

Tommaso Chimenti 16/09/2022

Foto: Luca Matassoni

 

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