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“Molto aldilà del desiderio”: Trilogia del mito di Tarasco al Teatro Quirino

Narrami dell'eroe stremato dalle battaglie, affannato dai pensieri che porta in spalla, quando percorre col dito i contorni delle ferite proprie e avverte pulsare il battito cardiaco di un'altra. Narrami le voci delle donne che lo hanno ammantato in difesa dalle sue debolezze d'uomo, come echi lancinanti, preparati a fendergli la memoria: "Enea, tu non sai che è l'amore della donna che crea l'uomo?".
Matteo Tarasco è un regista consapevole e paziente, capace di ordinare al poema epico una svolta del soggetto senza sfaldarne l'identità. Le eroiche gesta degli idoli si reggono al percorso di un gomitolo svolto piano da dita affusolate e bianche, unghie docili, che sono affondate nelle fosse delle loro schiene finché ce n'era volontà. Dopo la volontà, l'abbandono. L'odore che ristagna sulle tempie dell'uomo è di un pensiero estraneo all'intimità e tradotto con parole infedeli, sospese a tarasco3mezz'aria che farneticano di predestinazione, responsabilità e allagano l'eterno degli amori immaginati.
Non rispondono le voci di Achille, Odisseo ed Enea a spiegare perché hanno lasciato controvoglia i seni che li hanno svagati e nutriti, ma il profilo degli eroi è plasmato con lacrime miserande da mani di madri e seduttrici, tutte spose e serve del destino, forti della consapevolezza che il passato non può mutarsi in futuro e che il futuro è una decisione che non spetta loro.
Nove donne distribuite in tre serate, ognuna a cedere il personale accorato sgomento verso la schiena di chi millantava di amarle privilegiando la dispersione del mare ai centimetri del loro corpo: "Quando seduto sulla riva del mare tu guardi nel nulla, di chi è il volto che galleggia nell'acqua? È il mio, Achille?"
La nudità, che potrebbe ricordarle spoglie nell'adorazione del compagno, nude nel compito di generare, è vagheggiata e garantita appena dal velo sottile delle vesti imbrattato delle ceneri ferali.
Anime inquiete e indulgenti, astri dai corpi sensibili e addolciti dall'amore, vagano e tessono storie fitte del risentimento che porta la solitudine dell'infedeltà, alcune cullando in grembo la ricompensa per aver amato. Si scoprono private di loro stesse nel dare all'uomo, hanno rovesciato gli occhi in pozzi vuoti e lontani, muovono labbra aride e zigomi scoloriti: "la mia faccia si frantuma, Ulisse, e tutte le altre facce che vi aderiscono sopra, in un istante, si sciolgono."
Molto aldilà del desiderio, ospiti gradite alla memoria e invise al presente, camminano queste donne, su e giù, giù e su, come belve in cattività nei loro metri quadri, selvatiche nei luoghi dell'anima.

Francesca Pierri 29/05/2015

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