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“Le lacrime amare di Petra von Kant" - La fragilità di una donna nell’abisso della solitudine

Molte volte nella vita alcuni punti di riferimento vengono meno, sbiadendo in una quotidianità sempre più abitudinaria, nel ripetuto inganno di una felicità apparente, di un’illusione che lacera l’animo umano, rendendolo vulnerabile. È stato l’amore – forse il sentimento che accomuna tutti – il filo rosso del progetto “Fassbinder – Non c’è amore senza dolore” presentato dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, che ha portato in scena tre studi realizzati da altrettanti giovani allievi registi, guidati dal M° Arturo Cirillo.

L’amore che spaventa e destabilizza. L’amore fragile che rende indifesi. Ma anche l’amore passionale che infiamma, libero e ossessivo allo stesso tempo. Proprio in uno dei tre studi, “Le lacrime amare di Petra von Kant” diretto da Federico Gagliardi, emerge con grande forza l’ardore di un cuore innamorato che tenta di dimostrare la tensione verso l’altro, quel naturale bisogno di vivere per e con l’altro. Rainer Werner Fassbinder – morto prematuramente a soli 37 anni e alfiere di quella ventata di rinnovamento artistico del “Nuovo cinema tedesco” nella seconda metà del Novecento – è stato un maestro in questo, riuscendo a scavare con l’intera sua opera il male esistenziale individuale e della società a lui contemporanea, che dalla Germania si espande fino a toccare i vertici di un’universalità del sentire che riguarda tutti noi.Lacrime2

Proprio il testo del 1971 – portato al cinema l’anno successivo – è stato il punto di partenza di Gagliardi, che è riuscito a creare un perfetto meccanismo a orologeria pronto a deflagrare, in un graduale crescendo sempre misurato di cui si percepisce tutta l’evoluzione. È una drammaturgia completamente al femminile, fatta di rapporti, incontri, confronti e parole, dalla quale qualsiasi figura maschile rimane fuori. La protagonista, Petra von Kant (Flaminia Cuzzoli) è ormai una donna di successo, stilista dell’alta moda: è riuscita a fare qualcosa della propria vita, a trovare, almeno formalmente, un posto nel mondo. Sembra essere diventata insensibile e sprezzante, come quando si rivolge alla sua “collaboratrice” Marlene (Jessica Cortini), servile e segretamente innamorata di lei, in un impeto quasi masochistico. L’equilibrio viene messo a dura prova quando entra in scena, introdotta dalla comune amica Sidonie (Camilla Tagliaferri), una giovane, disinvolta e pigra ragazza di origine proletaria, Karin (Liliana Bottone).
La sua figura e i suoi modi attraggono immediatamente Petra, che si offre di aiutarla inserendola nel mondo della moda. Inizia così una forte amicizia, la confidenza tra due donne che si lasciano andare una ai ricordi di una vita di amori passati e tormentati, l’altra alle speranze di un futuro da costruire. Sarà soprattutto Petra che cercherà di riempire quel senso di vuoto del quale prende sempre più consapevolezza, una solitudine umana ed emotiva che decide di colmare nell’egoistico amore possessivo verso Karin. Ma quest’ultima non è come lei: alla prima occasione, infatti, abbandonerà la donna. Come farà anche Marlene. Qualsiasi rapporto di potere così come le relazioni erotiche, alla fine, si sfaldano; e tutto quello che prima era visto come linfa vitale si tramuta in odio, amarezza ed esasperazione. Non basta nemmeno la sensibilità della madre di Petra, Valerie von Kant (Maria Giulia Scarcella), a proteggerla.
Ci si è fatti del male in quest’altalena di sentimenti e la considerazione più opprimente è che non può esserci compassione né salvezza per queste anime. Soltanto comprensione. Lo percepiamo bene grazie soprattutto all’idea di fondo dell’allestimento che ha il sapore delle passerelle dell’alta moda. Infatti, il giovane regista decide di posizionare lo spettatore ai lati della scena – proprio come in una sfilata – forzandolo, quasi in maniera violenta, a non abbassare la guardia, a sentire quelle costrizioni di cui parlano le donne. Le tocchiamo con gli occhi in tutta la loro debolezza, nell’inflessibilità del nostro e del loro sguardo; nella fisicità delle passioni e della gelosia che serpeggia da un lato all’altro di una scena – curata da Dario Gessati – fatta di pochi elementi (dei cubi sui quali sedersi, un grammofono, una macchina da scrivere, un telefono e alcuni figurini di abiti). Tutto è giocato tra l’apparenza del fuori – reso attraverso le luci ora vivide ora più contrastate curate da Pasquale Mari e ancora grazie ai molteplici e bellissimi costumi e parrucche curate da Gianluca Falaschi – e il ribollente mondo interiore: la fredda frivolezza di Petra che nasconde una devastante insicurezza e fragilità, così come la rigidità di Marlene, sempre in bilico tra abnegazione e sofferenza d’amore, che diventa lo scudo protettivo di una probabile infinita tenerezza, inesprimibile a parole e dimostrata invece in un completo rapporto di sottomissione.
G2L’intimità da kammerspiel ha guidato l’intero spettacolo, nella forte adesione emotiva delle interpreti, che con percepibile studio e – è il caso di dirlo – amore si sono avvicinate alle cinque donne per toccarne i nervi scoperti. Forse è prerogativa delle anime capaci di molto amore il soffrire incessantemente. Petra è una di queste. Tra scatole vuote, come doni beffardi di un sanguigno rosso fuoco, si andrà alla ricerca di se stessi nel giorno del compleanno, rinascita dalle tinte funeree di una vita tanto piena quanto fittizia che ci è sfilata davanti. Adesso, non rimangono che le lacrime come “fumo negli occhi”, nel pianto disperato di un “ti amo” ripetuto e inascoltato che fa desiderare semplicemente la morte, pace ultima di quel delirio dove l’amore gareggia con il dolore, la fine di un’affranta sensualità dell’esistenza avvertita come imminente fin dall’inizio. Nel mettere in evidenza le perenni contraddizioni del dramma, lo spettacolo è riuscito a farci sintonizzare sulla musica interiore di questa donna, la sua giovinezza, i ricordi, il tormento e anche il rimorso, sottolineando che niente e nessuno può proteggere dai dolori della vita, dalla cattiveria dell’essere umano. Si spengono così i riflettori su Petra, di «quell’amor ch’è palpito dell’universo intero», stella di passione incandescente che ha brillato solo per bruciarsi nella dimentica oscurità.

Marco La Placa 3/04/2017

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