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"Io obietto": dalle cronache al palcoscenico del Quarticciolo

Un tema delicato, scottante e spinoso come l'obiezione di coscienza diventa oggetto di rappresentazione teatrale tramite la penna della ginecologa Elisabetta Canitano, che insieme alle attrici della Compagnia Causa e alla supervisione del regista Amandio Pinheiro, ha rielaborato un fatto di cronaca, la morte della giovane Valentina Milluzzo avvenuta a Catania nel 2016, nella forma scanzonata fortemente sarcastica e critica di "Io Obietto", in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma.
Il connubio fides contro ratio, religiosità contro laicità è essenzialmente la colonna portante del testo in questione. Le quattro attrici: Laura Nardi, Gaia Insenga, Gemma Carbone e Daniela Giordano animano il palco, allestito con elementi che sembrano non appartenersi: dalle panche di uno spogliatoio sportivo, al lettino di una sala operatoria ricavato da una valigia, ad alcune sedie messe in circolo a rievocare un salottino. Raccontano, attraverso un'interpretazione coinvolgente e toccante, le vicende della giovane ragazza siciliana, in scena con il nome di Bianca, ricoverata in ospedale alla diciassettesima settimana di gravidanza, senza mai più uscirne, per una mancata presa di posizione da parte del personale medico, per la prevalenza della fede cattolica sulla necessità di salvare una vita umana, preservandone un'altra ancora in formazione.
Sebbene l'argomento risulti ostico, l'irriverenza e il sarcasmo di certi intermezzi musicali - caratterizzati da canzoni i cui versi risultano talvolta brutali, intonate dalla chitarra di una delle attrici - rende la vicenda a tratti leggera, quasi comica.
Nulla che possa distrarre gli occhi di chi è in sala, non un gioco di luci, non costumi particolari, anzi, una sobria "divisa" nera veste le interpreti, le quali si calano nei ruoli che toccano i vari punti di vista: i medici, gli infermieri, i parenti, alternando modulazioni della voce che, in maniera convincente, proiettano lo spettatore in un'aura di familiarità nella quale potrebbe imbattersi.
L'attenzione è catalizzata sul parlato, fluido, scattante, effetto dovuto all'uso delle maschere bianche, non identitarie, che per buona parte del tempo sono indossate dalle attrici.
Il tono dello spettacolo attraversa come una parabola discendente, commovente, nel momento in cui come atto conclusivo viene portata sulla scena l'indecisione del personale medico sul modo più opportuno di agire, la disperazione e la paura di Bianca, che sta per morire, della madre che inerme assiste alla sua fine e all'impassibilità dei medici che "fin quando c'è il battito, la natura deve fare il suo corso". Uno spettacolo in cui la riflessione è indispensabile, in cui l'assurdità e la difficoltà della realtà ci è mostrata più vicina di quanto si pensi di solito, uno spettacolo, soprattutto, eticamente diverso nell'attuale panorama teatrale.

Ilaria Costabile 11/02/2018

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