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Il viaggio romano de Il malato immaginario di Fabio Gravina

Dal 14 maggio al 4 giugno 2023 è andato in scena al Teatro Prati di Roma Il malato immaginario di Molière, diretto e rielaborato da Fabio Gravina, attore, regista e autore teatrale romano. Un artista molto prolifico che nel corso della sua vita ha portato in scena le commedie di Eduardo e Peppino De Filippo, Eduardo e Vincenzo Scarpetta, Armando Curcio e Samy Fayad. Nel 1996 ha fondato la Compagnia Teatrale Umoristica Quartaparete con cui tutt’oggi lavora e con la quale ha realizzato opere che hanno avuto sempre molto successo, grazie soprattutto alla capacità che ha Gravina di raccontare storie che prendono in esame la nostra società facendo divertire e riflettere. E di conseguenza il lavoro sull’ultima opera del drammaturgo francese - tanto apprezzata per il suo estremo realismo e per la capacità di raccontare e denunciare, grazie all’aiuto dell’ironia, la società dell’epoca - si inserisce perfettamente nella carriera dell’artista romano. 

Ѐ la prima volta che la commedia viene portata sul palco di questo piccolo teatro nel cuore di Roma e caso vuole che siano passati esattamente 350 anni dalla prima in assoluto (17 febbraio 1623 al Palais-Royal di Parigi con Molière nella parte del protagonista Argante, nonostante la sua malattia molto grave). Rispetto alla versione originale la pièce è stata rielaborata dal regista, che ha deciso di trasformarla in una commedia in due atti, ambientarla a Roma nel 1920 - invece che nella Francia del 1600 - e di tagliare alcuni personaggi e anche qualche scena. 

Il malato immaginario racconta la storia di Argante (Fabio Gravina), un nobile che passa le sue giornate a letto, circondato da milioni di farmaci, a causa della sua ipocondria e della convinzione di essere gravemente malato. Le sole persone di cui si fida davvero sono la sua seconda moglie Lucrezia (Annalisa Renzulli), una donna avida che non lo ama davvero e lo sopporta solo per le sue ricchezze e il Dottor Purgone (Giuseppe Vitolo) e suo nipote Tommaso Purgone (Eduardo Ricciardelli), due medici che si stanno approfittando di lui solo per guadagnare più denaro possibile. Nella sua vita per fortuna però c’è anche la figlia Angelica (Sara Religioso), il cognato – fratello della prima moglie – Bernardo (Carmine Iannone) e la serva Tonina (Patrizia Santamaria); le uniche persone che tengono davvero a lui e che lo aiuteranno a scoprire gli inganni che la moglie e i medici stanno perpetrando nei suoi confronti. 

L’operazione di rielaborazione che compie Gravina non intacca il senso originale della storia e soprattutto si nota il rispetto con il quale egli lavora, lo dimostra anche il ritratto di Molière appeso alla parete destra del palco, che diventa parte integrante della scenografia. E sicuramente proprio dalla scenografia e dai costumi si percepisce la diversità rispetto alla versione originale; sia gli abiti che l’arredamento infatti, sono tipici degli anni ’20 (la lunghezza delle gonne, i vestiti e le scarpe che indossano le donne ma anche l’uniforme militare indossata da Bernardo). Ma quello che in questa riscrittura forse spicca ancor di più della scenografia e dei costumi è l’atteggiamento molto diverso di Argante rispetto al personaggio scritto da Molière. Qui infatti, l’uomo non risulta così cinico come è invece nel testo originale, è più amichevole, simpatico e anche predisposto a credere che nella vita qualcosa di buono ancora c’è. Da qui si nota la decisione di tralasciare, in parte, i giudizi sui medici della versione originale per dare più spazio alla critica nei confronti delle false relazioni e dei comportamenti distruttivi che caratterizzano quasi tutti gli esseri umani.

In ogni caso, e forse proprio per questi piccoli cambiamenti, il racconto rimane divertente, veloce e coinvolgente, grazie anche alla grandissima bravura degli attori che riescono a dare tridimensionalità ai loro personaggi. Con le loro interpretazioni trasmettono emozioni diverse allo spettatore, permettendogli di entrare in empatia con loro e di vivere in prima persona quello che sta accadendo sul palco. Sensazioni che emergono anche dallo spazio del teatro stesso, un ambiente molto piccolo dove il palco e il pubblico sono estremamente vicini, dando a chi guarda quasi l’idea di essere parte attiva delle vicende. 

Quella de Il malato immaginario è una storia molto semplice e vicina ai problemi della nostra società e a quelli che ogni persona vive individualmente. Una pièce che da un lato mostra la caratteristica distruttiva degli esseri umani di farsi del male da soli, chiudendosi in se stessi e lasciandosi trasportare dal corso degli eventi senza fare nulla per cambiare le cose. Ma dall’altro invece dimostra quanto avere qualcuno vicino che ti vuole davvero bene, può aiutare ad affrontare i problemi della vita, anche quelli che non si vogliono vedere, pensando che si vive meglio nell’ignoranza.

Il successo della versione di Fabio Gravina è stato dettato dalla capacità di tenere intatta l’anima originaria della commedia di Molière ma al contempo di darne una visione più contemporanea e moderna, nonostante essa sia ambientata negli anni 20 del secolo scorso. Due ore che passano veloci e che permettono al pubblico di staccare dalla realtà che li aspetta fuori le porte del teatro e di rivivere, o vivere per la prima volta, storie ed emozioni diverse. 

Alessandra Miccichè  10/06/2023

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