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Einstein, Stradivari e il segreto “relativo”: musica e scienza s'incontrano al Teatro Belli

Si racconta che per avere per sé uno di quei violini, anche Paganini abbia fatto pazzie: che lo abbia inseguito per ogni dove fino a che (non si dice quanto pagò) non riuscì ad averlo. Ci avrà suonato i “Capricci” o “Le Streghe”? Può darsi. Certo è che a quello strumento, uno Stradivari manco a dirlo, sono legate migliaia di storie più o meno note. Storie di furti: intorno agli Stradivari ci sono sempre stati traffici internazionali loschi, collezionisti disposti a tutto e rispettabili violinisti divorati dal desiderio di possederne uno autentico. Storie di omicidi: l'ipotesi mai accertata di un “sequestro di violino” (quello del concertista francese Pierre Amoyal nell'87), con riscatto fissato a tre miliardi, il coinvolgimento della 'ndrangheta e di mezzo pure l'uccisione di un ladruncolo, eliminato perché sapeva troppo. Storie d'amore: Man Ray, quando fotografò la sua amante, la cantante di Montparnasse Kiki, seduta con le spalle all'obiettivo, indosso soltanto un cappello, ritrasse sulle forme sinuose della donna due chiavi di violino a forma di “esse”.
Ancora, storie di ossessioni: quella del liutaio Simone Fernando Sacconi, che si interrogò nel corso della sua intera esistenza su quale fosse il segreto dei violini costruiti da Antonio Stradivari.
E proprio da quest'ultima storia prende avvio “Il violino relativo”, lo spettacolo di teatro-musica messo in scena al Teatro Belli fino all'8 maggio con la regia di Paolo Pasquini. Perché “relativo”? Perché in questa vicenda c'è di mezzo addirittura Albert Einstein.
Può uno scienziato scoprire il segreto della musica? Riccardo Bàrbera, nei panni di Ernesto, figlio di Sacconi e liutaio anch'egli, ci racconta il surreale incontro tra il padre e lo scienziato più famoso del mondo, avvenuto in un'alba di maggio del 1901, alle pendici delle montagne tra Trentino e Svizzera e suggellato da tre o quattro bottiglie di buon vino Recioto. In controluce c'è il grande fantasma di Antonio Stradivari: un personaggio misterioso già a partire dalla biografia. Di lui non si sa neanche l'esatta data di nascita (1644? 1648?), non esiste un ritratto certo e poco si conosce della vita privata. Così lo descrisse chi lo conobbe realmente: chino sulle sue creature, intento ad allestire una forma di acero dei Balcani o di abete rosso della Val di Flemme, derivata da quella parte del tronco che guarda a Sud perché contiene i canali della resina, eccellenti conduttori di sonorità.
La musica non è semplice argomento dello spettacolo, ne è parte integrante: alla destra del palco Giulio Menichelli, giovane promessa del violinismo italiano, classe '92, e Andrea Calvani al pianoforte fanno rivivere le note di Paganini, Vivaldi, Mozart, Kreisler, Schönberg. Creando un suggestivo botta e risposta tra parole e musica.
E anche a livello scenografico, la presenza degli strumenti a corde domina incontrastata: due grandi sagome di viole giganti appoggiate allo sfondo nero, una scrivania colma di tavole di legno e strumenti di intaglio da liutaio, alcuni violini ancora da imbastire, due già pronti.
Il cortocircuito tra musica e scienza riesce bene soprattutto grazie alla verve comica di Bàrbera, attore, drammaturgo, ex doppiatore (di Gambadilegno nel “Peter Pan” di Walt Disney, ad esempio), che narrando fa rivivere i protagonisti della storia, cambiando continuamente ruoli, impersonando ora Sacconi-padre, ora Einstein, imitandone lo strampalato italiano dalla cadenza tedesca e le smorfie del volto più impresse nell'immaginario comune: la linguaccia mentre scrive una formula matematica alla lavagna, la risata a occhi socchiusi.
Alla fine, tutto resta insoluto come nei migliori rompicapi. Quello di Stradivari è un mistero che non ha risposta, neanche se a cercare di risolverlo è l'uomo che ha dato una risposta a tutto. Niente da fare: “il violino - concluderà Einstein - è uno strumento diabolico che resiste all’analisi matematica”.

Visto al Teatro Belli il 6/05

Marta Gentilucci 08/05/2016

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