Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

Destino mai così incerto e diviso per l’internazionale “Futura Umanità”

“Rosso un fiore in petto c'è fiorito, una fede ci è nata in cuor”.
Dal ritornello della versione italiana de “L’internazionale”, canzone nata durante La Comune di Parigi del 1871 e divenuta simbolo di socialismo e comunismo, prende il titolo l’opera “Futura Umanità” di Juan Mayorga andata in scena il 24 e il 25 maggio al Teatro dell’Orologio. A fare da sfondo alla storia è una grande azienda, dove un nuovo impiegato viene avvicinato da due improbabili rivoluzionari, Vladimir, uno dei dirigenti, e Lev, il suo autista. I due lo vogliono reclutare per farlo diventare parte del loro progetto: creare una forma di comunismo non alternativa al capitalismo, ma interna da esso. L’idea è di realizzare nell’azienda una rete di persone che, proteggendosi a vicenda, possano smettere di occuparsi del proprio futuraumanita2lavoro, dei propri obblighi, per curare se stesse, per dedicarsi a una propria Passione. Ribattezzato suo malgrado Nikita (come il compagno Krusciov, non come l’eroina del film di Besson), il nuovo adepto viene subito indirizzato alla lettura di Marx, Gramsci, Marcuse, e se all’inizio è titubante, si troverà sempre più insoddisfatto della sua vita precedente e sempre più coinvolto in questo nuovo, rivoluzionario, sistema.

“Che giustizia venga, noi vogliamo non più servi, non più signor! Fratelli tutti esser vogliamo nella famiglia del lavor”.
Ma l’esperimento si dimostrerà più difficile e pieno di incognite di quanto non sembri all’inizio: i rapporti di classe tra i membri non sono così risolti, le domande e le critiche non sempre apprezzate. È cosi che gli esperimenti all’interno dell’azienda si moltiplicano, fino alla finale resa dei conti tra i “nostri” comunisti e gli anarchici, che secondo Vladimir “sono come un cugino scemo che finisce sempre per farti fare una figura di merda”. A complicare la situazione si aggiunge un’attrice, nome in codice Rosa, difficile da inquadrare: “elemento parallelo, elemento di futuraumanitalocandinadisturbo, elemento mobile in quanto pienamente cosciente delle regole del gioco”. Sarà lei che, con la parola d’ordine “rigenerazione”, porterà la vicenda al suo epilogo.

“Su lottiamo, l’ideale nostro al fine sarà, l’internazionale futura umanità”.
Realizzato dal gruppo Agiteatro, con la regia di Marco Bellomo, Alessandro Filosa e Valerio Leoni che ne sono, insieme alla brava Claudia Guidi, anche gli affiatati interpreti, “Futura Umanità” è un lavoro complesso, di cui è difficile dare una definizione o una lettura univoca. Farsa eccessiva e surreale, parabola sui rapporti tra uomo, società e storia, il lavoro di Mayorga, riletto dai ragazzi di Agiteatro, vuole farci riflettere in un momento in cui, sempre di più, assistiamo alla divisione netta tra passione e lavoro, due entità che sembrano diventate contrapposte e inconciliabili, e in cui i concetti di “comunità” e di “solidarietà collettiva” sembrano aver perso qualsiasi valore. Non lesina le critiche, però, mettendo in scena un quadro in cui vengono fuori idiosincrasie e responsabilità individuali e collettive.
Che cosa ci vuole insegnare, dunque, “Futura Umanità”? Ci vuole mettere in guardia sulle difficoltà di qualsiasi rivoluzione? O, al contrario, ci vuole invogliare a tentarla questa strada, pur essendo essa difficile, irta di difficoltà, di imperfezioni, di derive inaspettate. Forse vuole solo, come succede a Nikita, farci porre delle domande, risvegliarci dal nostro torpore. Cosa c’è di più rivoluzionario di questo?

Gianluca De Santis 31/05/2016

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM