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Il “Decameron 2.0”, la natura umana nel territorio reale e virtuale

Per iniziare a parlare del “Decameron 2.0. The Stories we sell Ourselves in Order to Live/le storie che ci raccontiamo per continuare a vivere” occorre partire dal testo a cui questo spettacolo rimanda, ovvero l’opera del Boccaccio, la raccolta di cento novelle scritte probabilmente tra il 1349 e il 1351. Decameron 2.0 Letizia Renzini ph Ilaria Costanzo 4777 min
Si tratta di un libro che può ben rappresentare il capostipite della letteratura in prosa e in volgare italiano, un’esperienza strutturata secondo precise dinamiche architettoniche e stilistiche per esaltare soprattutto il concetto di attività narrativa. Ad essere celebrati sono i valori legati alla visione del mondo: il caso, la fortuna, l’amore, la vita e la morte, l’ingegno umano (inteso come strumento di controllo), l’onestà, l’esercizio della parola. Temi che affiorano nelle cento novelle, suddivise in dieci giornate, raccontate da sette donne e tre uomini che si trattengono in un locus amoenus dopo che sono scappati da Firenze per sfuggire alla peste che stava dilagando in città. Destinatarie privilegiate del testo, le «vaghe donne», “dolcissime e carissime” ovvero quelle che amano, quelle che vivono una condizione di segregazione, prima “inflitta” dai loro padri, poi dai fratelli e infine, anche dai propri mariti. Donne a cui non basta trovar consolazione con «l’ago e ’l fuso e l’arcolaio», ma coloro che sono coscienti di vivere in una condizione infelice, dettata dal senso di malinconia, sofferenza, passioni travolgenti, perché «umana cosa è aver compassione degli afflitti» .
Una doverosa premessa, questa, per introdurci nel lavoro ideato e diretto da Letizia Renzini che ha inaugurato la nuova stagione del Teatro Metastasio di Prato.
Con la drammaturgia di Theodora Delavault, lo spettacolo intende partire proprio dai fondamenti di un’opera in cui si riflette soprattutto sugli aspetti che più definiscono gli esseri umani, come i sentimenti, le passioni, l’intelligenza e, più in generale, i valori della civiltà. Partendo da questa idea, infatti, risulta lecito pensare che il lavoro boccacciano si rivolge a un tempo che non è solo il suo, proprio per i valori universali di cui tratta. Ma provando a riflettere sulla società in cui oggi viviamo, siamo davvero sicuri che possiamo riferci agli stessi valori, o qualcosa è mutato nella stessa natura umana 2.0?
Parlando di questo spettacolo, potremmo procedere per analogie e differenze con l’opera a cui si ispira, ma forse meglio partire dagli aspetti che lo caratterizzano e da cui è composto: primo fra tutta una somma arti: la prosa, la danza (con le coreografie di Marina Giovannini), la musica (con il live electronics di Yannis Kyriakides e la chitarra elettrica, chitarra baritona di Andy Moor) e la video art, il virtuale. Il “Decameron 2.0” è innanzitutto contenuto in questa “cornice” di linguaggi tra cui la parola, il corpo, le immagini, la tecnologia: tutto è necessario al racconto dell’opera del Certaldese e alla trasfigurazione da esso, con il rimando alla realtà e a un tempo di cui siamo vittime, ma anche carnefici. La “cornice”, oltre ad essere presente in senso figurativo, è elemento plastico in scena: in questo modo l’idea di organizzazione tipica dell’opera trecentesca, si rafforza e a rafforzarsi è il livello narrativo (ovvero diegetico) delle novelle che possono essere lo spunto per una riflessione “al presente” sull’effettivo stato delle cose e il non-narrativo (ovvero lo spazio extra diegetico) in cui i messaggi sono rivolti direttamente allo spettatore e alle nostre –spesso - smarrite coscienze.
Decameron 2.0 Letizia Renzini ph Ilaria Costanzo 5046 minLo spettacolo è diviso in scene che, oltre ad essere contenute nella già citata cornice, sono come “anelli”, o meglio come due “insiemi” che si intersecano: perché si parte da un argomento del Decameron per arrivare a un altro tema a noi, popolo del digitale 2.0, più vicino, in una sorta di reazione a catena che parte dagli elementi in comune tra l’una e l’altra parte. Per esempio, la quaestio amoris nella novella di Madonna Dianora riproduce la scena di quel giardino di «maravigliosa bellezza» (riprodotto quasi come l’effettivo giardino di una favola medievale dai colori sgargianti di un bosco alla Hieronymus Bosch) ci porta dallo spirito cavalleresco (della novella), alla notifica di whatsapp dei nostri tempi con cui può comunque essere preso, iniziato e gestito un sentimento dalle nobili fattezze. Ecco come da un argomento come l’amore cavalleresco e la posizione della donna in rapporto a questo, giungiamo dritti dritti al “Cuore delle cose”, non solo il titolo della scena 2 atto II, ma uno sviluppo della riflessione precedente: dall’essenza di un sentimento come l’amore, a cosa può sfociare la troppa passione se non “governata” dall’ingegno e dalla ragione. Molto bella la scena di Lisabetta da Messina (IV, 5) e quel grande mazzo di basilico proiettato sullo sfondo che a poco a poco scopre la testa del giovane pisano di cui si era innamorata. Lorenzo si rivela tra quelle foglie di basilico quasi come la Medusa del Caravaggio, con la testa decapitata ma che sembra ancora viva, la bocca spalancata, lo sfondo nero, la presenza del sangue che pervade il “quadro” man mano che l’amato morto si svela.
Passato e presente sono sempre in dialogo, mai in conflitto, l’uno serve a l’altro per riflette da dove siamo partiti e a che punto siamo arrivati. Il territorio virtuale che pervade il palcoscenico non ci spaventa, perché in esso, si muovono corpi in carne ed ossa che riescono a trovare riparo, rifugio, nutrimento, una “lieta convivenza”. Occorre però spogliarsi da ogni veste, pre-costruzione, senso di riflessione e forse anche dalla memoria per abbandonarsi completamente a un tempo in cui siamo iperconnessi, iperinformati, in cui tutto è digitalizzato, in cui esistono molte più experiences che esperienze, un mondo dove l’unica bussola possibile è rappresenta dallo smartphone che permette ai consum-Attori di navigare senza perdersi nel mare della propria solitudine.

Laura Sciortino 30/10/2018

 

ph: Ilaria Costanzo

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