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ContaminAzioni 2016. “Scacco Macbeth” e “Astrànzie”: come si pronuncia Destino

Da una parte c’è il Destino, dall’altra il corso degli eventi. E in mezzo uomini che si parano di fronte alle porte fiduciosi, in fila come alle poste: ché non basta una vita a capire che soglia varcare o se si debba aspettare che sia il Fato a bussare.
Diogene il Cinico diceva che avrebbe preferito una goccia di fortuna a una botte di saggezza e se quella fortuna la riportassimo nel suo nucleo originario, come Sorte che muove i fili dell’esistenza, beh, allora sì: uno spiraglio aperto sul futuro e la mano dietro per ricordare da dove veniamo.
L’inconfondibile riff di “I want to break free” accompagna sul palco tre figure in vestaglia rosa appena strappate dal sonno: aspetto simile, umori distinti per Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia e Dario Caccuri, creatori, registi e interpreti di "Scacco Macbeth", in scena al Teatro dell’Orologio, per il Festival ContaminAzioni.
Sei spalle strette che portano su di sé l’onere di un compito dal prestigio ambiguo: muovere i fili della Sorte. Mani, occhi e stomaci che, senza perdere il senso dell’umorismo – che sarebbe “umano” – tratteggiano la storia dell’umanità, dunque. Ma astranzi2non proprio: tre moderne Norne, sorelle “destinatrici”, senza ripartizione di genere, succursali a tempo pieno della volontà del Destino. A guidarle, una voce che fuoriesce da una vecchia radio che si sintonizza da sola e che dà inizio al “gioco”. Una volta è una gara a freccette con il tallone di Achille, un’altra è una battaglia navale per le sorti di Salamina.
Questa volta le pedine sono quelle degli scacchi e la sorte da segnare è quella che si sta consumando sul campo di battaglia che vede contrapposte la Norvegia e la Scozia di Macbeth. Un cortocircuito è il pretesto per l’assoluzione – almeno temporanea – dal giogo fatale e per potersi, una volta tanto, rendere protagoniste della storia. Il tempo di un guasto, 30 minuti, è quello esatto per portare in scena, con il giusto bilanciamento di ironia e patetismo, una battaglia che deve essere persa o vinta, qualsiasi cosa accada. E deve essere scritta bene, qualsiasi cosa vada in scena, da tre teste opportunamente “contaminate”.
Ma il Destino non sempre gioca a solitario: a volte sbircia nelle intenzioni, agguanta francate di esperienze, impugna errori e svolte. Si può concedere anche un profumo alla sorte, quello di un fiore che ha un nome che confonde: "Astrànzie". È il titolo della breve pièce scritta e diretta da Orazio Ciancone, con Barbara Petti, Angela Pepi e Domenico Luca.
Chi bussa alla porta di Fania? È Lara. O il Destino che educatamente reca in mano un vaso di fiori. Ma quei fiori sono per Stefano che se n’è andato per entrambe e per chi ancora deve arrivare. Stefano che ha lasciato due donne e una crisi.
In quel vaso si condensano le linee di un intreccio che, nella sua convenzionalità, non si riesce a spiegare. Una storia singhiozzata, quella che viene raccontata in “Astrànzie”, attraverso le parole così come per mezzo delle pause, dei lunghi cambi scena (con le musiche originali di Ernesto Cecco D’Ortona).
E per l’amore ci si deve accontentare di percepirne giusto l’odore perché in scena vanno solo le nuance del dolore: della crisi di un matrimonio, della solitudine, dell’abbandono, della perdita. E poi l’esplosione finale del tradimento, che perdona al Fato una dipartita precoce e concentra la forza della disperazione nell’amarezza per l’inganno patito.

Federica Nastasia 03/10/2016

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