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"Anticotestamento" al Tordinona di Roma: andata e ritorno alle origini

È verità universalmente riconosciuta: il teatro è un rito. Nasce in un contesto che è sacrale e tale resta ad ogni apertura di sipario e abbassamento delle luci. Il teatro è anche un organismo vivente, fatto di carne, sangue, palpiti, che segue un proprio ciclo vitale ed energetico. "Anticotestamento", in scena il 10 e l'11 febbraio al Teatro Tordinona di Roma con la compagnia C.T. Genesi Poetiche, risponde a questa definizione ancestrale, rituale e vivente, rispettando la profondità ieratica alla base del patto con il pubblico e la dinamicità magmatica plasmata e condensata negli attori senza la quale alcuna catarsi sarebbe attuabile.
Trilogia biblica selezionata, riscritta, drammatizzata, "Anticotestamento" è "universo sterminato", è un viaggio dall'archetipo alla contemporaneità e ritorno. Gianluca Paolisso, autore del testo e contemporaneamente autore della regia, compie un'operazione non facile (leggi qui la nostra intervista: https://www.recensito.net/rubriche/interviste/nuovi-autori-in-scena-intervista-a-gianluca-paolisso.html). Giuditta (Daria Contento) percorre quattro stazioni di morte e liberazione: rivive, mentre lo racconta, l'assassinio di Oloferne e la salvezza del suo popolo. Prototipo veterotestamentario di Lady Macbeth, si lava ossessivamente le mani e il volto sporchi di sangue per giungere, infine, al centro di un quadrato magico perimetrato di rosso scarlatto dove esplode in una danza tribale e nervosa che la purifica. La Sposa del "Cantico dei Cantici" diventa la Fidanzata (Elèna Elizabeth Scaccia), sempiterna innamorata, vergine e vedova "malata d'amore", che attende invano "l'amato del suo cuore". Rievoca le chiare, fresche e dolci Anticotestamento foto2 attoriacque e il fertile melograno sotto la cui protettiva ombra augurale avrebbe dovuto danzare con lo Sposo. Tuttavia, il suo ventre non conoscerà l'abbondanza di quei frutti, perché è uno scenario di guerra desolata quello che accompagna il suo imeneo, come sottolinea inclemente il coprifuoco di una sirena. La Veggente (Chiara Della Rossa) "intona sulle alture il canto dell'apocalisse", in un magnetico sincrono verbale e gestuale con il suo alter ego, il Falso Profeta (Ivano Conte). Un elenco di caduti e mutilati delle trincee e un motivetto anni '40 in lingua tedesca ricordano le due guerre mondiali e i profeti annunciano, severi e inquieti, il terzo conflitto che incalza terribile nel suo fanatismo. Un suono di campane irrompe. Un coro intona il canto dell'apocalisse, "oltre la terra, oltre gli imperi, nulla resterà se non misericordia".
Nero bianco e rosso, i colori del lutto, della nascita e dell'amore, dominano la scena scarna infondendo assolutezza e verità. Come in un quadro di Caravaggio, di cui la scenografia condivide gli sfondi scuri e la disposizione degli oggetti significanti in un primo piano da natura morta, la luce non è mai presente solo per il suo valore mimetico e costruttivo, ma impone il suo preciso ruolo simbolico, narrativo e spirituale. Le luci di scena guidano lo spettatore nello svolgersi del racconto illuminando l'attore che di volta in volta dà voce all'eterno mito biblico. Effetto di particolare suggestione si raggiunge nel secondo atto, quando la Fidanzata indossa il velo nuziale e marcia percorrendo in diagonale la scena illuminata dal faro situato nell'angolo opposto. Il riferimento all'estetica caravaggesca è esplicito: al centro della scena, nel primo atto, una riproduzione della "Giuditta e Oloferne" agli Uffizi di Artemisia Gentileschi. Un impiego mirato di semplici oggetti di scena (una ciotola d'acqua, un velo di tulle, un libro, una testa…) e un accompagnamento musicale, ora elettronico ora liturgico e corale, completano l'insieme armonico di un risultato denso e intenso.
Pur essendo concepiti come unità autonome, una medesima tensione tra Eros e Thanatos attraversa i tre corti, restituiti al pubblico in una messa in scena senza soluzione di continuità incorniciata dalle parole intonate, declamate, confessate dal Falso Profeta, sempre presente sul palco nel suo ruolo sacerdotale. In un teatro di chiaroscuri, ma soprattutto teatro fisico, dove la parola è corporea e la danza una icastica narrazione, con voce stentorea e misericordiosa, amministra il rito, narra, ammonisce, rassicura, si fa attraversare da un'energia vigorosa e ipertrofica che restituisce al pubblico attraverso studiatissimi movimenti biomorfi di cui Grotowski è nume tutelare. "Anticotestamento" è morte vendetta libertà amore danza attesa energia; significa raccontare e dare corpo alle "profondità dell'animo umano". Significa ripartire dalle radici, già indagate da Paolisso nel cortometraggio "Radici. Ciò che resta dell'Ego" e mai abbandonate nella ricerca di questo giovane Dramaturg e dalla sua squadra di attori. Significa ripartire dalla fonte inesauribile della tradizione mitica occidentale, dal grado zero del teatro, dall'enthusiasmòs della nuova generazione del teatro, per leggere il presente e proiettarsi nel futuro.

Alessandra Pratesi 12/02/2018

 

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