È su una scena minimalista che il Teatro Vascello ospita l’ultimo appuntamento di “Fuori Programma”: il festival di danza contemporanea ha chiuso in bellezza lo scorso 26 luglio con la prima nazionale di “Of Man and Beast”, la performance del gruppo di danzatori inglesi riuniti nella Chameleon Company.
Vestiti in modo ordinario, tipicamente metropolitano, t-shirt, jeans e trainers, cinque ballerini irrompono sul palco con movenze che ricordano non tanto la danza, quanto veri e propri esercizi da warm-up, per una piece che pone l’accento sulla forza, la complicità, ma anche l’ostilità tra uomini. I cinque ballerini slittano dall’uno all’altro stato a mano a mano che la performance: le braccia protese in avanti diventano ora simbolo di amicizia ora preludio di un’interazione fisica più violenta e combattiva. Fasci di luce che illuminano i danzatori da dietro le quinte ne deformano il viso in espressioni mefistofeliche, per meglio sottolineare il passaggio dalle dinamiche di gruppo a quelle tra gang, in cui tutto si compie in funzione del leader di turno. Non mancano peraltro momento di humor in cui i cinque protagonisti, allineanti in fila di fronte al pubblico, sfrontati, sprezzanti, guardano spavaldi lo spettatore, una mano infilata sfacciatamente nei pantaloni, ammiccando, provocando chi osa incrociare il loro sguardo. Quello che sembra il più giovane dei cinque, Theo Fapohunda, fallisce nell’impressionare gli altri e quindi diventa immediatamente l’outsider, il personaggio alla continua ricerca dell’approvazione del gruppo. Nello spazio di trenta minuti la danza esplora così temi come l’accettazione da parte dei propri coetanei, il rifiuto, la sottomissione alle dinamiche di gruppo e alle direttive del leader (un bravissimo Lee Clayden). Quando finalmente viene accettato, il nuovo arrivato si è completamente sottomesso alle logiche del branco, trasformandosi nell’ “animale” del titolo, un cane rabbioso che ringhia a comando, letteralmente portato a spasso dal proprio padrone. Padrone che peraltro, nell’assolo che occupa l’ultima parte dello spettacolo, dimostra tutta la propria vulnerabilità come leader, magistralmente riassunta nell’immagine del ballerino, rannicchiato alla stregua di un bambino e portato in spalla da un altro membro del gruppo (Taylor Benjamin).
Calato il sipario sulla suggestiva esibizione della Chameleon Company, accolta da una scorscio di applausi, si continua a danzare, ma stavolta sulle coreografie di Mauro Astolfi e della sua Spellbound Company. Se quello della compagnia inglese può essere considerato una forma particolarmente innovativa di teatro-danza, Astolfi al contrario sviluppa un movimento puro, astratto e perfettamente padroneggiato dai danzatori. In “Mysterious Engine”, pezzo già eseguito quest’anno al Teatro Eliseo e riproposto nell’ambito del festival, quattro danzatori, due uomini e due donne, portano in scena la propria ricerca della libertà, anche semplicemente da un punto di vista amoroso, come dimostra il continuo lasciarsi e rimescolarsi delle coppie di ballerini durante la piece: ai movimenti dei quattro fa da contraltare la musica elettronica ed una non identificata voce fuori campo, che, lungi dal gettare luce su quanto si sta svolgendo sulla scena priva di scenografia, lascia lo spettatore stordito, confuso. A seguire un altro pezzo che è valso non pochi elogi alla compagnia, “The Hesitation Day”, un quartetto maschile colto nell’atto di rappresentare una suggestiva composizione di attrazione e repulsione tra le varie individualità. Astolfi, ancora una volta, pur lontano da qualsivoglia volontà di narrazione, punta sull’energia espressiva dei danzatori, quasi a voler invitare il pubblico in sala ad abbandonarsi semplicemente al gioco di suggestioni e al flusso dei movimenti, ora fluidi ora rabbiosi e scattanti, dei ballerini.
Desirée Corradetti
28/07/2017
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