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Leyley: tradizioni del popolo iraniano raccontate a ritmo di danza

Lunedì 4 febbraio al Teatro India è andato in scena Leyley, spettacolo prodotto in collaborazione con l’Associazione culturale italo iraniana ALEFBA e dalla compagnia Vazhik - termine che deriva dall’antico farsi pre islamico e significa “danza” - composta da dieci attori danzatori e due musicisti.
Regia e drammaturgia invece sono stati curati da Mohammad Amiri, Mohammad Vajihi e Hadi Habibnejad.

Leyley in persiano significa “campana”. Campana proprio come il gioco in cui si saltella di casella in casella tenendosi in equilibrio su un piede solo, un gioco uguale in Italia e Iran. Ed effettivamente, a passo di danza, saltellando e con movenze coreografiche, lo spettatore viene guidato da un’ambientazione all’altra nel corso di una narrazione scandita da sei episodi. Il filo conduttore che li lega insieme è quello della sofferenza d’amore inscritta nel contesto di un sistema arcaico. Ogni episodio, a modo suo, porta sul palco tradizioni popolari divenute tali per recidere il legame con l’antico apparato di credenze persiane, generandone così di nuove in una sorta di continuità scandita da superstizioni.

Leyley

La narrazione si articola dunque in quadri scenici, tante caselle di uno stesso gioco, tasselli di un unico e immenso mosaico variopinto quale è l’Iran. Ognuna rappresenta la città in cui viaggia Siah, quello che più si avvicina ad un protagonista maschile e che in ogni posto incontra un’etnia pronta a raccontarsi attraverso danze popolari e culti. Ogni località - quattro nello specifico, Khorasan, Azerbaigian, Kurdistan, Bandar - mette in luce un aspetto ben preciso del ricco apparato culturale dell’Iran, un paese dove nonostante la modernità abbia mosso e continui a muovere importanti passi in avanti, il popolo è spesso ancora controllato dal potere attraverso superstizioni e talismani.

Siah affronta un tema importante come quello della diversità: nasce diverso, crescendo tra persone che poi sentirà suoi familiari, finché non sarà costretto a partire, incontrando culture diverse, per trovare le pietre di una collana, amuleto con il quale potrà finalmente risvegliare Sanam, figlia del capo villaggio della quale è innamorato. Sanam è infatti vittima di una sorta di maledizione. Nata durante la notte più lunga dell’anno, una volta caduta addormentata non si risveglierà più. Quello di Siah è un vero e proprio viaggio nei riti persiani, fatti di simboli, giochi e canti popolari che hanno sempre qualcosa da raccontare: miti, storie legate alle attività lavorative, problematiche sociali, leggende locali.

Proprio come suggerisce il nome della compagnia, la danza - vazhik - è centrale nell’apparato narrativo. È attraverso la danza infatti che la narrazione prende vita, una danza fatta di colori vivaci che gioca con i corpi e le luci, si anima e arriva a parlare allo spettatore più di quanto possano fare le parole. Lo spettacolo infatti è in italiano e in farsi, una scelta che probabilmente mira a mettere in primo piano l’universalità di un linguaggio artistico come quello della danza che abbatte le barriere culturali e mette lo spettatore sullo stesso piano degli attori, dandogli la sensazione di parlare una lingua comune.

Giulia Mirimich 06/02/2019

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