Il fotografo americano, conosciuto in tutto il mondo per i suoi toccanti ritratti e reportage realizzati nei paesi più difficili del pianeta, torna protagonista di una personale con oltre 150 foto attraverso le quali conduce il visitatore nel suo universo, popolato da tanti volti di uomini, donne e bambini stravolti dalla guerra, che in realtà appare solo come uno sfondo su cui far emergere le persone che hanno vissuto e continuano a vivere queste esperienze di sofferenze.
Ogni fotografia di Steve McCurry è caratterizzata dalla ricerca di quel qualcosa che conduca lo sguardo “oltre”, attraversando porte e finestre per raccontare il mondo che ci circonda; in ogni suo scatto è racchiuso un complesso universo di esperienze ed emozioni, trasmesse al visitatore anche attraverso le parole e alcuni video dedicati ai suoi viaggi e al suo modo di concepire la fotografia: «In fotografia credo che bisogna solo aspettare e avere pazienza per ottenere infine lo scatto giusto».
Oltre alle opere più importanti dell’artista, come il ritratto della ragazza afghana dagli occhi verdi o quello dell’anziano della tribù Rabari, simbolo di questa mostra, ci sono anche i lavori più recenti, quelli che ripercorrono i suoi primi viaggi e alcune opere inedite, come gli scatti effettuati a Cinecittà fra set e magazzini della surreale città del cinema e quelli per il calendario Lavazza 2015, che ritraggono i contadini africani che lavorano il caffè.
La rassegna allestita presso il Teatro 1 di Cinecittà è curata da Biba Giacchetti e Peter Bottazzi, che hanno voluto raccontare attraverso le sue opere, l’avventura della vita di McCurry seguendo il filo delle sue passioni, e conoscere la sua tecnica ma anche la sua voglia di condividere la prossimità con la sofferenza e talvolta con la guerra, con la gioia e con la sorpresa.
Una passione quella per la fotografia che McCurry ha trasformato in professione, di cui ama « il senso di meraviglia che provo mentre esploro il mondo e scopro le cose che differenziano o accomunano le persone» - viene spiegato nell'audioguida data in dotazione.
La stessa esperienza di scoperta che attraversa i visitatori della mostra che nelle sue fotografie possono riconoscere un modo di guardare il nostro tempo e, in un certo senso, possono anche riconoscere se stessi.
(Krizia Ricupero)