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"Comfortable in My Skin": la ricerca di Jonny Briggs attraverso il nucleo familiare e le mura domestiche

Dal 20 aprile al 13 giugno 2015 la Galleria Marie-Laure Fleisch ospita "Comfortable in My Skin", la prima personale a Roma dell’artista inglese Jonny Briggs. Il giovane artista inglese, classe 1985, presenta un progetto fotografico ideato e scattato interamente tra le mura della sua casa d’infanzia, di cui lui e i suoi genitori sono i protagonisti assoluti.

In mostra una selezione di lavori realizzati tra il 2010 e il 2014 che delineano il suo più recente percorso creativo, focalizzato sull’urgenza di riscoprire se stesso mediante l’analisi della propria infanzia.

Attraverso l’uso della fotografia esplora il rapporto tra se stesso e l’inganno, e la realtà costruita dalla famiglia, mettendo in discussione i confini tra bambino e adulto, tra la realtà e la finzione, tra figlio e genitori. La casa di famiglia, nella provincia inglese, è, infatti, il set prediletto da Briggs per le proprie simulazioni, talvolta diventando essa stessa protagonista assoluta con le sue invadenti carte da parati floreali e la moltitudine di oggetti accumulati negli anni. Una presenza vissuta dall’artista come viva, incombente, che ha assorbito la propria infanzia e custodito i propri segreti. L’opera "The Home" sintetizza questa sua visione, una fotografia di grande formato che inquadra un calco vinilico della cucina, color carne, simile a una pelle asportata e distesa sul prato. La casa rappresenta proprio una seconda pelle per l’artista, della quale vorrebbe disfarsi perché sentita come pesante e soffocante creatura ma che allo stesso tempo avverte inevitabilmente ancora come rifugio.

Nell’opera che dà il titolo alla mostra "Comfortable in My Skin" l’artista è ritratto con la testa intrappolata nella camicia del padre, il quale a sua volta, tradendo un’espressione esausta, sembra partorire il figlio adulto. In Holding invece è la madre ad avere la testa coperta da una camicia maschile, mentre il corpo, fintamente sospeso su una parete, simula una crocifissione domestica, emblema di un ruolo sacrificale della donna.

Coinvolgere i propri genitori e i luoghi dove è cresciuto nelle istallazioni, gli permette di guardare alla sua infanzia con gli occhi di un adulto, cercando i momenti perduti dell’infanzia, svincolandosi dai rapporti convenzionali che legano i genitori e i figli per cercarne uno autentico, al di fuori degli schemi sociali.

 

(Gerarda Pinto)

 

 

 

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