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"Counterlight": Maya Zack alla Galleria Marie-Laure Fleisch

Chi impara realmente a vedere si avvicina all'invisibile”. Con queste parole di Celan si potrebbe qui raccontare in parte il significato poetico della videoarte.
La donna, la storia, il dolore e una ricerca catartica nella dimensione della carta. Nella claustrofobia di una stanza segreta fatta della stessa sostanza di ciò che contiene - cataloghi, lettere, foto, scartoffie, archivi, mappe - prende vita “Counterlight”. Dopo “Mother Economy” (2007) e “Black and White Rule” (2011), si tratta del terzo lavoro di videoarte dell’artista Maya Zack esposta alla Galleria Marie-Laure Fleisch di Roma dal 19 settembre al 19 novembre.
Quella manifestata nelle tre opere trasmette la poetica della sua arte attraverso la tecnica della ripresa. Il video nell’artista israeliana diventa contenitore di ulteriori sguardi visivi: quello della grafica, del collage, della stratificazione di un dolore che si assottiglia sulla superficie del “tubo catodico”.counterlight2
Maya Zack così trasforma il video nella profondità delle tracce grafiche del segno, nella minuzia artigianale della “technè”, riportandola nella sua personale dimensione intima femminile, attraverso la quale si riversa la tridimensionalità del suo disegno che prende forma. Succede così sulla dimensione piatta del video. Fu il critico Clement Greenberg a parlare di “flatness” in un contesto di progressione della pittura modernista a “farsi parete” già alla fine degli anni Trenta. In uno spazio in cui il supporto e la materia coincidono, rimuovendo ogni residuo di realtà figurativa, resta l’esistenzialità del tracciato pulsionale, l’essenza gestuale. Stessa cosa accade anche in ambito scultoreo con le sue estreme riduzioni formali.

[...] e la pittura, essendo stata compressa entro profondità fittizie, era spinta a emergere dalla superficie della tela in forma di carta, stoffa, cemento, oggetti di legno, ed altri materiali appesi, fusi o incollati su quello che un tempo era stata la superficie trasparente del quadro.

counterlight3È la forma di un libro, di un oggetto, di un corpo. La stratificazione di un dolore. Sono migliaia di pagine sottili a costruire l’identità del suo lavoro, di un uomo e della memoria; Emerge in blocco la storia con un brillante ed esoterico registro codificato, che nei suoi tagli, nello scucire e ricucire i fili delle immagini, fa prendere vita a un racconto di una sofferenza che non sembra finire, che può prendere forma dalla figura di un’archivista. Ispirandosi al poeta Paul Celan, sullo sfondo di questo lavoro si staglia la memoria della persecuzione nazista contro gli ebrei e il ricordo delle sue origini: da quelle topografiche costruite sulle mappe le strade e le foto della sua terra, fino a quelle iconiche della madre che impasta il tradizionale pane Challah. Un altro sfogo celebrativo e vittimista sull’immane tragedia della seconda guerra mondiale. In parte non è mai abbastanza per capire quello che domani dovremmo ricordare, probabilmente con le stesse parole e la stessa poesia, in un gioco di ritorno e di tortura. Un lavoro lodevole sotto qualunque punto di vista, se non fosse per quello tematico: abbastanza dismesso per un’artista solidamente quotata sul mercato dell’arte, che ha appena quarant’anni e che combatte l’oblio e la diffidenza dell’anacronismo, sia nei confronti della seconda grande guerra che in quelli della figura della donna.
Una parte del lavoro nella Galleria è esposto sottoforma di disegni e del rappresentativo "libro a soffietto", frammenti che lasciano attraversare ancor più a fondo il mondo interiore di Maya Zack.

Il video è stato prodotto con il supporto di: Ostrovsky Family Found; The Israel Lottery Council of Culture & Arts; Artis Grant Program; Outset Contemporary Art Found; una borsa della Claims Conference; Kronos Aerial Photography.

Emanuela Platania 07/10/2016

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