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Tradizionalista non conservatore: al Vittoriano, la mostra dedicata a Edward Hopper

Forse non sono troppo umano ma il mio scopo è stato quello semplicemente di dipingere la luce del sole sulla parete di una casa”.
Così “dipinse” il proprio ingegno Edward Hopper, il realista metafisico, l’amante della luce, che dipingendo ciò che non riusciva a rendere a parole, lo illuminava perché potesse restituire l’immagine più nitida dei luoghi che fermava sulla tela.
Dal 1 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017, nell’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano, torna a grande richiesta a Roma l’icona dell’arte americana del XX secolo. Circa 60 opere realizzate da Hopper tra il 1902 e il 1960, concesse temporaneamente dal Whitney Museum of American Art di New York, tra cui figurano “Le Bistrot or The Wine Shop”, “Summer Interior”, “New York Interior”, “South Caroline Morning”, “Second Story Sunlight”.Hopper02
Eccezionalmente, è uscita dalle sale del Whitney anche una delle opere più iconiche della collezione Hopper – anomalìa non fosse altro che per le dimensioni, circa 2 metri di lunghezza – “Soir Blue”, realizzata a Parigi nel 1914. L’opera, a inizio secolo, scosse gli animi della critica che non ne riconobbe il pregio: restò successivamente, per volontà dello stesso artista, arrotolata a prendere polvere in qualche soffitta prima che, negli anni Sessanta, venisse riscoperta e restituita al pubblico.
La mostra, curata da Luca Beatrice, e che ha visto l’intervento di Carrie Springer, curatrice del Whitney Museum di New York, è suddivisa in sei sezioni: ritratti e paesaggi, disegni preparatori, incisioni e olii, acquerelli e immagini femminili. L’esposizione è arricchita, inoltre, da una serie di contributi multimediali e da aree laboratoriali dedicate all’interattività e all’approfondimento.
Un percorso in cui è possibile, sala dopo sala, misurare quella che è stata definita la “cifra hopperiana”: un marchio artistico che è andato potenziandosi nella società occidentale per l’eredità che è stato in grado di lasciare nei campi più diversi, dalla pubblicità, alla letteratura, alla fotografia, al cinema.
Una riflessione che scaturisce anche dall’attributo stesso, “hopperiano”: è raro che il nome di un artista – visivo, per giunta – si trasformi in un aggettivo e che così lucidamente esprima l’identità di uno stile e di un linguaggio. I grattacieli, le pompe di benzina, la provincia americana, gli edifici e la loro umanità, la solitudine degli interni, i ponti e i negozi della middle class Hopper03americana. È l’America dell’età del jazz, dei noir, delle donne che iniziano a scoprire le gambe.
Hopper è stato un pittore enormemente “saccheggiato”. Bene dire che lo è stato – in quanto figurativo puro – nelle immagini che è stato in grado di catturare: dagli edifici, agli interni, alle scale. L’ottica hopperiana è stata manna pura per il cinema. Hopper è la casa di Norman Bates e il cortile su cui si affaccia la finestra di James Stewart nei capolavori di Hitchcock, è Lynch in “Mulholland Drive”, è l’incomunicabilità del “Deserto rosso” di Antonioni, e “Study for Girlie Show” è un fotogramma – voluto dallo stesso Dario Argento – di “Profondo rosso”.
Sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, con il patrocinio della Regione Lazio, in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, questa grande retrospettiva dedicata all’artista americano è stata organizzata e prodotta da Arthemisia Group, in collaborazione con il succitato Whitney Museum of American Art di New York.

Federica Nastasia 02/10/2016

Credits:
Foto 1:
Soir Bleu (Sera blu) 1914
Olio su tela, 91,8x182,7 cm
New York, Whitney Museum of American Art
Lascito di Josephine N. Hopper © Heirs of Josephine N. Hopper,
licensed by Whitney Museum, N.Y

Foto 2:
Second Story Sunlight (Secondo piano al sole) 1960
Olio su tela, 102,1x127,3 cm
New York , Whitney Museum of American Art;
acquisizione con i fondi dei Friends of the Whitney Museum of American Art ©
Whitney Museum of American Art, N.Y.

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