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"Joe Wright. La danza dell'immaginazione, da Jane Austen a Winston Churchill": prima monografia dedicata al regista inglese. Recensito incontra l'autrice Elisa Torsiello

Mentre sui siti di cinema si riporta la notizia che il gruppo alternative metal statunitense dei Nine Inch Nails curerà la colonna sonora di The woman in the window (2019), prossimo film di Joe Wright, quest’ultimo è protagonista in Italia della prima, accurata, intrigante monografia dedicatagli. Edita dalla Bietti collana Heterotopia, Joe Wright. La danza dell’immaginazione, da Jane Austen a Winston Churchill, è un must have per chiunque sia appassionato o voglia occuparsi di cinema. Ma soprattutto non può mancare nella libreria di chi è rimasto affascinato più di una volta dalla tecnica registica di Wright. Come è successo alla preparata autrice del volume, Elisa Torsiello, giovane critica cinematografica, la quale, da grande ammiratrice dello stile del regista inglese, ha deciso di lanciare un impulso affinché altri possano interessarsi alla sua arte. Recensito ha incontrato Elisa per parlare del suo libro e della sua passione per la settima arte, oltre che di Joe Wright. Su cui l’autrice tiene subito a precisare: «Joe sa che ho scritto questa monografia e ha richiesto una copia in inglese. Me l’ha detto Seamus McGarvey».

Iniziamo quindi con la domanda più convenzionale: perché Joe Wright?
È stato il regista che mi ha cambiato la vita. Alfred Hitchcock e David Fincher sono i miei preferiti, però Joe mi ha aperto la strada della critica cinematografica. Prima ero solo una spettatrice comune, andavo al cinema perché c’era tale attore o tale film e non ero interessata agli aspetti più tecnici; invece dopo Espiazione è cambiato tutto. Questo lo devo anche a Dario Marianelli e Seamus McGarvey, oltre che alla fotografia e al montaggio: tutti quegli universi e nomi del tutto ignorati dallo spettatore medio, insomma. joe wright

Il regista inglese si definisce “figlio di burattinai”: per te chi è, invece, Joe Wright?
Per me è il cinema. Ma anche la rivincita di tutti quei ragazzi che, con la propria immaginazione, sono riusciti a dare un calcio al passato, ad avere la meglio su cattiverie e bullismo, di cui lo stesso Wright fu vittima a causa della sua dislessia. Joe è riuscito coraggiosamente a dimostrare quanto il cinema possa migliorare davvero una vita. Lui a me l’ha cambiata, quindi per me Joe Wright è il cinema, proprio come lo è Hitchcock per altri motivi.

Questa idea di rivalsa nei confronti di difficoltà giovanili vale anche per te?
Occupandomi di cinema, sono diventata un po’ più ottimista e ho imparato a credere nei sogni. Con il tempo ho scoperto nuovi modi di approcciarmi alla realtà. Ora penso anche che, se veramente vuoi una cosa, vai e te la prendi. Magari non sempre accade, però almeno puoi dire di averci provato. E solo per questo, devi darti una pacca sulla spalla. Joe Wright ha ricevuto anche dei premi a conferma del lavoro svolto. Io per ora ho ricevuto solo pacche sulle spalle: è grazie a Joe se sono disoccupata (ride, ndr).

Hai nominato anche Hitchcock e Fincher come registi preferiti. Insieme a Wright, che tipo di cinema rappresentano per te?
Joe è l’intermediazione fra la fantasia e la realtà. È anche lo sguardo, e in questo ha un punto di contatto con Hitchcock. Alfred è il voyerismo, lo sguardo che guarda attraverso la fessura: Joe va a studiare quello sguardo, appunto. Fincher è una trottola, è quell’autore che riesce a toccare vari generi, rendendosi sempre riconoscibile: non ha una definizione, per questo è così importante e fantastico per me.

Che legame ha Joe Wright con l’Italia?
Molto forte. Da quello che ho capito parlando con Seamus McGarvey, lui affitta, qualche volta, una casa a San Casciano in Val di Pesa, vicino Firenze, da una signora che ha una figlia amica di Rosamund Pike, ex fidanzata di Joe. In questo posto ha scritto Espiazione e Anna Karenina. Quindi l’Italia è una grande fonte di ispirazione. Ma basti solo pensare che due dei suoi collaboratori più stretti, Valerio Bonelli e Dario Marianelli, sono italiani. E McGarvey abita in Italia.

Nella Prefazione al tuo libro, Dario Marianelli scrive che Wright tocca ogni immagine come se fosse un dipinto. Tu a quale pittore accosteresti Joe?
Non ce n’è uno in particolare, cambia in base ai film. Ad esempio, in Anna Karenina è vicino tantissimo a Claude Monet. In Orgoglio e Pregiudizio vi rivedo John Constable con un pizzico di William Turner. Espiazione ricorda la pittura di Giovanni Fattori.

Oscilla fra Impressionismo e Realismo, dunque?
Esatto. Forse più Impressionismo.

elisa okQual è, secondo te, la colonna sonora più riuscita del duo Marianelli-Wright?
Espiazione. Perché riesce a rendere musica un suono come quello del battere sui tasti di una macchina da scrivere. Ti fa commuovere anche senza guardare un’immagine. Sentendo le note di Elegy for Dunkirk, per esempio, davvero sembra di vivere quel piano sequenza osservato sullo schermo poco prima.

Hai intitolato il tuo volume “La danza dell’immaginazione”: che ballo è Joe Wright?
(ride, ndr) È un valzer, molto simile a quello sentito in Anna Karenina. Quando parlo di danza non intendo quella compiuta materialmente dagli attori, ma soprattutto quella della cinepresa nei piani sequenza: talmente elegante e sinuosa che non puoi non accostarla ad un valzer. Non è di certo un tango, o un fandango, comunque.

Elegante e regale, ma anche romantica…
In Joe c’è poco di romantico. È vero che le storie sono d’amore, ma vanno a finire quasi tutte male. A parte in Orgoglio e Pregiudizio, ma in Espiazione, Anna Karenina, Hanna, L’ora più buia c’è sempre quel pizzico di “bittersweet”, (dolceamaro, ndr) come direbbero gli Inglesi. Non si riesce mai a toccare l’apice del romanticismo. Quindi, quando sento che Joe Wright è sottovalutato proprio perché le sue opere vengono reputate romantiche, mi arrabbio. Spero che con il mio libro questo mito venga sfatato, finalmente. Ci tenevo a rendere giustizia all’opera di un autore che ha tanto da dire e in pochi lo hanno compreso.

Secondo te che tipo di magia ha regalato al cinema?
Aver trovato un connubio fra realtà e immaginazione. La sua magia è riuscire a catapultarti nella storia. Non tutti ci riescono. Sarà per questo che forse, secondo me, gli affidano sempre film tratti da libri: lui prende una storia e la fa sua, non fa un banale copia e incolla, niente è pedissequo in Joe Wright. Lui ti proietta nella storia e te la fa amare. Quando uno dei due aspetti, immaginazione o realtà, va a superare troppo l’altro, questa magia viene meno. Penso a Pan, dove l’immaginazione ha preso il sopravvento. Oppure a Il solista, dove era troppo neorealista. In certi film cala un po’ il suo tocco magico.

Seamus McGarvey scrive nella Postfazione: “Nulla è lasciato al caso all’interno delle sue inquadrature: tutto parla di lui, tutto parla della vicenda che sta raccontando”. Qual è, per te, la sua inquadratura più potente a livello di immaginazione?
Ci dovrei pensare su a lungo, sono troppe! Ne posso forse indicare due: una è in Espiazione, la scena d’amore nella libreria, ossia Cecilia sospesa tra le braccia di Robbie. E la seconda è in Anna Karenina, quando si butta sotto il treno e dice “Forgive me” (“Perdonami”, ndr). Da critica, però, direi la scena in cui Winston Churchill accende il sigaro in L’ora più buia, con il bagliore che illumina il viso mentre attorno è tutto scuro.

Che film ti piacerebbe realizzasse Wright?
Finalmente qualcuno che me lo chiede! Un film su Mary e Percy Shelley: credo che lui sia nato per fare un film del genere. Con Aaron Taylor-Johnson nei panni di Percy e Keyra Knightley in quelli di Mary. Oppure Miele di Ian McEwan. Già vedo il cast: Tom Hardy, Tom Hiddleston, Rufus Sewell e Saoirse Ronan come protagonista.

Da Elizabeth Bennet ad Anna Karenina, passando per Briony Tallis e Hanna Heller: chi è la donna per Joe Wright?
Una donna forte, che lui modella in base ai ricordi di sua mamma e di sua sorella. È una donna capace di distruggere una vita con la forza dell’immaginazione, come Briony, oppure di togliere o salvare una vita, come Hanna. Sono donne di tutte le età, ma accomunate da una forza interiore capace o di amare alla follia, o di distruggere. elisa con seamus

Qual è secondo te quella più riuscita?
Hanna.

E il film di Wright più sottovalutato?
Hanna, senza esitare. È un film completo. Per ogni appassionato di cinema, esso è un’esperienza catartica, penso. Trovi di tutto, a cominciare da Robert Bresson. E poi c’è la musica dei The Chemical Brothers, Tom Hollander vestito con una tuta che ricorda quella di Uma Thurman in Kill Bill, il fischiettio che rammenta il film Il mostro di Düsseldorf: è ricco di citazioni, ma nessuno lo ha compreso, non riesco a capirne il motivo. Probabilmente perché si distaccava dall’estetica tipica di Wright, o meglio: da quella che gli altri pensavano fosse la sua estetica, tra film romantici e storie d’amore. In Hanna c’è una ragazza che è cresciuta con le favole dei Fratelli Grimm e deve imparare a diventare grande da sola, combattendo contro la strega cattiva che è una bravissima Cate Blanchett. Da rivalutare.

Qual è la tua citazione preferita tratta da uno dei suoi film?
Come back, come back to me” tratta da Espiazione. Oppure “Mi avete stregato anima e corpo, vi amo vi amo” di Mr. Darcy in Orgoglio e Pregiudizio: è stata la frase che ho scritto per anni nei diari della Smemoranda.

Tre aggettivi per descrivere Joe Wright e il suo cinema?
Cinema: elegante, sognatore ma realistico. Lo so che sembra un ossimoro...
Lui: meticoloso, attento, sognatore.

In uno dei capitoli finali del tuo libro scrivi riguardo ad una “prima chiusura del cerchio”: è davvero stato ultimato un ciclo? E ora quale si aprirà?
Con Nosedive (primo episodio della terza serie di Black Mirror, diretto da Joe Wright, ndr), secondo me, lui ha concluso un ciclo. Dopo Pan voleva lasciare il cinema: era giusto che ritornasse all’origine proprio con una serie tv. Ora si apre un nuovo cerchio che, probabilmente, sarà una sorta di copia e incolla di quello precedente. Spero però sempre su base inglese perché, quando ha virato sulle produzioni americane, Joe Wright non ha avuto gran successo. Che sia un ciclo di film più bilanciato su quel famoso equilibrio fra realtà e immaginazione, ecco.

copertina wrightA chi consiglieresti di vedere Joe Wright?
Sicuramente ai ragazzi che si stanno approcciando all’università: se sei interessato al mondo dell’arte o del cinema, lui dà la spinta finale, il coraggio di iscriverti e di perseguire quel determinato sogno. È successo a me e sono venuta a scoprire a Venezia che è accaduto anche ad un’altra ragazza. Inoltre, suggerisco agli appassionati di cinema e di arte di guardarlo: Joe è un uomo che è cresciuto con l’arte e, quindi, è normale che quando sei un autore tu porti la tua arte, quello che ti ha fatto crescere, che ti ha modellato nelle tue opere. Lui vive di cinema, di storia dell’arte e ciò si ritrova nei suoi film.

Se dicessi la parola “mani”, tu a cosa la accosteresti?
Fil rouge di tutta la produzione di Joe.

“Occhi”?
Lily James in L’ora più buia.

Specchi?
Il vero sé.

Chi butti dalla torre, Keyra Knightley o Saoirse Ronan?
Benchè mi piaccia molto anche Saoirse, salvo Keyra.

Jane Austen o Ian McEwan?
Giù Jane Austen!

Carlo II o Winston Churchill?
Scelgo Churchill.

Lev Tolstoj o James Matthew Barrie?
Non li amo entrambi, però vada per Barrie.

Che effetto ti ha fatto pubblicare il libro con la Bietti Editore? Che avventura è stata?
Penso di aver giocato tutta la carta del karma e delle buone azioni che ho fatto in passato per arrivare a ciò. È stata una cosa inaspettata: io inviai una copia ad alcune case editrici e la Bietti mi rispose subito sì. Il libro era impostato in maniera totalmente diversa: ad esempio, i capitoli erano suddivisi in base ai temi riscontrabili nei film di Wright, tra cui la donna, i bambini.... Seguivo un altro modello, ma la Bietti mi convinse a cambiare tutto: trattandosi del primo libro al mondo su Joe Wright, dovevo analizzare tutto fin dall’inizio, a partire dalle serie televisive, comprendendo anche gli spot pubblicitari. È stata una rivoluzione completa e grazie a loro, forse, sono anche meno prolissa e proustiana. Per me virgole e punti erano quasi inesistenti: con la Bietti ho imparato tanto. Devo ringraziarli molto, perché non è facile puntare su Joe Wright, avevano molta paura. È vero che è conosciuto, però non ai livelli di David Lynch o Christopher Nolan, per intenderci. E invece ho avuto ragione io, per ora sta andando bene: ci sono tanti sognatori in giro.

Quando è nato in te quest’amore per la settima arte?
Penso da piccolissima. Ogni ricordo che ho di me da bambina sono io davanti ad uno schermo, fosse del cinema, della tv o del PC. Il primo film che ho visto è stato Il Re Leone della Disney: avevo quattro anni e mia zia mi portò al cinema. Rimasi tutto il tempo a guardare la luce di proiezione: zia ripete sempre, infatti, che ero già predisposta, che era nel mio destino esaminare cosa c’è oltre un film. Mio padre mi ha poi fatto “coltivare” la passione perché, quando sceglievamo insieme un film, lui si addormentava ed io andavo avanti tutta la sera, finendo per vedere a sei anni Le Iene di Tarantino. Ma questa è un’altra storia. (ride, ndr) Mamma invece mi ha supportato, sebbene arrivassi ogni giorno con un dvd nuovo a casa: era disperata perché non sapeva dove metterli! Però è stata lei che mi ha lasciato andare, con il motorino, a vedere Espiazione al cinema, nonostante quel giorno piovesse a dirotto.

Meglio spettatrice o meglio critica?
Per quanto riguarda Joe Wright, una via di mezzo: per riuscire ad apprezzare certi aspetti come i piani sequenza, devi essere critico. Però, per come riesce a gestire lui la regia, bisogna essere spettatori. Comunque non riesco più ad essere solo spettatrice, da anni ormai. Un po’ mi maledico per aver studiato cinema: a volte vorrei avere ancora quell’ingenuità di visione che avevo una volta.anna karenina

Hai già presentato il libro a Venezia, Pisa e Roma. Il 17 novembre sarai alla manifestazione Bookcity di Milano invece: che effetto fa passare dall’altra parte, da intervistatrice a intervistata?
Io ho intervistato per anni persone legate al mondo del cinema, andando a conferenze e presentazioni…Essere dall’altra parte è un viaggio extracorporeo. La prima presentazione c’è stata a Venezia, un esordio col botto, ero emozionatissima, quasi non riuscivo a parlare. Per fortuna che ad affiancarmi c’erano Alessandro Boschi (redattore e conduttore storico del programma radiofonico Hollywood Party su Rai Radio3, ndr) e Steve della Casa (critico cinematografico e conduttore storico di Hollywood Party su Rai Radio3, ndr). La seconda a Pisa ho avuto come ospite Seamus McGarvey: anche lì cuore a mille, ma lui è riuscito a mettermi a mio agio. E poi c’era anche un mio amico, Antonio Capellupo (responsabile della programmazione per il Cineclub Arsenale di Pisa, ndr), che ha organizzato l’evento: un’altra persona che non ringrazierò mai abbastanza. A Roma è andata ugualmente bene, grazie anche alla presenza di Emanuele Rauco, giornalista e critico cinematografico.
Un conto è parlare degli altri, come un critico, male o bene che sia. Quando devi parlare di te stesso, cambia tutto. Se non avessi parlato per anni davanti ad un microfono, probabilmente sarei svenuta alla prima presentazione, quindi grazie anche a Radio Eco (web radio degli studenti dell'Università di Pisa, ndr). Devo anche aggiungere che con il libro la mia autostima è aumentata: non avendo nulla su cui basarmi, mi sono affidata molto al mio senso critico e alle mie capacità, ho avuto fiducia in me stessa.

Tante soddisfazioni, quindi. Progetti futuri, invece?
C’è un’idea che vorrei portare avanti e che è su un altro Wright, Edgar. Non ha avuto il potere, come Joe, di cambiarmi la vita, però è un altro dei registi a cui devo qualcosa. Ma questa è un’altra storia, buona per un’altra intervista. Mi piacerebbe anche scrivere un libro su Alex Garland. Ma se fai di cognome Wright per me parti avvantaggiato e quindi ho gli occhi puntati su Edgar.

Chiara Ragosta, 16/11/2018

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