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Reportage dalla Georgia: chi fa il vino non fa la guerra

TBILISI – Cosa hanno in comune un calciatore che ha vinto la Coppa Campioni, una madre che ha ucciso i suoi due figli piccoli e un dittatore sanguinario? Detta così sembra una barzelletta, e neanche delle più divertenti. I tre personaggi, tra pop, Mito e Storia, corrispondono ai nomi di Kaladze, difensore di un fortunato Milan berlusconiano, Medea e Stalin. Qual è il fil rouge che li segna e che li accomuna? Tutti e tre sono georgiani, questa terra che non avendo gas e petrolio, come le regioni circostanti, imbottiglia le acque che scendono dal Caucaso, esporta vini e ha sete di cultura. Indipendente dal '91 ma nei millenni e nei secoli invasa e dominata da arabi, russi e mongoli, è una terra orgogliosa, nazionalista nelle sue 00tbiaccezioni positive, quell'orgoglio che ha permesso di mantenere lingua e la loro particolare scrittura, tondeggiante e panciuta, sinuosa e femmina somigliante vagamente all'indonesiano, nonostante abbiano tentato con ogni mezzo di annientare la memoria, cancellarla, abbuiarla.
Siamo vicini a Grozny, a quel che rimane della capitale della Cecenia, che è poco aldilà dal confine, a qualche decina di chilometri. Qui le eco della guerra si fanno ancora sentire. L'ultima è quella del 2008 quando la Russia di Putin mostrò i muscoli entrando dal confine a nord di Tbilisi. Tuttora il gigantesco campo rifugiati, 80.000 persone sfollate, sta lì in bella mostra come ferita ancora aperta. A queste latitudini c'è anche un po' di preoccupazione per quello che potrebbe essere la politica estera di Trump, amico di Putin in questa strana nuova alleanza sovietica a stelle e strisce; se chiuderà un occhio sulle 000tbifaccende internazionali che non riguardano direttamente gli Stati Uniti questo potrebbe non essere una buona cosa per l'indipendenza della piccola Georgia. Siamo nel cuore dell'Asia: sotto la Turchia di Erdogan, la martoriata Armenia dell'Olocausto taciuto e non ufficialmente mai ammesso, l'Azerbaijan della ricca e opulenta Baku. Siamo tra due mari che mari non sono: il Mar Caspio da una parte, il Mar Nero dall'altra.
Tbilisi è una capitale moderna; qui si concentra metà della popolazione totale georgiana (nuova diaspora nel '08: un milione di persone è fuggito all'estero, soprattutto donne per svolgere la professione di badanti e soprattutto in Europa): dall'alto, passando per la ripida funicolare che porta alla torre della televisione che la notte ha riflessi rosei, l'estensione della città mette impressione. Alle infinite case basse, con l'aggiunta di qualche palazzone di stampo sovietico, sono stati aggiunti, negli ultimi anni, sotto l'impulso del precedente governo (del presidente Saakashvili), monumenti giganteschi e strutture imponenti che hanno cambiato la faccia e l'idea stessa della metropoli. Il Palazzo di Giustizia è composto da tanti cappelli come fossero funghi in una radura boschiva, la cupola di vetro che copre il Palazzo Presidenziale (che ricorda quella del Reichstag berlinese), le due tube in acciaio e cristallo che, come corni montani o come un paio di didgeridoo001tbi australiani, dal parco sottostante sembrano lanciare, come strillone novecentesco, come megafoni, il loro canto verso il fiume. E poi il ponte come una lingua bianca e dai riflessi celesti come la coda di Moby Dick in immersione o il grattacielo in vetro azzurro, ancora in costruzione, che sarà composto da appartamenti di lusso.
Il vino sta proprio nell'ossatura del Paese, nel dna della Regione, nelle pieghe di questa popolazione che fa e che beve vino da quasi due millenni, secondo i recenti ritrovamenti di una cantina primordiale. Addirittura, il legame tra vino, vigna e tessuto sociale e religioso è talmente forte e saldo che la classica croce georgiana, quella con l'asse 002tbiorizzontale non perpendicolare ma piegato quasi fosse una freccia, quella che usò la Santa Nino (qui nome femminile) per convertire la nazione, fu creata e realizzata intrecciando dei tralci di vite. Si dice che siano un centinaio i vini differenti prodotti ed esportati in tutto il mondo; due sono le metodologie per fare vino: l'europeo, e, più interessante, quello tradizionale arcaico che consiste, con una lunga lavorazione tutta manuale, nel mettere il vino (il Saperavi su tutti) a fermentare in anfore sottoterra chiamate kvevri prima per sei mesi e successivamente, depurato da raspi e bucce, altri sei mesi in un altro orcio di terracotta.
Qui il vino (si moltiplicano le wineroad di degustazione), i prezzi concorrenziali (per ogni euro il cambio è circa 2.5 Lari; il costo della vita è un terzo rispetto all'Italia) e d'inverno la possibilità di sciare e fare trekking fanno della Georgia una meta appetibile per varie tipologie di mercato turistico (moltissimi i russi che scendono in Georgia mentre per i georgiani è molto complicato ottenere il visto per Mosca e dintorni). Se poi ci aggiungiamo i tappeti e le secolari terme sulfuree (Tbilisi infatti significa “acqua calda”) in pieno centro cittadino, il 003tbipacchetto è completo. Monasteri e fortezze rendono il peso di una storia difficile e travagliata, corposa come le lotte, le battaglie, le guerre subite. In alto a proteggere la città, la Madre della Georgia con una spada per difendere la propria libertà dai nemici e una coppa di vino per accogliere e ospitare gli amici. Nel parco sottostante due sculture accattivanti: un pianoforte bianco immenso, per giganti o ciclopi amanti degli ottantotto tasti, e un albero di acciaio annerito che sembra ricordare, con le sue innumerevoli sculture, l'Alice in Wonderland di Tim Burton. Altro simbolo della città, fondata millecinquecento anni fa, è l'aquila che ha ucciso con i suoi artigli un altro uccello che adesso giace senza vita infilzato dalle unghie del re dei rapaci.
004tbiOgni tanto sulla strada fanno capolino i balconi di legno lavorati a mano e colorati, storti e comunque in piedi, come la Georgia sempre e ripetutamente colpita e mai affondata. I chicchi di melograno (simbolo anche dell'Armenia) ornano e abbelliscono i piatti con il loro succo pungente e il colore rosso rubino che brilla. A tavola, a fine pasto, spunterà un corno (ne è simbolo Tamada il “toastmaster” o colui che presiede ai brindisi durante il banchetto); in questo viene versato un liquore, un amaro che può arrivare anche oltre i 60 gradi, chiamato cha-cha, una sorta di grappa poderosa che, secondo usanza (e qui con le tradizioni non si scherza), va bevuto tutto d'un sorso. La bandiera invece ricorda molto quella inglese, una croce rossa in campo bianco, anche perché le due nazioni sono accomunate dal sentimento in favore di San Giorgio nel suo perenne scontro con il drago, con quattro croci, negli altrettanti riquadri, simili ai quattro mori sardi.
L'orgoglio anche nello sport, dove la Georgia eccelle, con tanto di medaglie olimpiche in questi venti anni di indipendenza, nella Lotta, nel Judo, nel Sollevamento pesi e nel Pugilato. La sofferenza sembra essere il karma di questa piccola (poco meno di un quarto dell'Italia come chilometri quadri) e fiera nazione che ci ha superato nel ranking mondiale della palla ovale posizionandosi al tredicesimo posto. Gli sport non convenzionali invece sembrano essere l'uso smodato del clacson come il sorpasso improvvisato, dopotutto la macchina è uno status symbol al quale difficilmente un georgiano rinuncia; addirittura le due linee della metropolitana sono poco frequentate. Curioso come molte automobili siano con la guida a destra, come in Gran Bretagna, vetture in disuso che provengono proprio da quel mercato perché non in regola con le 005tbinorme e gli standard europei sull'inquinamento dei gas di scarico.
Appena ti allontani dalla città spuntano docili cani randagi che vagano alla ricerca di una crosta, fanno chilometri con le costole in evidenza. Se ne stanno ai lati delle auto sfreccianti così come i cachi carichi di pomi arancioni o i venditori di zucche o ancora i baracchini ambulanti che vendono una sorta di lecca lecca di frutta essiccata dai colori spumeggianti, racchiusi in salami appesi: sono i churchkhela, sorta di spiedini con noci, nocciole, mandorle con frutta secca e succo d'uva. La popolazione è molto religiosa, fervente, credente e praticante, anche le generazioni più giovani che si sposano presto, intorno ai vent'anni poco più. Il segno della croce ortodosso, da fare per tre volte consecutive all'entrata in chiesa come davanti a ogni reliquia o statua o icona, tocca prima la spalla destra e poi la sinistra (il contrario rispetto ai cattolici). Un Paese in crescita e in espansione, che ha il mare di Batumi, le montagne di Gudauri, le bellezze (prei)storiche di Uplistsikhe con l'insediamento di caverne del IV secolo avanti Cristo, una capitale di stampo europeo, un Paese che ha tutto e ha bisogno soltanto di una democrazia stabile per poter esprimersi al meglio delle sue possibilità. Il futuro è qui e ora.

Tommaso Chimenti 23/11/2016

Foto: Tommaso Chimenti

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