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Sanremo 2016: Ruggeri rock in attesa di Elio e Vessicchio

Alle 20.45 l’annuncio, si comincia. Carrellata storica sui vincitori dei primi 65 anni di kermesse, poi l’ingresso nell’Ariston alle 21.05, con annesso omaggio a David Bowie. Nei primi venti minuti di Festival non succede praticamente nulla – fatta eccezione per Conti che si paragona a “Starman” – poi entra Lorenzo Fragola... e continua a non succedere niente. È l’avvio in minore del 66esimo Festival della Canzone Italiana, che parte con il brano più sanremese di tutti. “Sento come se hai paura” è un verso che fa grondare sangue da ogni dizionario, è la macchia nera di un testo che gira su se stesso per circa quattro minuti. “Ma che importa, ha una faccia pulita e una bella voce”. Beh, se sulla prima non ci sono dubbi – quale ragazza non lo presenterebbe a mamma e papà? – sulla seconda ce ne sono eccome, dato che non siamo al cospetto di una delle ugole più gentili mai passate dal palco dell’Ariston. Canta “Infinite volte”, ma forse ne bastavano meno.
Le malinconiche contorsioni di Masini forse non le si addicono, o forse deve ancora farci il callo. Ma tant’è, l’esibizione di Noemi lascia col sorriso a metà. “La borsa di una donna” viene interpretato così così da una che, rassegna stampa alla mano, viene data come super favorita.
I Dear Jack – che tradotto fa "Caro Giacomo", al singolare – si presentano come il primo “super-gruppo” talent della storia italiana (band di Amici, cantante di X Factor) con "Mezzo respiro", quello che sembra avere nei bassi il nuovo frontman Leiner Riflessi. L'unione (talent) in questo caso non fa la forza. Nel duetto Caccamo-Iurato non si sente di certo quell'alchimia – con il passare delle serate magari arriverà – alla Al Bano e Romina Power. Troppo impostati persino per il Festival, peccato per un testo, una prova – gran voce la Iurato, ma temiamo che si tratti dell'ennesima urlatrice tirata fuori dal cilindro di Maria De Filippi – e una musica che forse meriterebbero quanto meno il mordente del suo autore, Giuliano Sangiorgi.
Quinta partecipazione per gli Stadio, che si portano addosso quasi tutta la storia della canzone italiana, almeno per punti esperienza. Per questo ben vengano al Festival a dare lezioni su come “steccare” con eleganza. L'intento della band è nobile quanto il testo di “Un giorno mi dirai” – i rapporti tra padre e figlia, le tribolazioni generazionali – ma le corde vocali di Curreri sembrano un po' logore e l’esibizione sfiora quasi l'auto-caricatura.
A proposito di corde logore, Morgan. Che stile, che eleganza, che fascino, che carisma, che arrangiamenti, ma la voce dov’è. I Bluvertigo con “Semplicemente” cercano di sparigliare un po’ le carte della tradizione sanremese e fondamentalmente ci riescono, ma la performance rimane debole e da rivedere.
Prontuario su “Come trasformare un testo semplice in una ballatona d’amore rock”, pagina 1: “Il primo amore non si scorda mai” di Enrico Ruggeri. Il testo non sarà un gran che (“Siamo il prodotto di gioia e dolore”, “Corre forte il tempo e ogni sentimento”) ma la sua è la canzone più movimentata della kermesse, e il ritmo dà una sonora svegliata alla platea sonnacchiosa dell’Ariston. Un brano che coinvolge, contagia, si lascia ascoltare e soprattutto ballare. Manuale di intonazione, volume 1: “Guardando il cielo” di Arisa. Sarà bizzarra, stramba, singolare, ma quanta professionalità. Una voce pulita, quasi anni Cinquanta, una performance semplicemente perfetta, mai sotto né sopra le righe.
La polemica è sempre la stessa. A cosa servono gli ospiti internazionali se gli dobbiamo fare le interviste in italiano e a nessuno importa niente di quello che dicono? Solo a sprecare i soldi dei contribuenti? No. Ospiti come Elton John servono a far capire che il talento non è la faccia pulita, la faccia da televisione, il look strano e la voce intonata. Il talento, lo stile, l’arte, sono un'altra cosa. Sir Elton si presenta con “Your Song” e ferma il tempo dell’Ariston con una performance commovente, lanciando un messaggio cristiano e spegnendo sul nascere le possibili polemiche sulle unioni civili. Questo, insieme al viaggio nel tempo di Laura Pausini – in gran forma – e l'edicola di Rocco Tanica – lui al posto del miope manzo Garko no? – è il momento più alto del Festival (sorvoliamo sull'atleta centenario Giuseppe Ottaviani e sulla scelta di ingabbiare per quattro ore Virginia Raffale nelle vesti burine di Sabrina Ferilli).
Infelice, per non dire pessima, l'idea di far entrare Rocco Hunt dopo Elton John. La sua figura stride in maniera agghiacciante sul palco dell’Ariston, per due motivi: 1) "Wake up wagliù" è il ritornello più assurdo che gli potesse venire in mente; 2) di un rapper scugnizzo che inneggia alla "rivoluzione" e se la prende con la politica con catene al collo, capelli opinabili e un flow che lascia molto a desiderare, francamente nessuno sentiva il bisogno. A Irene Fornaciari manca semplicemente un po’ – un bel po’ – di Zucchero.
Tralasciando il colore, arriviamo in cronaca: a rischio eliminazione e ripescaggio vanno Noemi, la Fornaciari, i Bluvertigo e i Dear Jack. La classifica sorride invece a Ruggeri, Caccamo-Iurato, Stadio, Rocco Hunt, Lorenzo Fragola e Arisa. Questa sera toccherà agli altri big in gara: Francesca Michielin, Alessio Bernabei, Annalisa, Neffa, Zero Assoluto, Dolcenera, Clementino, Patty Pravo, Valerio Scanu, ma soprattutto Elio. Certo, se poi ai piedi dell’orchestra dovesse comparire anche il Maestro Beppe Vessicchio, saremmo tutti più contenti.

Daniele Sidonio 10/02/2016

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