Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 617

Sanremo 2016: per fortuna c'è Ezio Bosso

 

Il day-two di Sanremo inizia con i giovani. Il pop d’autore di Chiara Dello Iacovo funziona: che personalità, che compostezza e che ingegno (il cellophane "che imprigiona il senso critico" con cui si riveste è di fatto un costume di scena). Cecile è coraggiosa e presenta N.E.G.R.A., un brano che nasce e si ferma, purtroppo per lei, allo stato di provocazione. Irama non è rap, Irama non è indie, i suoiversi liberi intasano le orecchie e lasciano spaesati a fissare – o anche no – le piume che porta alle orecchie. Il melodico ritornello di Ermal Meta, condito da suoni un po' esotici, è sicuramente da finale, se poi il ragazzo con il ciuffo alla Dente lo porta a casa con sicurezza e senza sbavature allora si aiuta parecchio.

Una cosa è certa. I primi 4 giovani non avrebbero sfigurato – anzi – al posto di alcuni dei cosìddetti big. Inutile stare a dire quali. A proposito, ad aprire le danze per i campioni è Dolcenera. È l'anima rock del Festival, graffiante ed elegante al pianoforte. La solita Dolcenera, insomma, né più né meno, troppo poco sorprendente per non finire nella zona rossa della classifica.

"Ogni scarrafone è bello a mamma soja". Dopo lo scugnizzo ribelle Rocco Hunt la kermesse propone il rap più preciso e convincente di Clementino, bello di mammà lontano da casa che racconta storie ed emozioni di un "musicante emigrante anima vagante".

Con Patty Pravo arriva, grazie al cielo, Beppe Vessicchio. L'ex ragazza del Piper festeggia con discrezione – e con più voce di Lorenzo Fragola e Riflessi dei Dear Jack – i cinquant'anni di carriera. La sua eleganza impreziosisce non poco il testo di Federico Zampaglione. Ovazione. Inchini. Riverenze. Troppa grazia, forse.

"Una canzone che se ne va", così termina il brano di Valerio Scanu, "Finalmente piove". E menomale, che se ne va. Tale e quale show e Sanremo hanno solo una cosa in comune, il conduttore. Per il resto, uno è un gioco di imitazione con travestimento annesso, l'altro è una gara canora, non di acuti incomprensibili. Ma il pubblico lo ama e la classifica gli sorride.

Francesca Michielin è una ventenne delicata, che canta una canzone sanremese con raffinatezza e precisione. "Nessun grado di separazione" non è indimenticabile, ma la giovinotta dice la sua e anche bene. Nel mood più intimo piano e voce sarebbe ancor più efficace... ma c'era già Dolcenera.

Continua invece l'imbarazzante Festival di Gabriel Garko, che oltre ad avere problemi con il gobbo, sfoggia una pronuncia inglese alquanto rivedibile e sfiora il ridicolo nei tremendi siparietti con Carlo Conti. Di contro, la Raffaele è monstre nei panni di Carla Fracci.

"La musica è una fortuna che condividiamo. Ci insegna la cosa più importante che esista, ascoltare". È una delle massime di Ezio Bosso, pianista costretto sulla sedia a rotelle da una malattia neurodegenerativa, che sfoggia la performance più bella, poetica, inaspettata e vera della serata e – a meno di miracoli – di tutto il Festival. Un inno alla musica e all'arte, una lezione sulle origini della canzone, "momento quark" come ironizza lui. Momento quark, momento alto, momento di cultura. Per fortuna. Il Maestro Bosso dà una lezione di umanità alla schiera di personaggi-pantomima che riempie la nostra tv. "La musica, come la vita, si può fare in un solo modo: insieme".

Alessio Bernabei – chi? Ah, l'ex Dear Jack – si presenta come una specie di Jovanotti 2.0 ma fallisce l'imitazione perché il buon Jova è più 2.0 di lui. Voce un po' secca, capelli vaporosi, cerca di essere spumeggiante sul palco ma la t-shirt da rave party sotto la giacca lo penalizza. Sì, ma il pezzo? Beh, per la maggior parte ripete il titolo "Noi siamo l'infinito" – accompagnato da un'esultanza alla Montella – è un po' house un po' dance. Lo dimenticheremo presto, dato che è a rischio eliminazione.

Soprattutto perché dopo di lui c'è Elio, che presenta una canzone composta da sette ritornelli, o andarelli. Un plurilinguismo che solo il genio guastafeste milanese poteva tirare fuori per dare una sportellata sarcastica all'ingessatura della kermesse. Se poi ci metti lo smoking rosa e l'acuto finale "per vincere l'odio" chefa il verso a "Perdere l'amore" di Massimo Ranieri, l'exploit è completo e risolleva – assieme all'enorme Nino Frassica – le sorti di un Festival che si barcamena tra i vestiti di Madalina Ghenea, i Coniugi Salamoia, Scanu, Ellie Goulding – si poteva fare a meno di lei e dell'agghiacciante "the cat is on the table" di Conti – e la scuola con i bambini stonati che cantano Povia. Nicole Kidman parla in italiano meglio di Garko – e forse saprebbe scrivere un verso migliore di "sento come se hai paura" di Lorenzo Fragola – e mette in scacco un po' tutti con il suo carisma e la sua freschezza.

Neffa esce di prepotenza dai blocchi del retro palco. Il suo fare sbarazzino accompagna un brano deliziosamente retrò, che potrebbe star bene come intermezzo al Folies Bergère. Da rivedere l'effluvio melanconico e nostalgico, come recita il titolo "Sogni e nostalgia", che gli costa la parte bassa della classifica. Unico neo della serata la stecca dei fonici sull'ultima esibizione. Peccato, se avessero acceso i microfoni agli Zero Assoluto (zona rossa per loro) avremmo avuto un quadro più chiaro e completo dei big in gara. Ah, era acceso?

Daniele Sidonio 11/02/2016

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM