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La libertà sessuale ai tempi della guerra

Un bambino si mette delle scarpe rosse con il tacco, e balla felice sul pontile a bordo oceano. Ha i minuti contati, dopo un attimo il padre lo richiama all’ordine, rimproverandolo. La canzone è The Prettiest Star di David Bowie, il cielo è grigio ma questo rende solo la scena più emozionante e forte il contrasto. Da Kinky Boots del 2005 ad oggi, la narrazione del movimento Queer ne ha fatta di strada, in questo film tuttavia si racconta la storia vera di una rinascita e dell’accettazione di sé, percorso che può riguardare chiunque. Una fabbrica sull’orlo del fallimento si riprende grazie alla ‘transizione alla transessualità’. Viene modificata la produzione che passa dalla realizzazione di modelli tradizionali di scarpe classiche a stivali e calzature per persone trans. Il racconto narra di un gruppo di lavoratori che accoglie prima con difficoltà e poi amorevolmente, una persona trans, stilista e artefice di nuovi modelli di calzature che salverà gli operai.

Nel 1973 David Bowie insieme ad Amanda Lear è al Marquee Club a Londra . I due sono intenti a fare delle prove per uno show televisivo. Li vediamo provare e riprovare una scena, mentre si trovano in una pedana allestita a mo di scacchiera di cui rappresentano rispettivamente il cavaliere bianco e la regina nera. Il dialogo che hanno si svolge come segue: Chi sei?/La vita è troppo breve per le domande/ Beh, allora che cosa sei? Vedo che stai provando ad inventarti qualcosa…Chi sei?/Spiegati!/ Purtroppo non posso spiegare me stessa perché vedi, io non sono me stessa.

A proposito dell’identità di genere e delle domande che è lecito porsi, questi due artisti sono stati degli apripista. Hanno dimostrato attraverso canzoni e performance, con la loro stessa presenza fisica, delle possibili alternative ad un modello binario, avanzando l’ipotesi che una risposta definitiva non fosse necessaria, mentre forse lo sono le domande.

Il 15 giugno 2024 a Roma e in altre città italiane si è svolto l’annuale appuntamento per il Pride. Ormai da tempo non si chiama più Gay-pride, perché inclusivo di altre identità, come da acronimo LGBTQIA+. Parteciparvi è stato come venire avvolti da un’onda calda e fresca al tempo stesso, un’onda fatta di persone che si sentono in quella circostanza, nella condizione e nella possibilità di divertirsi liberamente. Protetti da una folla per definizione tollerante, i partecipanti non hanno timore di essere e manifestare sé stessi. 

La polemica è aperta sulla natura istituzionale della manifestazione, soprattutto vista la presenza di carri di varie associazioni ed enti. Trattandosi di una lotta politica, di una rivendicazione che riguarda la libertà di un corpo di essere sé stesso e di riappropriarsi di una propria specifica identità e definizione, si trova contraddizione fra questo e un movimento istituzionalizzato, ripulito e recintato. C’è chi, forte di questo pensiero, rifiuta la partecipazione a quello ufficiale e si unisce ai Pride alternativi che prendono nomi diversi a seconda delle città. Ad esempio a Torino il Free-k pride che rivendica l’esistenza di un movimento anticapitalista, dissidente, transfemminista e senza sponsor. A Roma i primi di giugno c’è stato il Priot. 

Ciononostante, non tutti i dissidenti hanno scelto di manifestare altrove. C’è chi pur essendo in conflitto con molti presupposti del Pride ha ritenuto importante esserci e fare gruppo, viste anche le circostanze politiche. Chi lo ha fatto ha scelto di rendere note le proprie posizioni. Durante il corteo di ieri ad un certo punto, un gruppo di ragazz* hanno aperto un varco e iniziato a sventolare, allargandola fra le persone come fosse una grande coperta, una bandiera palestinese. Il movimento pro-Palestina oggi rappresenta, viste anche le recenti reazioni durante alcune manifestazioni, una lotta ai sistemi, e ad un certo tipo di oppressione. Fra le partecipanti a questa performance alcune hanno dichiarato che non avrebbero partecipato senza bandiera palestinese, pur dichiarando la propria solida appartenenza alla comunità LGBTQIA+. L'appello alle soggettività queer a prendere posizione è stato lanciato da Queer in Palestine, cosa dovrebbe far riflettere sul fatto che ci siano persone queer in Palestina, per quanto molti nemmeno lo sappiano. La partecipazione di Israele negli anni passati a sostegno della comunità quest'anno è mancata, cosa che fa riflettere anche sulla reale intenzione di sostenere la comunità, perlomeno da parte del partito al governo. 

La critica principale che parte del movimento esprime, è data dalla presenza così forte delle istituzioni, in quanto ciò è in contraddizione appunto con il concetto di corpo che sceglie di autodeterminarsi e perché esse sono legate a lobby troppo distanti dai valori portanti della comunità. In questo senso si potrebbe azzardare che in questo momento il movimento palestinese ha assunto il ruolo di contrastare un modello dominante, ponendosi in antitesi e aprendo alla possibilità di allontanarsi dai valori occidentali non più interamente condivisi. Ma quali sarebbero dunque i valori rappresentati dal movimento pro-Palestina che non riescono ad essere manifestati da nessun partito in questo momento? Si sta parlando di un problema specifico e puntuale in questo momento. Tuttavia a mio parere il movimento sta cominciando ad assumere anche un altro significato. Oggi essere contro Israele e a favore della Palestina significa soprattutto schierarsi dalla parte lesa, più debole, più in difficoltà e meno tutelata. Sostenendo senza sufficiente critica questa battaglia si rischia di dimenticare i diritti che l’occidente ha faticosamente conquistato anche rispetto alle questioni femminili, che ad esempio nei paesi arabi, fatta eccezione per delle minoranze appunto, non sono garantite. D’altra parte come possono essere considerati validi dei diritti che valgono solo all’interno dei recinti di un paese e non per quello accanto che continuamente viene annientato e oppresso? La frase più puntuale sulla questione l’ho vista su di un muro a Torino e recitava così: Sono Ebreo e voglio la Palestina libera. Sembra semplice eppure non lo è, e a me questa sembra essere l’unica posizione possibile seppur faticosa, che valga la pena mantenere. Se le minoranze si unissero su questo fronte forse si potrebbe avere più forza dirompete e far emergere un movimento coeso in antitesi all'oppressione quale essa sia.

Sono la pecora sono la vacca che agli animali si vuol giocare sono la femmina camicia aperta piccole tette da succhiare… Così cantava Fabrizio de Andrè in Princesa, noto pezzo del cantautore ligure che descrive la vicenda umana di una persona trans brasiliana, esule in Italia negli anni '80 prima a Roma e poi a Genova. Ricordarsi sempre quanta fatica è stata fatta e ancora si fa soprattutto in alcuni ambienti, ci ricorda quanto sia ancora fondamentale lottare per la libertà, qualsiasi forma essa abbia.

Arianna Piccoli 17/6/2024

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