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Al Monk gli Xiu Xiu e la loro nevrosi in un pianto cacofonico

Mag 12

Un’atmosfera angustiante, da psicodramma, fatta di rumorini elettronici sconclusionati, percussioni strambe e miasmi cacofonici invade il palco del Monk. E poi una voce sofferta e sofferente, lacerata dalle emozioni: l’11 maggio 2017 Xiu Xiu, rock band sperimentale statunitense, si esibisce nella capitale romana.
Una terribile neurosi o comunque un dissesto mentale sembra piombare in mezzo alla folla. Il merito è tutto del vocalist della band, Jamie Stewart, che, attraverso i chiaroscuri del suo timbro, guarda in faccia il dolore e lo canta. In un attimo xiuxiuprecipitiamo nella bellezza del baratro della disperazione. Pochi arpeggi e una cantilena piangente in sottofondo aprono “Petite” che, con i suoi archi affranti, si fa introversa e apocalittica. La sofferenza è insieme rarefatta e pesante, silenziosa e di un assordante mutismo; "a world of trouble falling down as snow", mormora il cantante con la gola in lacrime. Poco dopo le pulsazioni digitali e le tastiere antiquate di Yvonne Chen avviano il brano “Don Diasco”. Subito la schizofrenia del vocalist suona disarmonica, pronta a ribadire l’assurdità dell’esistenza. “Wondering” ha più un sapore pop-elettronico e si cosparge di suoni selvaggi, new wave, mentre “I Luv Abortion” avanza anti-melodica, quasi recitata: "When I look at my thighs I see death/ It is great/ I love abortion! / When I look at my thighs I see death/ It is great/ I love abortion!" sono le parole-parlate di un incubo che scoppietta energico e letale.
xiuxiu1"Forget" è un angoscioso lago tremolante di rumori sparsi. Madido di sudore, Stewart grida straziato il desiderio di dimenticare, per un istante, chi è; dimenticare per sentirsi bene rannicchiandosi in un’illusione. Un dolce arrangiamento tutto acustico accompagna “Fabulous Muscles”. Il cantautore oscilla tra istrionismi vocali alla Morrissey e liriche timide, scompigliate e bizzarre alla David Thomas. Un retrogusto dei Radiohead emerge in “Jenny GoGo”, in cui il cantato, appena accennato, è vibrante ma meno isterico e, in tre versi concisi, dipinge l'autoritratto del suo autore: "Crazy, crummy/ A funny inside me/ fussy baby".
Mentre forgia uno scenario allucinato, impaurito e spettrale con "Hay Choco Bananas", lo show psicanalitico del leader degli Xiu Xiu pare non conoscere tregua. Un clima gotico, un pizzico meno tetro rispetto ai Joy Division, arranca con una gravità esasperata e recita, "The skull that is your heart/ The skull that eats ones heart". Il concerto prosegue con “Get up”: uno xilofono, una tastiera e Stewart che alterna gemiti e sussurri in un itinerario turbolento. Con "Stupid in the dark" arriva prepotente il senso di tragedia: beat pulsanti e martellanti sono la materia di questa traccia dove la voce calda del cantante sfiora la pazzia. E, dopo la crisi di nervi, scende il silenzio, quello che ha aperto il concerto. In “Sad Pony Guerrilla Girl” è il silenzio il protagonista che sembra impedire alla musica di progredire. Radi, acustici strimpellii di una chitarra da serenata spezzano per quattro minuti la giungla di effetti sonori disorientanti, ma improvvisamente il brano, quasi sul finale, è devastato da un frastuono elettronico. Non c’è scampo. L’isteria non si contiene, straripa in un torrente di pianto che sopravvive grazie alle paranoie e al sarcasmo di Stewart.
Che si può fare di fronte a tutto questo dolore immotivato? Gli Xiu Xiu ci lasciano la loro lezione: avere il coraggio di prendere il dolore, lo stesso che sembra non avere senso, e trasformarlo in qualcosa di profondo e catartico.

Penelope Crostelli 14/05/2017

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